Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1119 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1119 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35009/2019 R.G. proposto da:
COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TRENTO n. 183/2019 depositata il 24/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.NOME e NOME COGNOME ricorrono, con cinque motivi, per la cassazione della sentenza in epigrafe con cui la Corte di Appello di Trento, confermando la decisione di primo grado, ha ribadito che essi ricorrenti non sono titolari di servitù di passaggio sul terreno dell’odierna controricorrente COGNOME NOME e non hanno diritto ad ottenere la costituzione coattiva della servitù ai sensi dell’art. 1051 c.c.
Quanto alla insussistenza della servitù, la Corte di Appello ha rilevato che i ricorrenti infondatamente avevano preteso di averne acquisito la titolarità per usucapione unendo al proprio possesso quello dei danti causa NOME COGNOME e dopo di lui le figlie eredi, dato che quest’ultimi non erano stati possessori dell’area della proprietà RAGIONE_SOCIALE su cui insisteva il passaggio.
Risultava infatti da più documenti incorporanti dichiarazioni di NOME NOME COGNOME -il quale nel 1973 aveva preso in locazione ‘la cascina e il terreno sino al INDIRIZZO, di proprietà di NOME COGNOME -, di NOME COGNOME -fratello di NOME, il quale aveva su incarico di quest’ultimo, aveva costruito una passerella sul Rio -e di NOME COGNOME che COGNOME NOME, dante causa della odierna controricorrente, aveva nel 1973, attribuito a NOME COGNOME il permesso di passare dal proprio terreno e di costruire la passerella ‘per questioni di comodità’, senza con ciò ‘costituire alcun diritto’, che al momento della richiesta del permesso, ‘fu coinvolto anche
NOMECOGNOME che questi l’11.8.1982 aveva riconosciuto e preso atto della concessione del permesso (‘il sottoscritto dichiara che il Sig. COGNOME concede il permesso di accesso alla proprietà denominata cascina COGNOME senza tuttavia addivenire all’acquisizione del diritto di passaggio anche per gli anni a venire’), che nel 1994 NOME COGNOME aveva ribadito alla odierna controricorrente, subentrata al padre NOMECOGNOME il carattere provvisorio del passaggio e si era nuovamente impegnato a rimuove la passerella non appena la RAGIONE_SOCIALE ne avesse manifestato ‘la necessità’.
Quanto alla insussistenza del diritto potestativo di ottenere la costituzione coattiva della servitù la Corte di Appello ha affermato che il fondo degli attuali ricorrenti non era intercluso, avendo accesso ad ‘una strada comunale’ anche attraverso ‘terreni adiacenti’ di proprietà degli stessi ricorrenti.
La Corte di Appello ha infine confermato la decisione appellata in punto di condanna degli odierni ricorrenti ai sensi dell’art. 96 comma terzo per avere insistito nel tentativo di negare valore alle ricordate affermazioni sostenendo infondatamente ed apoditticamente che le ricordate dichiarazioni erano ‘assurde’ e per avere insistito nella domanda di costituzione della servitù coattiva, pur dopo che era stata accertata la non interclusione del fondo, adducendo circostanza ‘che non può essere presa a motivo di doglianza’ ossia che nel periodo invernale la strada pubblica era ricoperta di neve;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso viene lamentata la ‘violazione ed errata applicazione di norme di ermeneutica degli artt. 1362 e 1336 c.c. nonché dell’art. 1324 c.c.’ in riferimento alla interpretazione data dalla Corte di Appello delle ricordate dichiarazioni.
Viene altresì lamentato il ‘mancato accoglimento delle istanze istruttorie formulate in relazione agli artt. 244 e 245 c.p.c. in relazione agli artt. 360, primo comma, sub. 3 e 5 c.p.c.’;
con il secondo motivo di ricorso viene denunciata la ‘violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2730 c.c. e 1141 c.c. in relazione alla non necessità della interversio possessionis’. Viene affermato che il NOME e le di lui figlie sarebbero sempre ‘transitati fino dal 1973 sul fondo RAGIONE_SOCIALE nella convinzione di esercitare un diritto, come comprovabile dall’escussione dei testi e della documentazione prodotta’.
Viene poi dedotto che la dichiarazione di NOME in data 11 agosto 1982 poteva essere ricondotta a confessione stragiudiziale con la conseguenza che essendo il NOME deceduto ‘non risulta trasmissibile agli eredi per cui non ha nessun significato in merito alla interversio possessionis’;
il primo e il secondo motivo di ricorso, suscettivi di essere esaminati assieme in quanto convergenti, sono inammissibili.
3.1. La Corte di Appello ha esaminato le dichiarazioni di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e ne ha tratto che il passaggio sul fondo RAGIONE_SOCIALE tramite la passerella sul INDIRIZZO fu esercitato dal 1973 al 2014 -anno in cui gli odierni ricorrenti acquistarono il terreno un tempo di NOME COGNOME e poi delle figlie di lui -, da NOME COGNOME il quale condusse per tutto quel periodo il terreno e la soprastante cascina.
La Corte di Appello ha negato ingresso alle prove per interrogatorio e per testi che secondo gli odierni ricorrenti sarebbero state utili a dimostrare il possesso del passaggio ad immagine della servitù da parte di NOME e delle figlie, ritenendo che dette prove fossero inammissibile perché il relativo capitolato era ‘generico ed ininfluente ai fini del riconoscimento della servitù di passaggio’
dato che ‘neppure sono state dedotte circostanze specifiche di come, da chi e quando tale passaggio sarebbe avvenuto .. uti dominus e non come concessione di cortesia’ quale emergente dalle dichiarazioni più volte ricordate. La Corte di Appello ha aggiunto che non vi era, tra le prove offerte dalla parte appellante, ‘alcuna circostanza’ che potesse avvalorare la tesi per cui, da parte dei danti causa degli odierni ricorrenti vi sarebbe stato ‘il cambio da detenzione in possesso uti dominus’.
Ciò posto, i due motivi sono inammissibili in quanto, al di là della relativa rubrica, non veicolano censure sussumibili sotto il motivo di ricorso di cui n.3 del primo comma dell’art.360 c.p.c. e veicolano invece il tentativo di prospettare una realtà fattuale diversa da quella accertata dalla Corte di Appello sulla base di motivato esame delle dichiarazioni più volte ricordate.
3.1 Per quanto poi specificamente riguarda il riferimento contenuto nel secondo motivo di ricorso alla natura e agli effetti della dichiarazione del NOME in data 11 agosto 1982, trattasi di riferimento del tutto avulso dalla ratio della decisione. La ratio della decisione è che il passaggio fu esercitato da NOME COGNOME -conduttore del fondo COGNOME -e non da NOME COGNOME o dalle sue figlie. Il riferimento si allaccia ad un’affermazione incidentale e ultronea della Corte di Appello secondo cui le prove richieste dagli odierni ricorrenti non sarebbero state utili a dimostrare l’interversio possessionis.
Di interversio possessionis si parla, in relazione all’art. 1141, comma 2, c.c., con riguardo all’ipotesi di acquisto del possesso da parte del detentore o, in relazione all’art. 1164 c.c., con riguardo all’evoluzione di una situazione di possesso ad immagine di un diritto minore in possesso ad immagine di un diritto maggiore.
L’affermazione è ultronea perché, se anche le prove fossero state utili a dimostrare l’interversio possessionis tale interversio non
avrebbe potuto essere riferita ai danti causa dei ricorrenti non essendo mai stati questi -per quanto pacifico in causa -detentori del diritto di passare sul terreno RAGIONE_SOCIALE
5. con il terzo motivo di ricorso vengono denunciate la ‘violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1051, 1052 e 1053 nonché della norma dell’art. 183 c.p.c. per rigetto della domanda subordinata di costituire una servitù di passaggio coattivo per interclusione del fondo, in riferimento all’art. 360 comma primo, n.5, c.p.c.’;
6. il motivo è inammissibile.
‘Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità’ (Cass. n.3340 del 05/02/2019). Nel caso di specie il motivo non solo non tiene conto della insindacabilità degli accertamenti in fatto della Corte di Appello secondo cui il fondo dei ricorrenti aveva accesso alla via pubblica anche tramite altri fondi sempre di proprietà dei ricorrenti ma, in realtà, prospetta fatti neppure giuridicamente rilevanti ed in particolare difficoltà temporanee di ripristinare la strada comunale;
7. con il quarto motivo viene lamentata ‘violazione ed errata applicazione dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n.5, c.p.c.’. Viene dedotto che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto del fatto che gli odierni ricorrenti avevano ‘aderito alla domanda di mediazione manifestando in tal modo di avere interesse ad una definizione bonaria della vertenza’, che essi ricorrenti erano stati citati in giudizio e si erano
‘semplicemente avvalsi del loro pieno diritto di difesa’, che il giudice di primo grado avrebbe dovuto compensare le spese avendo rigettato la domanda di risarcimento danni proposta dalla RAGIONE_SOCIALE;
il motivo è inammissibile.
8.1. La decisione di condannare il soccombente per responsabilità aggravata ai sensi del terzo comma dell’art. 96 c.p.c. è insindacabile se, come nella specie, motivata dando conto di ragioni di abusività nell’insistere in tesi difensive risolventesi in affermazioni apodittiche e in allegazioni fattuali smentite dagli accertamenti istruttori (v. superiore premessa, punto 1, ultimo capoverso). La deduzione per cui il giudice di primo grado avrebbe dovuto compensare le spese, avrebbe dovuto essere veicolata in appello e non può essere veicolata come motivo di censura della sentenza d’appello per farne discendere l’erronea conferma da parte della Corte di Appello della pronuncia di primo grado di applicazione del terzo comma dell’art. 96 c.p.c.;
all’inammissibilità del ricorso segue la condanna dei ricorrenti alle spese;
si ravvisano i presupposti dell’abuso del mezzo processuale e pertanto i ricorrenti devono essere condannati, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c, al pagamento in favore della controricorrente di una somma equitativamente determinata in € 500,00;
PQM
la Corte dichiara il ricorso inammissibile;
condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 500,00, per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti;
condanna i ricorrenti al pagamento in favore della controricorrente della somma di €500,00.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r . 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma 9 gennaio 2023.
Il Presidente NOME COGNOME