Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32612 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32612 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22742/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOMENOME (CODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro
NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati
NOME (LBRNCL72C25L840M), NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 121/2019 depositata il 16/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME domandò al Tribunale di Vicenza l’accertamento negativo dell’esistenza di una servitù di passaggio in favore del fondo della società convenuta. Allegò che in un atto di vendita del 1964, in cui il venditore aveva ceduto fondi a distinti acquirenti (tra cui a suo padre), era stata pattuita la realizzazione di una nuova strada di accesso e, a tale scopo, anche sul fondo di cui lei era la proprietaria attuale, era stata lasciata libera una striscia di terreno. La strada però non era stata costruita. L’attrice allegò inoltre che nel 2003 la società poi convenuta, acquirente di uno dei fondi oggetto della vendita del 1964, aveva iniziato transitare sul suo fondo, procurandosi l’accesso con la demolizione di un muretto che era stato costruito nel frattempo.
Avviatosi il giudizio, la convenuta chiese il rigetto e in via subordinata l’accertamento della servitù; chiamò in giudizio il proprio dante causa.
Il Tribunale rigettò la domanda principale e accolse la riconvenzionale.
Nella parte che ancora rileva, la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado.
Ricorre in cassazione l’attrice con due motivi,. Resistono con distinti controricorsi la società convenuta e il terzo da lei chiamato in causa. Il consigliere delegato ha proposto di definire il ricorso per inammissibilità o manifesta infondatezza. La ricorrente ne ha chiesto la decisione.
Sono pervenute memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Del collegio fa parte legittimamente il Consigliere Dr. NOME COGNOME che ha redatto la proposta di definizione. Infatti, secondo Cass. SU 9611/2024: « Nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte – ed eventualmente essere nominato relatore -del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa » .
– Il primo motivo denuncia l’erroneità della interpretazione del contratto di compravendita del 1964, secondo la quale esso aveva disposto la costituzione attuale di una servitù di passaggio a favore dei fondi venduti e dei fondi limitrofi rimasti in proprietà del venditore, mentre corretta è l’interpretazione secondo la quale i contraenti si erano solamente obbligati a lasciare libere strisce di terreno larghe due metri e mezzo, funzionali alla mai avvenuta costruzione di una strada, in vista della quale si prevedeva la costituzione futura di una servitù di passaggio ex art. 1029 co. 2 c.c. Si deduce violazione dell’art. 1362 c.c. e omesso esame di fatti decisivi.
– Il secondo motivo denuncia che si sia omesso di valutare che la strada sulla quale doveva gravare la servitù di passaggio in base al contratto del 1964 non è stata costruita e che di conseguenza non
è stata costituita la servitù di passaggio di cui si controverte. Si deduce violazione dell’art. 1029 co. 2 c.c., nonché dell’art. 116 c.p.c. e omesso esame circa fatti decisivi.
– I due motivi possono essere esaminati congiuntamente per connessione.
Essi sono infondati.
Nella parte censurata, la Corte di appello ha argomentato in questi termini. L’atto del 1964 non ha fatto sorgere un semplice rapporto obbligatorio, che non si è poi realizzato per la mancata costruzione della strada. Esso non ha ad oggetto la costituzione di una servitù a favore o a carico di un edificio da costruire o di un fondo da acquistare, come prevede l’art. 1029 co. 2 c.c. Viceversa l’atto del 1964 è direttamente costitutivo della servitù, con previsione dei fondi serventi che dovranno lasciare libera una striscia di terreno larga due metri e mezzo e dei fondi dominanti (a favore dei mappali compravenduti) come specificati nello stesso atto. La Corte ha accertato poi il difetto di prova dell’estinzione della servitù per non uso ex art. 1073 c.c., l’esistenza di un accesso carrabile al fondo, l’esistenza di una lettera nel 2005 in cui il padre della attrice invitava la convenuta a provvedere in merito alla strada oggetto della convenzione, senza contestare la sussistenza della servitù.
Dinanzi ad una motivazione così articolata, vi è da osservare innanzitutto che il primo motivo di ricorso contrappone alla valutazione del giudice di merito una differente ed alternativa lettura del dato negoziale, senza tuttavia considerare che la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione
del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (così, tra le molte Cass. 16987/2018, 28319/2017, 24539/2009).
Il secondo motivo ripropone la sostanza del primo motivo attraverso la censura di omesso esame circa fatti decisivi e di violazione dell’art. 116 c.p.c. e così sovrappone l’apprezzamento di parte delle risultanze istruttorie all’apprezzamento che la Corte ha espresso in una motivazione che si sottrae a censure in sede di giudizio di legittimità, mentre la censura di violazione dell’art. 1029 co. 2 c.c. presuppone tale sovrapposizione e quindi si risolve nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta mediante le risultanze di causa, che inerisce appunto alla tipica valutazione del giudice di merito. Quest’ultima è censurabile, in sede di legittimità, solo facendo valere vizi di motivazione, che qui non si danno (cfr. Cass. 26709/2022).
Pertanto anche tale motivo va respinto..
4. – In conclusione, il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, anche ai sensi dell’art. 93 co. 3 e 4 c.p.c (trattandosi di decisione in linea con la proposta: cfr. art. 380 bis cpc).
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare a ciascuna delle due parti controricorrenti le spese del presente giudizio, che liquida in € 4.000,00 oltre a € 200,00 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge. Inoltre, condanna la parte ricorrente al pagamento ex art. 96 co. 3 c.p.c. di € 4.000,00 in favore di ciascuna delle due parti controricorrenti, nonché al pagamento ex art. 96 co. 4 c.p.c. di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23/10/2024.