Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 17286 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 17286 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10136/2021 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrenti-
nonchè contro
NOME COGNOME NOME COGNOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n.334/2021 depositata il 29.1.2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17.6.2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione del 2010, COGNOME NOME conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME.
L’attore esponeva che, con atto di liberalità (atto del notaio NOME COGNOME del 29.11.1983 rep. n. 7677), il padre NOME aveva donato a lui ed agli altri figli, NOME, NOME e NOME, distinti appezzamenti di terreno facenti parte del suo fondo in Napoli-Chiaiano, e che i germani donatari, con quello stesso atto, avevano destinato due stradine denominate ‘INDIRIZZO‘ e ‘INDIRIZZO‘, che costeggiavano la strada comune di accesso ai vari lotti (particella 313 del foglio 30 di are 0,53), anch’essa oggetto di donazione, e poi la proprietà COGNOME, a reciproca e perpetua servitù di passaggio pedonale e carrabile (con la sola eccezione di COGNOME NOME, proprietario dell’ultimo appezzamento raggiunto dai viali tra loro in prosecuzione, per il quale la servitù era solo attiva) e di attraversamento al di sotto dei viali dei servizi essenziali a favore dei rispettivi appezzamenti; che con scrittura privata del 30.7.1984 i germani COGNOME avevano poi concordato la riduzione della larghezza del ‘INDIRIZZO‘ e l’ampliamento della larghezza del ‘INDIRIZZO‘.
L’attore deduceva altresì che, con successivo atto pubblico (atto del notaio NOME COGNOME del 28.1.2003, rep. n. 67033), il germano COGNOME NOME aveva alienato la propria porzione di fondo (particella 856 del foglio 30) e la comproprietà della stradina
comune (particella 313 del foglio 30), insieme ai diritti sul ‘INDIRIZZO‘ e sul ‘INDIRIZZO‘ agli altri convenuti, e che NOME, NOME e NOME erano già comproprietari dell’attiguo fabbricato (particella 398 del foglio 6 nel catasto fabbricati) con annesso terreno avente accesso da INDIRIZZO donato loro dalla madre NOME (atto del notaio NOME COGNOME del 30.9.1993, rep. n. 5796).
Tanto premesso, l’attore domandava, per quanto ancora rileva, l’accertamento del suo diritto di proprietà esclusiva sul ‘INDIRIZZO‘, interamente ubicato sulla particella 237/a del foglio 30, e dell’inesistenza di un diritto di servitù di passaggio pedonale e carrabile e di attraversamento sotterraneo dei servizi essenziali a favore del lotto con fabbricato di COGNOME NOME, NOME e NOME (particella 398 del foglio 6 nel catasto fabbricati), e la declaratoria di illegittimità dell’aggravamento della servitù esistente sul ‘INDIRIZZO‘, dovuto alla demolizione di una porzione del muro esistente tra il lotto edificato dei convenuti COGNOME ed il terreno venduto da COGNOME NOME, che era stato adibito a parcheggio privato e non più a frutteto, con conseguente aumento del transito di veicoli sul ‘INDIRIZZO‘, e dovuto all’esecuzione su tale ultimo terreno di due griglie di raccolta e smaltimento delle acque bianche/meteoriche provenienti artificialmente dal vicino fondo donato ai COGNOME dalla madre, acque che venivano convogliate nelle tubazioni sottostanti il ‘INDIRIZZO‘, anziché, come in precedenza, verso l’acquedotto, il tutto con conseguente ripristino dello stato dei luoghi e con la riedificazione del muro di confine tra la particella già di NOME NOME e l’attiguo fabbricato con terreno donato ai COGNOME dalla madre.
Si costituiva nel giudizio di primo grado COGNOME COGNOME che dichiarava di non opporsi alla rettifica del suo atto di vendita, al fine di chiarire che, quanto ai ‘INDIRIZZO‘, non vi era stato
trasferimento da parte sua di comproprietà, ma solo delle servitù su essi costituite dai germani COGNOME.
Si costituivano altresì tardivamente NOME, NOME, NOME, COGNOME NOME e NOME, che contrastavano le domande dell’attore, mentre NOME e NOME rimanevano contumaci.
Con la sentenza n. 8516/2016 il Tribunale di Napoli, previo espletamento di CTU, per quanto ancora rileva, così disponeva:
dichiarava il difetto di interesse dell’attore a fare accertare la sua proprietà esclusiva sul ‘INDIRIZZO‘ ed a fare correggere l’atto di vendita di COGNOME NOME agli altri convenuti, essendo chiaro che con esso erano stati venduti dal predetto la proprietà della particella 856 del foglio 30 e la comproprietà della stradina comune (particella 313 del foglio 30), con le servitù reciproche costituite dai germani COGNOME sui ‘INDIRIZZO e INDIRIZZO‘;
accoglieva l’actio negatoria servitutis, negando l’esistenza sul ‘viale 1’ di servitù a favore del fabbricato (particella 398 del foglio 6 nel catasto fabbricati) con annesso terreno che COGNOME NOME aveva donato a NOME, NOME e NOME;
accoglieva l’azione volta a contrastare l’aggravamento delle servitù esistenti sul ‘viale 1’ ex art. 1067 cod. civ., ravvisandolo sia nella trasformazione del terreno di COGNOME NOME, adibito a frutteto, in parcheggio collegato al fabbricato confinante abitato dagli acquirenti dello stesso, con conseguente ordine ai medesimi di non esercitare il passaggio carrabile sul ‘INDIRIZZO‘ per raggiungere il fondo di loro proprietà, sia nella realizzazione delle griglie e delle condotte di scarico delle acque meteoriche su quel terreno, che convogliavano nelle condotte sotterranee del ‘INDIRIZZO‘ le acque artificialmente provenienti dal terreno sul quale sorgeva l’abitazione dei suddetti acquirenti, con conseguente ordine di chiusura della canalizzazione realizzata;
d) rigettava le altre domande avanzate dall’attore, compensava per 1/3 le spese tra l’attore ed i convenuti COGNOME e rispettivi coniugi, condannandoli al pagamento dei residui 2/3 e delle spese di CTU, e condannando COGNOME NOME al pagamento delle spese dei COGNOME e rispettivi coniugi.
COGNOME NOME, COGNOME Noè, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME impugnavano la sentenza di primo grado, e COGNOME NOME resisteva al gravame, mentre restavano contumaci in secondo grado COGNOME Angelo, COGNOME NOME e NOME.
Con la sentenza n. 334/2021 del 31.12.2020/29.1.2021, la Corte d’Appello di Napoli, in parziale accoglimento dell’impugnazione, dichiarava l’esistenza della servitù di passaggio, pedonale e carrabile, sul ‘INDIRIZZO‘ e sul ‘INDIRIZZO, a favore della particella 856 del foglio 30, venduta agli altri originari convenuti da NOME NOME, negando in motivazione che ci fosse stato aggravamento della servitù di passaggio, e confermando invece, in motivazione, che vi era stato l’aggravamento della servitù di attraversamento sotterraneo per servizi essenziali del ‘INDIRIZZO‘ riconosciuto in primo grado, compensando le spese di entrambi i gradi per le parti costituite. La Corte distrettuale riteneva che l’esistenza e l’estensione della servitù risultassero, sia quanto al tracciato ed alla relativa larghezza, sia quanto al contenuto specifico, dall’atto di donazione del notaio NOME COGNOME del 29.11.1983 rep. n. 7677 e dalla planimetria allegatavi, e dall’accordo ivi contenuto tra i donatari, come poi modificato con la scrittura privata del 30.7.1984 dei germani NOMECOGNOME con conseguente insussistenza della necessità di ricorrere all’applicazione del criterio sussidiario dell’art. 1065 comma 2° cod. civ (criterio del soddisfacimento del bisogno del fondo dominante col minor aggravio per il fondo servente), che era stato invece utilizzato dalla sentenza di primo grado.
Osservava altresì la Corte partenopea, che l’abbattimento di un tratto del muro di confine, prima esistente tra il fabbricato con
terreno donato ai COGNOME dalla madre ed il fondo dominante, venduto da COGNOME NOME agli altri convenuti, per consentire il passaggio, costituente esercizio della facoltà non comprimibile di godimento dei proprietari, non aveva determinato alterazione alcuna della funzione economico-giuridica del fondo dominante, e che, peraltro, gli accorgimenti adottati dal Tribunale per far fronte all’asserito aggravio della servitù di passaggio, avevano di fatto privato gli appellanti del diritto di servitù di passaggio carrabile a favore della particella 856 del foglio 30, loro trasmesso dall’alienante.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso a questa Corte, articolando sette censure, e COGNOME Giuseppe, COGNOME Noè, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso, mentre COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME sono rimasti intimati.
