Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19380 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19380 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7659/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’ avvocato NOME AVV_NOTAIO COGNOME
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME COGNOME, COGNOME NOME;
– intimati –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 465/2021 depositata il 08/02/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Torre Annunziata, decidendo sulle domande proposte dai coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME nei confronti dei germani COGNOME NOME e COGNOME NOME, i primi proprietari di un appartamento al piano terra e i secondi, rispettivamente , proprietari dell’appartamento al primo e al secondo piano , siti nello stabile in Piano di Sorrento, alla INDIRIZZO, e su quelle avanzate dai germani COGNOME contro i coniugi COGNOME–COGNOME in separato giudizio, previa riunione delle cause, in parziale accoglimento delle contrapposte istanze, così provvedeva: 1) condannava COGNOME NOME e COGNOME NOME a consentire l’accesso al sottoscala attraverso l’androne dei locali garage di essi convenuti; 2) condannava COGNOME NOME e COGNOME NOME a rimuovere le condutture elettriche ed idriche apposte lungo la porzione di viale ( p.lla 1422) di proprietà COGNOME; 3) accertava la comunione in favore dei COGNOME dello stanzino posto nel sottoscala e di cui al punto d) della citazione; 4) condannava COGNOME NOME e COGNOME NOME ad eliminare la cassetta di fili elettrici a ll’interno della cassa scala comune; 5) condannava i coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME alla restituzione della porzione di fondo di mq 13, dai medesimi occupata, in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME; 6) rigettava le ulteriori domande formulate dalle parti; 7) rigettava le domande riconvenzionali formulate dai coniugi COGNOME/COGNOME nel giudizio riunito.
I coniugi COGNOME/COGNOME, proponevano appello avverso tale decisione chiedendo, in parziale riforma della stessa, rigettarsi la domanda dei COGNOME di rilascio dell’area di mq 13 ed accogliersi la domanda riconvenzionale di essi appellanti di demolizione della
veranda realizzata da COGNOME NOME sul balcone del secondo piano e di negatoria servitutis del passaggio carraio esercitato dai COGNOME sulla p.lla 1422 di loro proprietà.
COGNOME NOME e COGNOME NOME resistevano al gravame (quest’ultima quale erede di COGNOME NOME) e a loro volta proponevano appello incidentale per ottenere l’accoglimento della loro domanda di condanna dei coniugi COGNOME/COGNOME ad eliminare l’unione dei due terrazzini in unica balconata per violazione dell’art. 1120 c.c., quanto al decoro architettonico del fabbricato e la scala di comunicazione dell’appartamento dei predetti coniugi con il loro giardino perché costituente aggravio della servitù di passaggio in danno del cortile di proprietà esclusiva COGNOME.
La Corte d’Appello di Napoli rigettava sia l’ impugnazione principale che quella incidentale.
S econdo la Corte d’Appello , per quel che ancora rileva in questo giudizio, il Tribunale aveva ben interpretato l’atto di divisione del 1985 per AVV_NOTAIO, recependo sul punto gli esiti della CTU, laddove aveva ritenuto che quella costituita sulla p.lla 1422 fosse servitù sia pedonale che carrabile, traendo argomenti univoci e concordanti dalle previsioni del titolo e segnatamente: – la larghezza di metri 2 del costruendo viale (insistente in parte anche sulla p.lla 1422 di COGNOME) gravato da servitù (art. 30 pag. 20 atto per AVV_NOTAIO COGNOME del 1985); la possibilità di sostare sui viali (tra cui quello di causa) solo per il tempo occorrente per il carico e scarico delle auto (pag. 21 atto COGNOME del 1985).
Precisazione quest’ultima che, all’evidenza, sarebbe stata del tutto ultronea se la servitù fosse stata intesa dalle parti solo come pedonale e che, invece, evidenziava in modo chiaro ed espresso la volontà delle stesse di costituire una servitù anche carrabile.
In tali termini, il primo giudice aveva correttamente affermato la sussistenza di una servitù carrabile sulla base del titolo gravante sulla p.lla 1422 dei coniugi COGNOME senza affatto fondare la sua decisione su mere presunzioni, come asserito dagli appellanti.
Sicché non vi era alcuna violazione dei principi giurisprudenziali in materia, dal momento che il contenuto ed i limiti della servitù di passaggio erano stati correttamente desunti dal titolo costitutivo interpretato anche in rapporto alla situazione dei luoghi.
