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Servitù di passaggio: l’atto del 1921 è decisivo

Il caso riguarda una servitù di passaggio veicolare contestata tra proprietari confinanti. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione d’appello, stabilendo che per interpretare un atto di divisione del 1921, è fondamentale ricostruire la comune intenzione delle parti originarie, anche oltre il tenore letterale. Il contesto agricolo dell’epoca giustificava un passaggio carrabile, funzionale alla coltivazione dei fondi.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Servitù di passaggio: l’intenzione originale prevale sul testo letterale

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione riafferma un principio fondamentale nell’interpretazione dei contratti e, in particolare, degli atti che costituiscono una servitù di passaggio. La Suprema Corte ha stabilito che, per definire l’estensione di un diritto di passaggio sorto da un atto di divisione risalente al 1921, è necessario guardare oltre le parole e indagare la reale e comune intenzione delle parti originarie, tenendo conto del contesto storico e della funzione economica dell’accordo.

I fatti di causa

La controversia nasce tra i proprietari di due immobili confinanti. I titolari di uno dei fondi citavano in giudizio i vicini per far accertare l’inesistenza di una servitù di passaggio veicolare e di manovra all’interno della loro corte. I vicini, di contro, non solo sostenevano l’esistenza del diritto, ma in via subordinata ne chiedevano l’accertamento per intervenuta usucapione.

Il Tribunale di primo grado dava ragione agli attori, negando l’esistenza del passaggio. Tuttavia, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, fondando il proprio convincimento sull’interpretazione di un atto di divisione stipulato tra i danti causa delle attuali parti nel lontano 11 dicembre 1921.

La decisione basata sull’atto del 1921

Secondo la Corte d’Appello, quell’atto aveva istituito delle servitù reciproche tra i condividenti, tutti agricoltori, al fine di garantire la prosecuzione delle loro attività. La previsione di un passaggio era dunque funzionale all’accesso ai terreni coltivati. Sebbene l’atto non specificasse la natura ‘carrabile’ del passaggio, il contesto e la finalità agricola rendevano evidente che dovesse includere il transito di carri e mezzi agricoli, e non solo pedonale.

I motivi del ricorso e l’analisi della servitù di passaggio

I proprietari soccombenti in appello ricorrevano in Cassazione, sollevando quattro principali motivi di doglianza:
1. Travisamento della prova: Lamentavano che la Corte d’Appello avesse basato la sua decisione su una planimetria arbitrariamente modificata con una linea per indicare un percorso di passaggio in realtà inesistente.
2. Violazione delle norme sull’interpretazione: Sostenevano che i giudici avessero violato la gerarchia delle fonti interpretative, dando prevalenza a elementi esterni (la finalità agricola) rispetto al tenore letterale dell’atto del 1921, che non menzionava un passaggio ‘carrabile’.
3. Errata applicazione del principio del minimo mezzo: Ritenevano che la Corte non avesse bilanciato correttamente gli interessi, aggravando inutilmente il fondo servente.
4. Applicazione di una legge sbagliata: Contestavano l’uso del Codice Civile del 1942 anziché quello del 1865, in vigore all’epoca della stipula dell’atto.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi.

In primo luogo, ha chiarito che la linea tracciata sulla mappa dai giudici d’appello aveva un valore puramente illustrativo e non costituiva una nuova prova. La decisione si fondava solidamente sull’interpretazione dell’atto notarile, non sulla planimetria.

Sul punto cruciale dell’interpretazione del contratto, la Cassazione ha ribadito che, ai sensi dell’art. 1362 c.c., l’indagine non deve fermarsi al senso letterale delle parole. L’interprete ha il dovere di ricercare la comune intenzione delle parti, anche utilizzando criteri logici e teleologici. Nel caso di specie, era logico e coerente concludere che le parti del 1921, dividendo fondi agricoli, avessero inteso costituire una servitù di passaggio adeguata alle esigenze dell’agricoltura, quindi carrabile. La natura del diritto reale si è giovata della presumibile intenzione delle parti, alla luce dell’attività svolta dai contraenti.

Anche il terzo e quarto motivo sono stati respinti. La Corte ha ritenuto che la decisione d’appello avesse implicitamente operato il necessario bilanciamento degli interessi e che i ricorrenti non avessero specificato in che modo l’applicazione del Codice Civile del 1865 avrebbe portato a un risultato diverso.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione sull’interpretazione degli atti costitutivi di servitù, specialmente quelli datati. La volontà delle parti e lo scopo pratico per cui un diritto è stato creato prevalgono su una lettura meramente formale del documento. Un atto stipulato un secolo fa per esigenze agricole continua a spiegare i suoi effetti oggi, e la sua portata deve essere valutata alla luce di quelle esigenze originarie, garantendo che la servitù mantenga la sua utilità nel tempo.

Come si interpreta un vecchio atto che costituisce una servitù di passaggio?
Secondo la Corte di Cassazione, non ci si deve fermare al significato letterale delle parole. È necessario indagare la comune intenzione delle parti originarie, considerando il contesto storico, lo scopo economico dell’atto (ad esempio, l’attività agricola) e il comportamento complessivo delle parti.

Se una servitù è stata creata per scopi agricoli, può essere usata per il passaggio di auto moderne?
La sentenza stabilisce che la natura carrabile della servitù, funzionale all’attività agricola originaria (passaggio di carri), giustifica il passaggio con veicoli. La decisione si concentra sulla natura ‘carrabile’ (per veicoli) e non distingue tra mezzi agricoli d’epoca e auto moderne.

È possibile contestare una sentenza d’appello sostenendo che ha alterato una mappa prodotta in giudizio?
È possibile, ma solo se si dimostra un ‘travisamento della prova’, cioè che il giudice abbia basato la sua decisione su un’informazione palesemente errata o inesistente tratta dalla mappa. Se, come in questo caso, la modifica (una linea aggiunta) ha solo scopo esplicativo e la decisione si fonda su altri elementi (l’atto notarile), il motivo di ricorso viene respinto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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