In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo, articolato ai sensi dell’art. 360, comma 1°, nn. 4) e 5) c.p.c., il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 156, comma 2° c.p.c. e dell’art. 116 c.p.c.. Il Giudice di secondo grado con motivazione erronea, illogica e contrastante tra motivazione e dispositivo, avrebbe errato nell’individuazione dei beni e dei diritti oggetto della servitù contestata, riconoscendo agli appellanti un diritto mai contestato sotto il profilo dell’esistenza, bensì del solo aggravamento, diritto che non era stato soppresso dalla sentenza di primo grado. Nel corpo del motivo il ricorrente evidenzia, che l’impugnata sentenza, a pagina 10, ha erroneamente ricollegato la servitù al presupposto della comproprietà del ‘INDIRIZZO‘ ed al contenuto dell’atto del notaio COGNOME del 29.11.1983, col quale in realtà il donante COGNOME NOME non aveva adottato alcuna
determinazione sulle servitù, a pagina 11 ha evidenziato che il viale prima dell’acquisto dei germani NOME era solo in parte asfaltato, anziché concentrarsi sulla condizione del fondo dominante (particella 856 del foglio 30) venduto da COGNOME NOME agli altri convenuti, ed a pagina 14 avrebbe erroneamente ritenuto che la sentenza di primo grado avesse privato gli appellanti della servitù di passaggio a favore di quella particella trasferita loro da COGNOME Angelo.
Il motivo é inammissibile, anzitutto perché dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. apportata dall’art. 54 comma 1 lettera b) del D.L. 22.6.2012 n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7.8.2012 n. 134, non é più censurabile la motivazione erronea, illogica, o contraddittoria, ma solo la motivazione inesistente, o meramente apparente, o perplessa al punto tale da non consentire di comprendere le ragioni della decisione. Si richiama in particolare, la sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite n. 8053/2014, che ha evidenziato come ” La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazion e….”; è di conseguenza denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. solo ” l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del
semplice difetto di “sufficienza” della motivazione “, e deve essere tale da comportare la nullità della sentenza per sostanziale mancanza della motivazione ex art. 132 co. 2 n.4 c.p.c..
Nel caso di specie, palesemente non ricorrono le ridotte ipotesi di vizio motivazionale ancora censurabili in sede di legittimità, in quanto l’impugnata sentenza ha plausibilmente ricostruito la comune intenzione dei germani COGNOME sulla base del tenore letterale del loro accordo contenuto nell’atto di donazione del notaio COGNOME del 29.11.1983 e poi modificato con la scrittura privata del 30.7.1984 e della planimetria allegatavi rappresentante il ‘INDIRIZZO‘, ricadente per intero sulla proprietà di NOME NOME, ed il ‘INDIRIZZO‘, ricadente sulla proprietà di altri germani NOME, nonché la particella rimasta comune nel tratto iniziale del percorso (particella 313 del foglio 30), e sulla base del comportamento complessivo dei germani NOME, che hanno costituito le servitù oggetto di causa allo scopo di edificare le porzioni a ciascuno assegnate per donazione dal padre, originariamente destinate a frutteto, come confermato dal fatto che tutti hanno poi costruito le proprie abitazioni, tranne che NOME NOME, che ha preferito vendere il terreno donatogli (particella 856 del foglio 30) agli altri convenuti, il tutto in un’area che ha totalmente perso la vocazione agricola. L’impugnata sentenza ha poi correttamente ritenuto, che in ragione dell’esatta determinazione convenzionale del contenuto e delle modalità di esercizio delle servitù, corroborata anche dall’indicazione della precisa larghezza del ‘INDIRIZZO‘ e del ‘INDIRIZZO‘, e del fatto che il passaggio carrabile potesse essere esercitato con qualunque mezzo, dovesse escludersi il ricorso al criterio sussidiario di determinazione dell’estensione e delle modalità di esercizio delle servitù di cui all’art. 1065 comma 2° cod. civ., ossia al criterio del soddisfacimento del bisogno del fondo dominante col minor aggravio per il fondo servente. Ciò dimostra inequivocamente, che al di là di qualche sbavatura nell’indicazione
del ‘viale 1’ come oggetto di comproprietà, anziché di proprietà esclusiva del ricorrente gravata da servitù a favore delle porzioni donate ai suoi fratelli, e della volontà del donante dell’atto di donazione del notaio COGNOME, anziché di quella manifestata dai donatari fratelli COGNOME nel medesimo atto, la Corte distrettuale ha correttamente ricostruito l’esistenza ed il contenuto delle servitù in questione, applicando la normativa relativa proprio alle servitù e non alla comproprietà, e riferendosi alla volontà costitutiva e modificativa manifestata dai germani COGNOME.