La Corte rigettava anche l’appello incidentale ma le relative questioni non sono rilevanti in questo giudizio.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi di ricorso.
Le parti intimate non hanno svolto difese in questa sede.
Parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e ss. c.c. Violazione delle regole di interpretazione -Motivazione errata -Violazione artt. 1063, 1064 e 1065 c.c. – Motivazione inesistente o contraddittoria – Omesso esame di fatti decisivi -Illogicità.
I ricorrenti intendono proporre ricorso unicamente avverso una delle decisioni adottate dalla Corte di Appello e, per l’esattezza, quella con cui il Giudice di secondo grado ha rigettato la domanda per la declaratoria di inesistenza di servitù carraia da parte dei COGNOME sulla p.lla 1422 di proprietà COGNOME.
I ricorrenti ritengono erronea l’ interpretazione data dalla Corte d’Appello all’atto stipulato dal AVV_NOTAIO nel maggio del 1985, dove era prevista ‘ la possibilità di sostare sui viali (tra cui quello di causa) solo per il tempo occorrente per il carico e scarico delle auto’ .
In realtà, proprio tale possibilità indicata nell’atto AVV_NOTAIO , costituirebbe prova della natura solo pedonale della servitù. L ‘inciso ” il costruendo viale dovrà avere una larghezza di 2 metri, dovrà essere sempre lasciato sgombro e sarà permessa la sola sosta per il tempo occorrente per il carico e scarico delle auto ” non potrebbe intendersi riferito alle modalità di esercizio della servitù da parte dei proprietari del fondo dominante, cioè i COGNOME. Piuttosto rientrerebbe negli obblighi imposti ai proprietari del fondo servente e cioè ai coniugi COGNOME/COGNOME al fine di rendere agevole il passaggio pedonale ad essi COGNOME.
In altri termini, sarebbero con tutta evidenza i coniugi COGNOME (e prima la loro dante causa NOME COGNOME ) che l’atto COGNOME onera a non sostare con l’auto sul viale e ciò con l’evidente fine di evitare che la sosta di mezzi possa intralciare il passaggio pedonale. Infatti, ove gli appellanti COGNOME avessero sostato stabilmente con l’auto sul viale avrebbero impedito ai COGNOME il normale e comodo esercizio dell’unica servitù stabilita in loro favore dall’atto AVV_NOTAIO, quella pedonale.
Sarebbe questa l’unica interpretazione possibile della disposizione contenuta nell’atto del AVV_NOTAIO. Diversamente opinando non si comprenderebbe quale possa essere la necessità per il proprietario del fondo dominante (nel nostro caso i COGNOME) di sostare sul viale, all’interno del fondo servente, e qui caricarvi o scaricarvi merci da trasportare, poi, a mano nel proprio fondo.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione artt. 1362 c.c. e 1063, 1064 e 1065 c.c. – Motivazione inesistente o contraddittoria -Violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale fissati dall’art. 1362 c.c. – Errata interpretazione Omesso esame di fatti decisivi quali l’atto di divisione per AVV_NOTAIO del 10 maggio 1985 -Illogicità -Contrasto di questa decisione con altra sul medesimo punto emessa da altra sezione della medesima Corte di Appello Civile di Napoli.
I ricorrenti ritengono indispensabile richiamare le conclusioni a cui nel parallelo procedimento definito con la sentenza 2539/21 è giunta la Sesta Sezione della Corte di Appello Civile di Napoli.
La Corte territoriale ha confermato la sentenza 1180/16 con cui il Tribunale di Torre Annunziata aveva rigettato la domanda (proposta nel 2007) con cui essi NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedevano la rimozione di un paletto apposto dagli acquire nti dell’immobile dei COGNOME, i coniugi COGNOME, all’ingresso del viale già oggetto di contestazione nei procedimenti già instaurati e oggetto della sentenza 465/2021 di cui si chiede l’annullamento.
E, dunque, la sentenza emessa dalla VI Sezione della Corte di Appello Civile, facendo buon uso delle regole ermeneutiche stabilite
dall’art. 1362 c.c., a vrebbe correttamente interpretato la disposizione contenuta nell’atto di divisione per AVV_NOTAIO del 1985.
