Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1428 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1428 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36712/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 1495/2019 depositata il 19/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.NOME COGNOME ricorre, con quattro motivi, per la cassazione della sentenza in epigrafe con cui la Corte di Appello de l’Aquila ha rigettato l’impugnazione di esso ricorrente contro la sentenza del Tribunale di Avezzano confermando l’affermazione del Tribunale per cui il terreno di proprietà degli odierni controricorrenti, NOME, NOME e NOME COGNOME, posto in Avezzano, descritto in atti, era gravato, in favore del limitrofo terreno dei ricorrente, da servitù di passaggio a piedi e non, come preteso dal ricorrente, da servitù di passaggio carrabile;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso viene denunciata la ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 949 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c. nonché omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5, c.p.c.’. Viene dedotto che gli odierni controricorrenti avevano originariamente agito in negatoria servitutis dichiarandosi proprietari del fondo servente in quanto eredi di COGNOME NOME e che era poi risultato che questi era deceduto solo dopo la conclusione del giudizio di primo grado. Dacché -sostiene il ricorrente -la violazione dell’art.949 c.c. che riconosce la legittimazione ad agire in negatoria servitutis al ‘proprietario’ del fondo su cui altri pretenda di avere il diritto di servitù.
2. Il motivo è infondato.
2.1. La Corte di Appello ha intanto premesso, per chiarezza ed esattamente (v. Cass. Su 2951/2016), che la questione posta dall’allora appellante non atteneva alla legittimazione ad agire, intesa come condizione dell’azione da riscontrarsi alla stregua delle prospettazioni dell’attore ed atteneva invece alla effettiva titolarità della situazione giuridica dedotta in causa -e precisamente alla titolarità da parte degli appellati della titolarità del bene fondo gravato da servitù. Ha altresì dato conto della incontroversa circostanza per cui gli odierni controricorrenti avevano agito dicendosi proprietari del terreno gravato da servitù di passo e della parimenti incontroversa circostanza per cui il proprietario al momento della proposizione della domanda era COGNOME (v. sentenza impugnata, p. 4). Pertanto, sul presupposto implicito ma incontroverso che gli attori hanno effettivamente acquisito il fondo, quali eredi del medesimo COGNOME deceduto, ha sostenuto come la pronuncia di primo grado abbia esattamente richiamato la sentenza della Corte n.26769/2014 -seguita anche da Cass. 5321/2016- la quale ha affermato il principio secondo cui ‘Nell'”actio negatoria servitutis” la legittimazione attiva e passiva compete a coloro che sono titolari delle posizioni giuridiche dominicali, rispettivamente svantaggiate o avvantaggiate dalla servitù, e, nel caso in cui la legittimazione di una delle parti, pur assente all’atto della proposizione della domanda, sopravvenga nel corso del giudizio, il procedimento può proseguire fino all’emissione della decisione, dato che la legittimazione ad agire, rappresentando una condizione dell’azione, non può subire limitazioni temporali, sicché è sufficiente che essa sussista al momento della decisione, poiché la sua sopravvenienza rende proponibile l’azione “ab origine”, indipendentemente dal momento in cui si verifichi’;
3. con il secondo motivo di ricorso viene denunciata la ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1061 e 1062 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c. nonché omesso esame circa
fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5, c.p.c.’.
Viene dedotto che la Corte di Appello, nel riconoscere la servitù solo per passaggio pedonale e non per passaggio veicolare, avrebbe trascurato di considerare che nel caso di specie non vi sarebbe stata alcuna differenza dato che ‘la servitù come pedonale o carrabile non muta l’ampiezza del contenuto del diritto di passaggio spettante all’COGNOME in quanto la strada utilizzata per il passaggio ha un dimensione di tre metri comunque idonea al transito carrabile’.
Viene dedotto inoltre che gli odierni controricorrenti non avrebbero mai provato ‘in che maniera e entro quali limiti debba l’COGNOME esercitare la servitù’.
Il ricorrente sostiene che la Corte di Appello avrebbe errato nel fare riferimento come titolo costitutivo della servitù alla sentenza del Tribunale di Avezzano laddove invece avrebbe dovuto fare riferimento ad un diverso titolo costitutivo in base al quale la servitù di cui trattasi era stata configurata come servitù di passaggio anche con veicoli. In particolare, il ricorrente narra di una servitù di tale contenuto, costituita ai sensi dell’art. 1062 c.c. allorché la dante causa comune alle parti frazionò il suo fondo e ne cedette all’Alfidi una porzione su cui insisteva la strada per il passaggio veicolare tra l’altra porzione -poi ceduta ad esso COGNOME -e la via pubblica;
il motivo è infondato riguardo alla prima deduzione e inammissibile per il resto.
4.1. La circostanza che la strada su cui si esercita la servitù di passo a piedi sia di ampiezza tale da consentire anche il passaggio veicolare è giuridicamente irrilevante a fronte del contenuto della servitù che la Corte di Appello ha accertato essere -in base al titolo
costitutivo- una servitù solo di passaggio pedonale e del principio, affermato dalla Corte con sentenza 19483 del 2018 -esattamente richiamata dalla Corte di Appelloper cui ‘la servitù di passo carrabile si differenzia da quella di passaggio pedonale per la maggiore ampiezza del suo contenuto, perché, condividendo con quest’ultima la funzione di consentire il transito delle persone, soddisfa l’ulteriore esigenza di trasporto con veicoli di persone e merci da e verso il fondo dominante; ne consegue che dall’esistenza della servitù di passaggio pedonale non può desumersi l’esistenza di quella di passo carrabile, né il passaggio a piedi costituisce atto idoneo a conservare il possesso della servitù di passaggio con automezzi’.
La Corte di Appello non può essere considerata in errore per aver trascurato la sopradetta circostanza irrilevante.
Per il resto il motivo è inammissibile in quanto esso non veicola censure inquadrabili nel tassativo elenco di cui all’art. 360 primo comma. c.p.c. e si risolve invece nella prospettazione di fatti integrativi di un diverso titolo costitutivo di una più ampia servitù: il titolo costitutivo della servitù in esame non sarebbe quello individuato dalla Corte di Appello -la sentenza passata in giudicato del Tribunale di Avezzano 1 luglio 1988 in causa tra l’odierno ricorrente e COGNOME -; la servitù, di passo carrabile, sarebbe stata costituita ‘per destinazione del padre di famiglia’ atteso che i due fondi sarebbero stati, originariamente, della stessa proprietaria (NOME che ‘quando ha venduto per prima parte della sua proprietà all’Alfieri ha inteso lasciare la strada che permettesse alla sua restante proprietà di potere transitare verso nord per raggiungere in maniera più breve la via principale …’;
5. con il terzo motivo di ricorso viene denunciata la ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 669 cpc e 1168 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c.’ per avere la Corte di Appello ‘posto a fondamento della decisione pronunce e atti resi nel procedimento
possessorio di reintegra in precedenza intercorso tra le stesse parti tra cui relazione di PG, provvedimento conclusivo del giudizio e successivo atti di precetto, atti non utilizzabili nel presente procedimento’;
il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio della decisione del giudice di appello e sottende una riconsiderazione della valutazione della Corte di Appello.
Quest’ultima ha posto a fondamento della decisione la ricordata sentenza del Tribunale di Avezzano, di accertamento del contenuto della servitù come servitù solo di passaggio a piedi (v. pag.3 sentenza). Ha fatto riferimento (v. pagine 8 e 9) ad altri atti -quelli a cui fa riferimento il ricorrente nel motivo ora in esame -affermando che essi non sono idonei a provare che la servitù avesse il maggior contenuto preteso dall’odierno ricorrente;
con il quarto motivo viene denunciata la ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’ art. 360, primo comma, n.3 c.p.c. nonché omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5, c.p.c.’. Viene chiesta alla Corte una rivalutazione delle prove per testi in modo tale da far emergere quello che ‘i testi’ avrebbero effettivamente riferito ossia che esso ricorrente aveva esercitato la servitù di passaggio con veicoli per un tempo sufficiente a consentire l’acquisto del diritto per usucapione;
il motivo è inammissibile. In disparte il rilievo per cui il ricorrente neppure precisa a quali testi intende esattamente riferirsi, deve osservarsi che, anche ove volesse ritenersi che ‘i testi’ sono quelli indicati alle pagine 9 e 10 della sentenza impugnata, la valutazione delle prove è attività riservata al merito ed è inammissibile la richiesta alla Corte di legittimità di una valutazione delle prove diversa da quella effettuata dal giudice del merito;
il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato alle spese del giudizio.
PQM
la Corte rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, liquidate in €3500,00, per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r . 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma 9 gennaio 2024.
Il Presidente
NOME COGNOME