La sentenza di secondo grado, ha poi opportunamente distinto, il perimetro dell’ actio negatoria servitutis accolta dalla sentenza di primo grado, sul punto non impugnata, attinente alla negazione dell’esistenza di servitù sul ‘INDIRIZZO‘ a favore del fabbricato con terreno oggetto di donazione a favore dei fratelli COGNOME da parte della madre COGNOME NOME (particella 398 del foglio 6 nel catasto fabbricati), da quello dell’azione volta a contestare l’aggravamento delle servitù effettivamente esistenti sul ‘INDIRIZZO‘, ma a favore della porzione di terreno venduta da COGNOME NOME agli altri convenuti (particella 856 del foglio 30), ed avendo confermato la sussistenza dell’aggravamento della servitù di passaggio dei servizi essenziali interrati sotto il ‘INDIRIZZO‘, già riconosciuto in primo grado, nulla di specifico ha stabilito nel dispositivo, essendo sufficiente il rigetto dell’appello connesso al suo accoglimento solo parziale.
Di contro, avendo ritenuto non provato l’aggravamento della servitù di passaggio carrabile rispetto all’ampio contenuto previsto convenzionalmente dai germani NOME, aggravamento che invece aveva indotto il Tribunale di Napoli ad ordinare agli acquirenti di COGNOME NOME convenuti di non esercitare il passaggio carrabile sul ‘INDIRIZZO‘ per raggiungere la particella 856 del foglio 30, in tal modo negando loro un diritto di servitù che invece spettava a COGNOME NOME in base agli accordi coi fratelli COGNOME e quindi anche ai di lui aventi causa, in forza dell’atto di
compravendita del notaio NOME COGNOME del 28.1.2003, rep. n.67033, la Corte distrettuale, nel dispositivo, ha dovuto ribadire la sussistenza della servitù di passaggio oltre che pedonale, anche carrabile, sul ‘INDIRIZZO, a favore della particella 856 del foglio 30, sulla base dell’atto del notaio COGNOME del 29.11.1983 e della scrittura privata del 30.7.1984, fermo restando il giudicato negativo formatosi in primo grado sull’insussistenza della medesima servitù di passaggio a favore della particella 398 del foglio 6 del catasto fabbricati. Non vi é stato, quindi, alcun contrasto tra motivazione e dispositivo, né vi é stata erronea individuazione delle particelle gravate da servitù ed oggetto di doglianza nell’originario atto di citazione.
Per il resto il motivo contrappone, inammissibilmente, una propria diversa interpretazione degli atti costitutivi delle servitù oggetto di causa, senza individuare specifiche violazioni da parte della Corte distrettuale dei criteri d’interpretazione del contratto.
2) Col secondo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. Si assume che la Corte territoriale sarebbe incorsa nella violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, riconoscendo la sussistenza del diritto di passaggio anche sul ‘ INDIRIZZO ‘, che non costituiva oggetto della domanda giudiziale, nè dell’appello, né di alcuna difesa o eccezione.
Questo motivo é invece fondato.
L’atto di appello di COGNOME Giuseppe, COGNOME Noè, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, e così pure le domande avanzate nell’atto di citazione di primo grado di COGNOME NOME, e le stesse difese spiegate dagli originari convenuti per resistervi, non hanno mai riguardato l’accertamento della servitù di passaggio pedonale e carrabile sul ‘ INDIRIZZO ‘ a favore della particella 856 del foglio 30, venduta da COGNOME NOME agli altri originari convenuti, con l’atto del notaio NOME COGNOME del 28.1.2003, rep. n. 6703, non
essendo il ‘ INDIRIZZO ‘ mai menzionato nella motivazione della sentenza impugnata, e del resto mentre il ‘ INDIRIZZO ‘ attraversa la particella 237/a del foglio 3, di proprietà esclusiva dell’originario attore COGNOME NOME, che pertanto era per esso legittimato ad esercitare sia l’ actio negatoria servitutis, sia un’azione volta a contestare l’aggravamento delle servitù su esso costituite convenzionalmente, il ‘ INDIRIZZO ‘, costituente prosecuzione del ‘ INDIRIZZO ‘, attraversava particelle donate ad altri fratelli NOME dal padre NOME, i quali non hanno mai partecipato al giudizio.
Quindi il vizio denunziato sussiste e comporta la cassazione della sentenza.
Ritiene tuttavia la Corte, che non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, all’accoglimento del secondo motivo di ricorso, non debba seguire la cassazione con rinvio, ma la decisione nel merito ex art. 384 comma 2° cod. civ..
Va quindi dichiarata la sussistenza in favore di NOME, Riccio Noè, NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME NOME e NOME quali proprietari della particella 856 del foglio 30 del NCT del Comune di Napoli della servitù di passaggio pedonale e carrabile sul tracciato denominato ‘INDIRIZZO‘ costituita con l’atto del notaio NOME COGNOME del 29.11.1983 rep. n. 7677, poi modificato con la scrittura privata sottoscritta da COGNOME NOME, NOME, NOME e NOME il 30.7.1984 .
3) Attraverso la terza censura, articolata ai sensi dell’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 4) c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1366 e 2700 cod. civ. e dell’art. 116 c.p.c., e l’erronea, illogica e contraddittoria valutazione delle prove documentali e dell’istruttoria. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente valutato i rogiti, lo stato dei luoghi e i diritti in contestazione, individuando nella comproprietà del ‘INDIRIZZO‘ che, per converso, era di proprietà esclusiva dell’odierno ricorrente -il presupposto per la costituzione del diritto di passaggio.
Il terzo motivo é inammissibile, perché volto ad ottenere in sede di legittimità una rivalutazione in fatto delle risultanze istruttorie, enfatizzando il peso della mera svista compiuta dal giudice di secondo grado, nell’indicare a pagina 10, che i fratelli COGNOME sarebbero stati comproprietari delle porzioni di terreno destinate a costituire il viale di collegamento delle stesse, mentre in realtà, nel corpo della motivazione già illustrata, la Corte d’Appello ha correttamente ritenuto che il ‘viale 1’ fosse gravato solo da servitù convenzionali, e non che fosse oggetto di comproprietà dell’originario attore NOME NOME coi suoi fratelli.
Per il resto l’interpretazione del contratto si traduce in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, che non può che competere al giudice di merito, e si risolve perciò in un’indagine censurabile per cassazione per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., oppure -nel vigore del testo novellato dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. -nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (Cass. ord. 4.6.2025 n. 14924; Cass. 14.7.2016 n. 14355). In particolare, allorché si alleghi che nell’interpretazione del contratto il giudice sia incorso in un errore di diritto per aver violato i criteri enunciati a tal fine negli artt. 1362 e segg. cod. civ., è necessario, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che in esso siano motivatamente specificati i suddetti canoni ermeneutici in concreto violati, nonché il punto ed il modo in cui giudice del merito si sia da essi discostato, con la conseguenza che la parte ricorrente è tenuta, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, a riportare in quest’ultimo il testo della fonte pattizia denunciata al fine di consentirne il controllo da parte della Corte di cassazione, che non può sopperire alle lacune dell’atto di impugnazione con indagini integrative (Cass. sez. un. 8.5.2007 n. 10374). E tuttavia, quand’anche il ricorso soddisfi questo onere di autosufficienza, trattandosi di un giudizio declinato
in fatto, l’interpretazione data dal giudice di merito di un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. ord. 4.6.2025 n. 14924; Cass. 20.11.2009 n. 24539). La censura a tale titolo formulata non deve in altre parole risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. 28.11.2017 n. 28319), in quanto il il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. 10.2.2015 n. 2465).
In realtà il ricorrente si é limitato a richiamare in rubrica le violazioni degli articoli 1362 (interpretazione secondo l’intenzione dei contraenti) e 1366 cod. civ. (interpretazione secondo buona fede), senza spiegare sotto quale profilo tali criteri ermeneutici sarebbero stati in concreto violati, e ripropone autonomamente l’interpretazione delle servitù che era stata data dal giudice di primo grado, senza censurare l’argomentazione della Corte d’Appello, in base alla quale il ricorso al criterio sussidiario di determinazione dell’estensione e delle modalità di esercizio delle servitù dell’art. 1065 comma 2° cod. civ. era precluso dalla chiarezza e completezza dei titoli convenzionali costitutivi delle servitù medesime (vedi sulla sussidiarietà del criterio dell’art. 1065
comma 2° cod. civ. Cass. 11.6.2018 n. 15046; Cass. 23.3.2017 n.7564).
Per il resto, non può essere invocata la violazione dell’art. 2700 cod. civ., che regola l’efficacia privilegiata dell’atto pubblico, allo scopo di ottenerne una diversa interpretazione in sede di legittimità, e la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo se si alleghi che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativasecondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, il valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta a una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (Cass. sez. un. 30.9.2020 n. 20867), e non allo scopo di sollecitare una diversa valutazione in fatto delle risultanze istruttorie.
4) Con la quarta doglianza, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1067 cod. civ., nonché la motivazione contraddittoria ed illogica. Pur avendo correttamente rilevato che la carenza di titolo costitutivo impedisce di parlare di aggravamento del peso esistente sul fondo servente a beneficio di un altro fondo annesso a quello dominante, la Corte d’Appello avrebbe censurato la statuizione con cui il primo Giudice aveva adottato alcuni accorgimenti volti all’eliminazione dell’aggravamento della servitù di passaggio carrabile sul ‘INDIRIZZO, ritenendo erroneamente che gli stessi avessero determinato una soppressione del diritto di passaggio trasmesso da COGNOME NOME agli altri originari convenuti.
Anche tale motivo é inammissibile, sia in quanto, come già esposto, la motivazione contraddittoria ed illogica non é più censurabile dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. del 2012, sia in quanto il ricorrente non assume che l’impugnata sentenza abbia
adottato un’errata nozione di aggravamento della servitù ex art. 1067 cod. civ.. Di esso si può parlare solo in relazione ad una servitù effettivamente esistente, ragione per la quale già la sentenza di primo grado, sul punto non impugnata, ha negato l’esistenza delle servitù sul ‘viale 1’ a favore della particella oggetto di donazione a favore dei fratelli COGNOME da parte della madre COGNOME NOME (particella 398 del foglio 6 nel catasto fabbricati), escludendo quindi, che in relazione ad essa, potesse parlarsi di aggravamento delle servitù convenzionalmente costituite, aventi come fondo dominante solo la confinante particella 856 del foglio 30. Orbene, la sentenza impugnata ha implicitamente revocato l’ordine di inibizione del passaggio carrabile sul ‘INDIRIZZO‘, che era stato impartito dalla sentenza di primo grado ai convenuti che avevano acquistato la particella 856 del foglio 30 da COGNOME NOME, riaffermando in dispositivo l’esistenza di tale diritto di passaggio carrabile, perché quell’ordine aveva finito per intaccare il diritto che quei convenuti avevano legittimamente acquistato da COGNOME NOME con l’atto del notaio NOME COGNOME del 28.1.2003, rep. n. 67033, e perché non era stata fornita prova di un aggravamento di quella servitù, che era consentita senza limiti, con qualunque mezzo meccanico, in rapporto alla larghezza del ‘viale 1’, sulla base dei titoli convenzionali interpretati.
Con la quinta censura, articolata in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 4) c.p.c., si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1063, 1065, 1067, 1362 e 1366 cod. civ.. La Corte partenopea avrebbe erroneamente ritenuto sufficiente la disciplina prevista dall’art. 1063 cod. civ. e non necessaria l’applicazione di quella prescritta dai successivi artt. 1064 e 1065 cod. civ., sull’erroneo presupposto che il diritto di passaggio carrabile fosse esaustivamente contemplato nell’atto negoziale di compravendita e negli atti notarili in esso richiamati.
Il motivo é infondato, sia perchè non é stato chiarito il punto ed il modo in cui giudice del merito si sarebbe discostato dai criteri ermeneutici richiamati (articoli 1362 e 1366 cod. civ.), sia perchè non é stata negata la natura sussidiaria del criterio ermeneutico dell’estensione e delle modalità di esercizio delle servitù dell’art. 1065 comma 2° cod. civ. rispetto al criterio prioritario del riferimento al titolo costitutivo, stabilito dall’art. 1063 cod. civ., e si vorrebbe ottenere, in sede di legittimità, una rivalutazione in fatto della completezza dei titoli costitutivi della servitù, in contrasto con la pur plausibile ricostruzione compiuta dalla Corte d’Appello.
Attraverso la sesta doglianza si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione alle risultanze della CTU nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 5) c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio. Il Giudice di secondo grado, omettendo di valutare le risultanze probatorie esaminate approfonditamente dal Tribunale, avrebbe erroneamente riconosciuto il solo aggravamento delle servitù di attraversamento sotterraneo dei servizi essenziali sotto il ‘INDIRIZZO‘, ritenendo che il passaggio creato nel muro divisorio tra il fondo dominante (particella 856 del foglio 30) ed il fabbricato con annesso terreno donato da NOME ai figli NOME, NOME e NOME (particella 398 del foglio 6 del catasto fabbricati) non abbia determinato alcun aggravio della servitù di passaggio carrabile preesistente.
Il motivo é inammissibile per difetto di autosufficienza, anzitutto perché non risulta chiarito, nonostante il richiamo all’art. 111 della Costituzione, il profilo motivazionale specifico che si assume carente, e pur essendo richiamato l’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., non risultano individuati i fatti storici principali, o secondari, decisivi, che non sarebbero stati considerati dalla Corte d’Appello, e si punta palesemente ad ottenere, in sede di legittimità, una
rivalutazione in fatto, non consentita, di tutto il materiale probatorio acquisito, che riporti alle statuizioni adottate dal giudice di primo grado.
Va poi aggiunto che in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. non può porsi per un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. ord. 5.6.2025 n. 15096; Cass. 1.3.2022 n. 6774; Cass. ord. 12.10.2021 n. 27847; Cass. sez. un. 30.9.2020 n. 20867; Cass. ord. 17.1.2019 n. 1229).
Ed ancora, il potere del giudice di valutazione della prova non è sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell’art. 116 c.p.c., quale apprezzamento riferito ad un astratto e generale parametro non prudente della prova, posto che l’utilizzo del pronome “suo” è estrinsecazione dello specifico prudente apprezzamento del giudice della causa, a garanzia dell’autonomia del giudizio in ordine ai fatti relativi, salvo il limite che “la legge disponga altrimenti” (Cass. ord. 5.6.2025 n. 15096; Cass. ord. 17.11.2021 n. 34786; Cass. ord. 19.7.2021 n. 20553; Cass. 1.6.2021 n. 15276; Cass. ord. 7.1.2014 n. 91).
7) Infine, c ol settimo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., ci si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 90 e 91 c.p.c. sul governo delle spese.
Secondo il ricorrente, tanto l’infondatezza delle censure articolate dagli appellanti, quanto la condotta da essi tenuta nella fase stragiudiziale e in sede processuale, avrebbero dovuto condurre il
Giudice del gravame a confermare la statuizione del Tribunale in ordine alle spese del primo grado, e a condannare gli appellanti stessi al versamento di quelle di secondo grado.
Il motivo é infondato.
Premesso che la modesta modifica apportata in questa sede al solo dispositivo della sentenza impugnata, non ha modificato la sostanza della decisione adottata dal giudice di secondo grado, la Corte d’Appello ha legittimamente disposto, in base all’esito finale complessivo della lite, la compensazione delle spese processuali di primo e di secondo grado tra le parti costituite, in ragione della reciproca soccombenza, ex art. 92 comma 2° c.p.c., posto che alcune delle domande avanzate da NOME erano state accolte, mentre altre erano state respinte.
In materia di compensazione delle spese, ” il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittorios a” (vedi tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. 17.1.2024 n. 1763; Cass. ord. 3.2.2023 n. 3308; Cass. ord. 27.12.2022 n. 37825; Cass. ord. 17.4.2019 n.10685). Ebbene, nessun dubbio può esservi sul fatto che non vi sia stata una parte totalmente vittoriosa.
La reciproca soccombenza delle parti giustifica, la compensazione integrale di tutte le spese processuali tra il ricorrente ed i controricorrenti, mentre nulla va disposto per gli intimati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinge i restanti; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto, e decidendo nel merito, dichiara la sussistenza in favore di COGNOME NOME, COGNOME Noè, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME NOME e NOME, quali proprietari della particella 856 del foglio 30 del NCT del Comune di Napoli, della servitù di
passaggio pedonale e carrabile sul tracciato denominato ‘INDIRIZZO‘ ubicato sulla particella 237/a del foglio 30 del NCT del Comune di Napoli, costituita con l’atto del notaio NOME COGNOME del 29.11.1983 rep. n. 7677, poi modificato con la scrittura privata sottoscritta da COGNOME Luigi, NOMECOGNOME NOME e NOME il 30.7.1984. Compensa le spese di tutti i gradi di giudizio e di CTU.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17.6.2025