La sentenza 465/21 sarebbe stata resa violando le disposizioni codicistiche fissate negli articoli 1063, 1064 e 1065 del c.c. e violando i canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 c.c. e ss. ovvero attribuendo alla volontà negoziale delle parti un significato in contrasto con il tenore chiaro e inequivocabile dell’atto. Da qui la illogica e poco attendibile motivazione.
La servitù di passo carrabile si differenzia da quella di passaggio pedonale per la maggiore ampiezza del suo contenuto, in quanto soddisfa l’ulteriore esigenza di trasporto con veicoli di persone e merci da e verso il fondo dominante. Ciò comporta che dal l’esistenza della servitù di passo pedonale non può desumersi anche l’esistenza del passo carrabile (Cass. civ. sez. II 23/07/2018 n. 19483). Costituisce principio consolidato che la servitù di passaggio generica non autorizzi l’uso dell’automobile (Cassazione civile, sez. II, sentenza n. 5434 del 2010). Il fatto che esista una servitù di passaggio non offre la garanzia all’avente diritto di poter transitare liberamente sul bene altrui anche con l’autovettura. Sempre nel corpo della sentenza n. 5434/2010 :’se il titolo costitutivo non lo prevede in modo chiaro e preciso si deve ritenere che il beneficiario abbia il potere di passare solamente a piedi’ e anc ora ‘in tema di servitù prediali, l’art. 1063 c.c. stabilisce una graduatoria delle fonti regolatrici dell’estensione e dell’esercizio delle servitù, ponendo a fonte primaria il titolo costitutivo del diritto, mentre i precetti dettati dai successivi art. 1064 e 1065 c.c.
rivestono carattere meramente sussidiario. Tali precetti, pertanto, possono trovare applicazione soltanto quando il titolo manifesti al riguardo lacune o imprecisioni non superabili mediante l’impiego di adeguati criteri ermeneutici’ .
I primi due motivi, che per l’ evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
La questione ruota intorno all’interpretazione del titolo costitutivo della servitù di passaggio in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME se comprendente anche il passaggio veicolare o solo quello pedonale.
Secondo la sentenza in questa sede impugnata il Tribunale aveva ben interpretato l’atto di divisione del 1985 per AVV_NOTAIO (prodotto in atti), recependo sul punto gli esiti della CTU, laddove aveva ritenuto che quella costituita sulla p.lla 1422 fosse servitù sia pedonale che carrabile, traendo argomenti univoci e concordanti dalle previsioni del titolo e segnatamente: – la larghezza di metri 2 del costruendo viale (insistente in parte anche sulla p.lla 1422 di COGNOME) gravato da servitù ( v. art. 30 pag. 20 atto per AVV_NOTAIO COGNOME del 1985); la possibilità di sostare sui viali (tra cui quello di causa) solo per il tempo occorrente per il carico e scarico delle auto ( v. pag. 21 atto COGNOME del 1985).
Precisazione quest’ultima che, all’evidenza, sarebbe stata del tutto ultronea se la servitù fosse stata intesa dalle parti solo come pedonale e che, invece, evidenziava in modo chiaro ed espresso la volontà delle stesse di costituire una servitù anche carrabile.
In tali termini, il primo giudice aveva correttamente affermato la sussistenza di una servitù carrabile sulla base del titolo gravante sulla p.lla 1422 dei coniugi COGNOME senza affatto fondare
la sua decisione su mere presunzioni, come asserito dagli appellanti.
3.1 L’interpretazione della Corte d’Appello è del tutto plausibile ed è conforme ai canoni legali di interpretazione della volontà negoziale.
Preliminarmente devono ribadirsi i principi consolidati secondo cui: L’interpretazione di un atto negoziale è un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che, come accennato, nelle ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, alla stregua del c.d. “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., nella formulazione attualmente vigente, ovvero, ancora, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall’art. 1362 ss. c.c. (Cass. n. 14355 del 2016, in motiv.). Il sindacato di legittimità può avere, quindi, ad oggetto solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (Cass. n. 23701 del 2016). Pertanto, al fine di riscontrare l’esistenza dei denunciati errori di diritto o vizi di ragionamento, non basta che il ricorrente faccia, com’è accaduto nel caso di specie, un astratto richiamo alle regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., occorrendo, invece, che specifichi, per un verso, i canoni in concreto inosservati e, per altro verso, il punto e il modo in cui il giudice di merito si sia da essi discostato (Cass. n. 7472 del 2011; più di recente, Cass. n. 27136 del 2017).
Ne consegue l’inammissibilità dei motivi di ricorso che, come quelli in esame, pur denunciando la violazione delle norme ermeneutiche o il vizio di motivazione, si risolvono, in realtà, nella mera proposta di una interpretazione diversa rispetto a quella adottata dal giudice di merito (Cass. n. 24539 del 2009), così come è inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati (Cass. n. 2465 del 2015, in motiv.). In effetti, per sottrarsi al sindacato di legittimità sotto i profili di censura dell’ermeneutica contrattuale, quella data dal giudice al contratto non dev’essere l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 16254 del 2012; conf., più di recente, Cass. 27136 del 2017).
Ribaditi i suddetti principi, venendo più specificamente all’esame dei motivi, deve osservarsi che i ricorrenti sostengono che l’inciso contenuto nel titolo (atto di divisione AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO del 1985) ” il costruendo viale dovrà avere una larghezza di 2 metri, dovrà essere sempre lasciato sgombro e sarà permessa la sola sosta per il tempo occorrente per il carico e scarico delle auto ” sia riferito ai titolari del fondo servente che devono lasciare libero il passaggio ai titolari del fondo dominante per agevolare il passaggio pedonale dei titolari del fondo dominante.
La particolarità del caso in esame è data dal fatto che la Corte d’Appello di Napoli, con altra sentenza di poco successiva, ha fornito un’interpretazione opposta ritenendo che la servitù a carico del fondo di NOME COGNOME (dante causa dei ricorrenti) costituita con l’atto di divisione del 1985 intercorso con i fratelli NOME e NOME NOME sia solo pedonale e non anche carrabile. La suddetta sentenza è stata parimenti impugnata da NOME COGNOME e dagli eredi di NOME COGNOME.
Per tale motivo questa Corte ha ritenuto di trattare i due ricorsi nella medesima camera di consiglio al fine di evitare che il contrasto tra le opposte sentenze possa diventare definitivo e causa di revocazione ex art. 395, n. 5), c.p.c.
La Corte, dunque, chiamata a valutare le due opposte interpretazioni, deve necessariamente operare un sindacato che le pone a raffronto in quanto entrambe sono state ritenute plausibili dai giudici di merito.
Ciò premesso, tra le due opposte interpretazioni quella data dalla sentenza in questa sede impugnata, che afferma la natura carrabile della servitù, è quella conforme ai canoni legali di interpretazione della volontà negoziale.
La suddetta interpretazione, infatti, si fonda sulla lettera dell’atto di divisione dal quale emerge senza alcun dubbio che le parti al momento della stipula del negozio intendessero esprimere la volontà che sul tratto di terreno in oggetto potessero transitare anche veicoli, tanto che a questo scopo precisavano che quelli del fondo servente dovessero limitarsi al solo transito finalizzato allo scarico delle merci per consentire il passaggio con le medesime modalità anche ai titolari del fondo dominante. Tale interpretazione
è coerente anche con i restanti canoni legali di interpretazione secondo cui, ai fini della ricostruzione della comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto e si deve tener conto del canone della buona fede intesa in senso oggettivo, oltre che degli interessi delle parti.
D’altra parte , la Corte d’Appello ha già evidenziato l’infondatezza della tesi, in questa sede riproposta dai ricorrenti, secondo cui gli stessi titolari del fondo dominante avrebbero ammesso che la servitù fosse solo pedonale e non carrabile. Si legge nella sentenza impugnata, infatti, che le difese della parte convenuta, la quale ha affermato di non usare il percorso con mezzi a motore, non può essere intesa come ammissione dell’inesistenza della servitù di passaggio carrabile, poiché tale affermazione è stata resa solamente per sostenere l’infondatezza della domanda, e non anche per assecondare la pretesa attorea.
Sul punto deve ribadirsi che: «L’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione. Ne consegue che, ove il giudice abbia ritenuto “contestato” uno specifico fatto e, in assenza di ogni tempestiva deduzione al riguardo, abbia proceduto all’ammissione ed al conseguente espletamento di un mezzo istruttorio in ordine all’accertamento del fatto stesso, la successiva allegazione di parte, diretta a far valere l’altrui pregressa “non contestazione”, diventa inammissibile» (Sez. 2, Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019, Rv. 655681 – 01).
4. Il ricorso è rigettato.
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6. Ai sensi dell’art . 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione