Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1708 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1708 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 37513-2019 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO , nello studio dell’ AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1305/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 24/09/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 18.10.2002 COGNOME NOME evocava in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Vallo della Lucania, invocando l’accertamento del suo diritto di comproprietà, in ragione di un terzo del totale, sulla corte comune esistente intorno all’ex Palazzo NOME sito in Rofrano (SA) nonché della servitù di passaggio costituita con atto per notar COGNOME del 9.1.1967 a carico del fondo intestato a COGNOME NOME, posseduto dal convenuto COGNOME, ed a favore dell’androne del palazzo e della particella 302/e.
Si costituiva il convenuto, resistendo alla domanda ed eccependo, quanto alla servitù, che essa sarebbe ricaduta sulla particella 302/f di proprietà di NOME, e non invece sulla particella 806 di proprietà NOME.
Con sentenza n. 296/2016 il Tribunale rigettava la domanda di rivendicazione della comproprietà della corte, accogliendo invece la actio confessoria servitutis ed affermando che la servitù di transito di cui è causa era stata costituita con atto a rogito del AVV_NOTAIO del 26.1.1965 a carico del fondo di proprietà COGNOME e non anche della particella 302/f di proprietà di NOME.
Con la sentenza impugnata, n. 1305/2019, la Corte di Appello di Salerno rigettava il gravame proposto dal COGNOME avverso la decisione di prime cure, confermandola.
Propone ricorso per la cassazione di tale pronuncia COGNOME NOME, affidandosi a quattro motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c. e la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe affermato, dapprima, che non era dirimente il fatto che l’originario proprietario della particella 302/e non avesse manifestato il consenso alla costituzione della servitù sulle particelle 806 ed 808, già 302 c/d e 302/b, e poi che sarebbe stato rinnovato il consenso alla costituzione del diritto reale sulla particella 302/e. In tal modo, la Corte territoriale sarebbe incorsa in un irriducibile contrasto logico, con conseguente apparenza della motivazione e nullità della decisione impugnata.
Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1027, 1028 e 1058 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale sarebbe incorsa in ulteriore irriducibile contraddizione, affermando che la costituzione, con l’atto AVV_NOTAIO del 1965, della servitù di passaggio a carico della particella 302/e, che all’epoca era di proprietà di NOME, non sarebbe incompatibile con la realità dell’istituto dello ius in re aliena , ben potendosi configurare la costituzione di una servitù anche a favore di terzi. Ad avviso del ricorrente, l’uso, da parte della Corte distrettuale, di espressioni a carattere dubitativo renderebbe perplessa la motivazione e contrasterebbe con il contenuto dell’atto COGNOME del 1967, il quale affermerebbe che il solo NOME NOME sarebbe titolare
del diritto di servitù di passaggio e lo avrebbe ceduto a COGNOME NOME.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe travisato le risultanze della C.T.U. redatta dal perito COGNOME, e dei chiarimenti successivamente resi dall’ausiliario, affermando l’illogicità e l’impossibilità giuridica di una convenzione con la quale NOME avrebbe costituito, con il consenso del COGNOME, un diritto di servitù di passaggio su una striscia di terreno di sua proprietà e a vantaggio di sé medesimo. L’affermazione secondo cui il venditore, NOME, non avrebbe potuto costituire un diritto reale a carico della particella 302/f, che era rimasta di sua proprietà esclusiva, contrasterebbe con le risultanze della C.T.U. e dell’atto per notar COGNOME del 1967.
Con il quarto motivo, il ricorrente si duole infine della violazione e falsa applicazione degli artt. 1027, 1028, 1058, 1321, 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la natura personale del diritto di transito di cui è causa, richiamando genericamente l’utilità fondiaria del fondo dominante, senza tuttavia indicare in cosa si sostanzierebbe, in concreto, detto vantaggio.
Le quattro censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili.
La Corte di Appello ha ritenuto che il diritto di transito di cui è causa fosse stato costituito con il rogito per notar AVV_NOTAIO del 26.1.1965 stipulato tra COGNOME NOME e COGNOME NOME ed ha affermato che ‘Nel caso di specie, non si rileva la natura personale ed il carattere obbligatorio del diritto trasferito, né l’utilitas correlata al diritto di passaggio previsto appare riferita ad elementi soggettivi ed
estrinseci relativi all’attività o alla persona del proprietario del fondo dominante, essendo stato previsto il relativo diritto per un vantaggio obiettivo e reale riferito dal lato attivo e da quello passivo al fondo dominante e al fondo servente, costituendo il passaggio un obiettivo vantaggio diretto del fondo dominante’ (cfr . pag. 7 della sentenza). Pertanto, ha concluso che il diritto di transito di cui si discute costituisse servitù, in quanto dotato dei requisiti di realità ed inerenza diretta al fondo che connotano tale istituto.
La Corte di merito ha poi ritenuto che ‘… con il predetto atto notarile NOME vendette a COGNOME NOME, poi dante causa di COGNOME NOME, la zona di terreno rappresentata in catasto al foglio 13, particelle n. 301 sub b e sub c, n. 302 sub b, c, d, n. 303 sub b e sub d, n. 304 per intero, n. 305/1 sub a, riservando a sé la particella n. 302 f (si vedano le rappresentazioni grafiche a pagina 11 della relazione tecnica depositata in data 20.01.2010 dall’AVV_NOTAIO NOME, nominata consulente tecnico di ufficio in primo grado); nel contempo, NOME, nella postilla n. 1 del citato atto notarile, si riservava ‘… con il pieno consenso del sig. COGNOME … il diritto di passaggio attraverso un viottolo largo un metro, che parte dall’androne del Palazzo, raggiunge la particella 302/e di proprietà di NOME COGNOME‘. NOME riservò a sé, quindi, la particella 302 f (raffigurata in marrone nella predetta rappresentazione grafica), nonché i diritti di comproprietà sull’androne. Da tanto si desume che la servitù di passaggio fu costituita sul fondo venduto a COGNOME NOME (che infatti vi prestò il consenso) a vantaggio dell’androne comune e fino a giungere alla proprietà di NOME n. 302/e, colorata in blu nella sopra indicata rappresentazione grafica. Le parti vollero, dunque, costituire una servitù prediale e, quindi, di natura reale, a vantaggio dei fondi
dominanti indicati espressamente ed a carico del fondo servente trasferito a COGNOME NOME, come puntualmente precisato e con il consenso del titolare’ (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata).
Tale interpretazione del titolo costitutivo del diritto reale non è implausibile, posto che:
-da un lato, sarebbe impossibile ipotizzare l’insistenza di un diritto di servitù, a vantaggio della proprietà di NOME, identificata dalla particella 302/e, incidente sulla particella 302/f, della quale lo stesso NOME si era riservato la proprietà nella vendita del 1965 a favore del COGNOME;
-mentre, dall’altro lato, non avrebbe alcun senso aver previsto, nel predetto contratto, il consenso del COGNOME alla costituzione del diritto reale di transito di cui si discute, ove lo stesso non fosse caduto sulla consistenza ceduta al predetto soggetto.
A siddetta interpretazione, la parte ricorrente contrappone una differente ed alternativa lettura del dato negoziale, senza tuttavia considerare che ‘La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di
legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677; in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013, Rv. 628585).
Né si ravvisa, da ultimo, alcun profilo di contrasto irriducibile tra quanto indicato in sentenza e le risultanze della C.T.U. esperita in corso di causa, posto che la stessa Corte di Appello fonda la propria decisione, in ultima analisi, sugli esiti di quell’accertamento tecnico, che ovviamente valuta unitamente alle altre risultanze istruttorie. Sul punto, è opportuno ribadire che non è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330). Il motivo di ricorso,
infatti, non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).
Né si configura, nel caso di specie, alcun vizio della motivazione, posto che quest’ultima non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 2.200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda