Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4181 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4181 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31485/2019 R.G. proposto da:
NOME DEL GRANDE NOME, NOME DEL GRANDE NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME FERNANDO (CODICE_FISCALE), che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrente –
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 3165/2019 depositata il 13/05/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
1. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 13411 depositata il 02/07/2012, rigettava le domande proposte da NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME volte a sentire accertare e dichiarare, per quel che qui ancora rileva: il diritto di passaggio di essi attori attraverso il vano circolare denominato «torretta», facente parte dell’appartamento di proprietà della convenuta; che tale diritto di servitù comprende la facoltà di chiudere con tamponatura in mattoni l’apertura che mette in comunicazione la torretta con il resto dell’appartamento della COGNOME; la realizzazione all’interno dello stesso vano di una scala a chiocciola delle dimensioni e caratteristiche indicate in un progetto assentito dalla Soprintendenza.
Le richieste degli attori derivavano dalla necessità di utilizzare locali soffitta assegnati in loro proprietà a séguito della divisione di un immobile (già in comunione ereditaria) sito in Roma, avvenuta con atto notarile del 4.10.1995, con il quale i ricorrenti risultavano assegnatari anche del primo piano; la convenuta aveva, invece, acquistato il secondo piano del medesimo stabile da NOME COGNOME, originariamente assegnataria in sede di divisione. Il locale torretta di cui si discute rappresenta, pertanto, il collegamento fra l’appartamento al primo piano dei ricorrenti e il vano soffitta posto al terzo piano: con l’atto di divisione, infatti, NOME COGNOME aveva costituito una servitù di passaggio, a carico del locale torretta posto all’altezza del secondo piano, del quale si era riservata la proprietà, per consentire ai proprietari del primo piano di accedere dal loro appartamento alla soffitta assegnata in loro proprietà in sede di divisione.
La predetta sentenza veniva impugnata innanzi alla Corte d’Appello di Roma che rigettava il gravame, sostenendo che:
i ricorrenti non avevano censurato le motivazioni poste a fondamento della decisione del primo giudice, piuttosto sollecitavano il
giudice di seconde cure ad interpretare il titolo costitutivo della servitù, al fine di verificare quali fossero le concrete modalità di esercizio della servitù di passaggio: poiché, però, tale questione non era mai stata introdotta nel giudizio e, quindi, non era stata mai esaminata dal giudice di prime cure, essa integra una domanda nuova, come tale inammissibile in appello, in quanto posta in violazione dell’art. 345 cod. proc. civ.;
in ogni caso, entrando nel merito della questione: il titolo costitutivo della servitù di passaggio (art. 2 dell’atto di divisione del 04/10/1995) nulla dice circa l’ampiezza della scala, ovvero l’utilizzo esclusivo del vano torretta da parte dei titolari del fondo dominante. Nel silenzio del titolo, non può affermarsi – come pretendono gli appellanti – che la servitù possa ritenersi a carico dell’intero locale torretta senza nessuna delimitazione spaziale dell’area da servire, e che quindi la scala possa realizzarsi mediante l’occupazione dell’intero diametro della torretta con la chiusura definitiva in muratura dell’apertura che mette in comunicazione il vano torretta con l’appartamento della COGNOME : le opere che gli appellanti vorrebbero realizzare sono, infatti, tali da privare definitivamente la COGNOME della proprietà della porzione immobiliare gravata dalla servitù (il vano torretta, appunto), in contrasto con quanto affermato dall’art. 1065 cod. civ.;
il progetto di realizzazione di una scala a chiocciola occupante l’intera superficie del vano torretta è divenuto irrealizzabile a s éguito di una sentenza del Consiglio di Stato: allo stato degli atti, non può quindi ritenersi ingiustificato il rifiuto opposto dalla COGNOME alla realizzazione di quel progetto fatto redigere dagli appellanti.
La predetta sentenza veniva impugnata da NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME per il ricorso in Cassazione affidato a cinque motivi.
Si difendeva NOME COGNOME depositando controricorso.
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti depositavano memorie.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 167 e 183 comma 6, cod. proc. civ. -Nullità del procedimento e della sentenza che lo ha definito (ex art 360 comma 1, n. 4) cod. proc. civ.), in relazione all’art 111 Cost. e agli artt. 99, 100, 112 e 113 cod. proc. civ. Al Tribunale, prima, e alla Corte d’Appello, poi, era stato domandato d’interpretare il contratto istitutivo della servitù, anche in relazione all’estensione e alle modalità di esercizio del diritto reale: erroneamente, dunque, la Corte d’Appello ha ritenuto domanda nuova quella introdotta puntualmente in primo grado con la memoria di precisazione delle domande ex art. 183, comma 6, n. 1, cod. proc. civ.; così come ha fatto erronea applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., che riguarda le domande nuove in appello, non quelle dedotte in primo grado.
Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 112, 113, 342, 345 cod. proc. civ. in relazione all’art. 111 Cost. ( ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.). I ricorrenti ritengono che considerare mutamento della causa petendi l’esame di un diritto autodeterminato costituisca violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del principio devolutivo dell’appello.
Con il terzo motivo si deduce nullità della sentenza per apparenza, perplessità, incomprensibilità della motivazione, violazione degli artt. 132, 342, 112 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod.
proc. civ., in relazione all’art. 111 Cost., commi 1 e 6 ( ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.). I ricorrenti considerano contraddittoria l’affermazione della Corte d’Appello nella parte in cui, dopo aver considerato inammissibile la domanda, la ritiene altresì infondata nel merito, oltretutto per ragioni diverse dall’interpretazione del titolo circa l’estensione e le modalità di esercizio della servitù, bensì adducendo il fatto che il progetto proposto dagli appellanti sarebbe divenuto irrealizzabile per effetto della pronuncia in rito resa dal Consiglio di Stato.
4. I primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tutti censurano la sentenza nella parte in cui qualifica come mutatio libelli l’esame del contenuto di un diritto autodeterminato e, dopo aver decretato l’inammissibilità della domanda, si pronuncia nel merito della stessa. Essi sono fondati, per quanto di ragione.
Non ignora il Collegio che, secondo un indirizzo sancito anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007, Rv. 595555 – 01), dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale il giudice del merito si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere, né l’interesse ad impugnare argomentazioni «di merito» da reputarsi ininfluenti a fronte di una pronuncia di mero rito, quale quella d’inammissibilità.
4.1. Nella peculiare fattispecie in esame, però, il Collegio ritiene che debba tenersi conto dell’evidente contenuto complessivo della pronuncia gravata, che si configura come un provvedimento di rigetto, nell’ambito del quale il giudice di seconde cure, verosimilmente non del tutto convinto della soluzione in termini d’inammissibilità (in effetti
risultata errata e peraltro motivata sul punto in modo non condivisibile), ha ritenuto di esprimersi diffusamente sul merito della domanda (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 28364 del 29/09/2022, Rv. 665733 -01; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7995 del 11/03/2022, Rv. 664430 -01; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 30354 del 18/12/2017, Rv. 647172 – 01). In tale caso, ritiene il Collegio di dover riconoscere l’interesse della parte soccombente all’impugnazione di quello che si configura come un provvedimento di rigetto nel merito; ne consegue che in sede di legittimità, nonostante l’accoglimento della doglianza concernente l’inammissibilità, il motivo attinente al merito va comunque esaminato e non può reputarsi assorbito.
4.2. Tanto premesso, deve ritenersi errata la pronuncia sull’inammissibilità cui perviene la Corte d’Appello, posto che contesta agli allora appellanti una nuova domanda sulla quale, invece, si era pronunciato il Tribunale di Roma nella sentenza gravata: motivazione, del resto, riportata proprio nella stessa sentenza d’appello (p. 2, righe 7-11), impugnata dagli allora appellanti con il primo motivo di appello (v. ancora sentenza p. 4, p. 5 primo capoverso); sì ché la stessa Corte distrettuale, contraddicendosi, osserva che la «domanda originariamente proposta era tesa ad accertare e dichiarare che il diritto di servitù comprendeva la facoltà di chiudere con tamponatura l’apertura che mette in comunicazione il vano torretta con la restante porzione dell’appartamento int. 4 nonché di realizzare all’interno di tale vano una scala delle dimensioni e caratteristiche indicate nel progetto già assentito dalla Sopraintendenza» (v. sentenza p. 5, 4° capoverso).
5. Con il quarto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1027, 1058, 1063, 1064 comma 1, 1065 cod. civ., in relazione all’art. 12 delle preleggi ( ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.). I ricorrenti lamentano l’errata
applicazione delle regole ermeneutiche avendo la Corte omesso qualsiasi esame logico-letterale, nonché la valutazione degli altri criteri interpretativi per sostenere le affermazioni di insufficienza del titolo costitutivo della servitù.
5.1. Il motivo è inammissibile. Il mezzo non spiega a questa Corte in che modo il giudice di seconde cure avrebbe violato il criterio logicoletterale e ancor più gli altri criteri interpretativi dettati dagli artt. 1363, 1366 e 1367, posto che la Corte distrettuale – alla luce della comune intenzione delle parti ricercata non solo nel senso letterale nelle parole, ma anche alla stregua dei principi di collegamento negoziale tra i vari atti, e tenuto conto del comportamento delle stesse contestualmente all’atto di divisione (v. sentenza p. 5, 3° capoverso) – sostiene che il titolo costitutivo della servitù di passaggio nulla dica circa l’ampiezza e le modalità di esercizio della servitù di cui è causa (v. sentenza p. 4, penultimo e ultimo capoverso), coerentemente concludendo nel senso che non può essere ritenuto legittimo, ove ciò non emerga in modo chiaro ed univoco dal titolo, l’esercizio di una servitù di passaggio che privi definitivamente il titolare del fondo servente di una porzione della sua proprietà, in contrasto con quanto affermato dall’art. 1065 cod. civ. Evidenzia la Corte distrettuale che la richiesta originariamente elevata dagli odierni ricorrenti era tesa ad accertare e dichiarare un diritto di servitù che comprendesse la facoltà di chiudere con tamponatura l’apertura che mette va in comunicazione il vano torretta con la restante porzione dell’appartamento, nonché di realizzare una scala di comunicazione tra il primo piano di proprietà di ricorrenti e il vano soffitta delle dimensioni pari all’intero vano della torretta, in tal modo privando definitivamente la COGNOME della proprietà della porzione immobiliare (vano torretta) gravata dalla servitù.
5.1.1. In definitiva, il mezzo di gravame consiste proprio nel confutare le conclusioni cui perviene la Corte di merito, insistendo sul fatto che le richieste degli odierni ricorrenti non avrebbero privato affatto la titolare del fondo servente di una porzione di proprietà, ma si sarebbero tradotte in una compressione del diritto domenicale; nonché nel censurare un’interpretazione «falsa» delle norme del codice civile. Come, peraltro, ricordato dagli stessi ricorrenti (ricorso p. 19, ultimo capoverso), al fine di accedere al sindacato di legittimità non basta che il ricorrente faccia un astratto richiamo alle regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., o lamenti la ricostruzione del significato del contratto svolto dal giudice di merito, occorrendo, invece che, rispettivamente, specifichi i canoni in concreto inosservati e il punto e il modo in cui il giudice di merito si sia da essi discostato ( ex multis : Cass. n. 7472 del 2011), ovvero riproduca in ricorso i fatti decisivi il cui esame, pur risultando dagli atti del processo, sia stato del tutto omesso (Cass. SU n. 8053 del 2014).
6. Con il quinto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1079 cod. civ., in relazione agli artt. 1063 e 1065 cod. civ. e all’art 12 delle preleggi. I ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui giunge a propugnare l’insostenibil e e paradossale interpretazione dell’art. 1079 cod. civ. per cui presupposto dell’ actio confessoria servitutis sia solo la contestazione (infondata) di una controparte del diritto reale minore; secondo i ricorrenti, invece, l’ actio confessoria servitutis può essere attivata anche solo per accertare il diritto e/o la sua ampiezza e, quindi, anche in assenza di specifiche contestazioni, né debba essere subordinata alla ricorrenza di un preciso pregiudizio.
6.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non attinge alla ratio decidendi . La Corte distrettuale -diversamente da quanto sopra sostenuto -ha ritenuto sussistente e legittima la contestazione della
convenuta; insussistenti, invece, gli asseriti impedimenti e le turbative della titolare del fondo servente: con ciò accogliendo le difese di controparte a scapito delle tesi degli appellanti (v. sentenza p. 6, 4° e 5° capoverso). La non contestazione della COGNOME evidenziata in premessa (v. sentenza p. 3, 1° e 2° capoverso) attiene unicamente all’esistenza della costituzione della servitù di passaggio attraverso il vano torretta, mentre la Corte evidenzia la contestazione della COGNOME circa l’esten sione e le modalità di esercizio di detta servitù, nulla aggiungendo la Corte a sostegno delle pretese condizioni di esercizio dell’ actio confessoria servitutis .
In conclusione, il Collegio rigetta il ricorso; le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in €3.000,00 per compensi, oltre ad €200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda