Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31923 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31923 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30170/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME e dall’ Avv. NOME COGNOME , elettivamente domiciliati presso il domicilio digitale dei difensori;
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME
-intimati- per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Ancona n. 921/2021, pubblicata il 3 agosto 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
letta la memoria depositata dai ricorrenti.
FATTI DI CAUSA
-Con atto di citazione ritualmente notificato NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano in giudizio NOME COGNOME
e NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Pesaro per sentir dichiarare che il fondo distinto al catasto fabbricati di Pesaro, fg. 2, mappale 339 e al catasto terreni fg. 2, mappale 339, di proprietà di essi attori, non era gravato da alcuna servitù di passaggio (veicolare e/o pedonale) a favore del fondo censito al catasto fabbricati, fg. 12, mappali 275/2 e 338, di proprietà dei signori COGNOME NOME e COGNOME NOME, e quindi sentir ordinare ai convenuti l ‘ immediata cessazione del passaggio e di ogni altro utilizzo di detto fondo, nonché la demolizione del cancello e delle colonne installate dai convenuti presso il confine con il fondo mappale 339 e di ogni qualsivoglia altra opera eseguita dal 1996 in poi atta a consentire il passaggio sulla loro proprietà. Chiedevano, altresì, il risarcimento del danno per l’illegittimo esercizio del passaggio.
Si costituivano NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, per sentir dichiarare che sul fl. 2 del catasto di Novilara, mappale 357, di proprietà degli attori si era costituita per usucapione una servitù di passaggio in favore della loro proprietà. Sempre in via riconvenzionale chiedevano la condanna degli attori, in solido tra loro, al pagamento della somma di € 50.000,00 o di quella, maggiore o minore di giustizia. Con vittoria di spese.
All’esito della espletata istruttoria, il Tribunale di Pesaro, con sentenza n. 656/2017 in data 28 settembre 2017, accertava l’inesistenza di servitù di passaggio sul fondo degli attori e respingeva la domanda riconvenzionale, nonché quelle risarcitorie; ordinava a NOME COGNOME e NOME COGNOME l’eliminazione del cancello e delle relative colonne apposte a confine della particella 339, disponendo la compensazione delle spese legali.
-Avverso detta sentenza proponevano appello NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Si costituivano NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo il rigetto dell’appello principale e formulando appello incidentale.
La Corte di appello di Ancona, con sentenza n. 921/2021, pubblicata il 3 agosto 2021, ha rigettato sia l’appello principale sia quello incidentale, compensando le spese del grado.
–NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
-A seguito della proposta di definizione ex art. 380 bis cod. proc. civ. del Consigliere delegato, i ricorrenti hanno chiesto la decisione del ricorso, depositando anche memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 1027, 1031, 1062, 1322, 1362, 2700 e 2712 cod. civ. e 116 cod. proc. civ. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
Si sostiene che la motivazione della sentenza impugnata costituisce il frutto di uno stravolgimento della valutazione del materiale probatorio (documentazione e prove orali) ritualmente acquisito al processo compiutasi in primo grado e ribadita con la sentenza di appello. L’errore compiuto dal giudice consisterebbe nel fatto di non aver saputo enucleare l’esatto oggetto dell’atto di compravendita del 14.6.1983 e del successivo atto di permuta del 18.7.1983 ai fini del riconoscimento della costituzione di una servitù di passaggio volontaria e/o per destinazione del padre di famiglia ex art. 1062, co. 2, cod. civ., oggetto della successiva actio negatoria . Si espone che nell ‘ atto di compravendita del 14.6.1983 la servitù non solo viene descritta genericamente con la formula di trasferimento (unitamente all’immobile) delle ‘servitù attive e passive se vi sono e come sono’, ma, addirittura, viene rappresentata graficamente nell’allegat o A) così descritto nel rogito ‘frazionamento eseguito su estratto n. 36030, tipo n. 36031
approvate dall’Ufficio Tecnico Erariale di Pesaro in data 8.6.1983, documento che in originale esaminato ed approvato dai Comparsi e controfirmato dagli stessi e da me Notaio al presente atto si allega sub A, dispensato io Notaio dai Comparsi dal darne lettura e spiegazione’. La rappresentazione grafica sarebbe accompagnata finanche dalla seguente specificazione: ‘stradina da riportare in mappa’.
Si evidenzia che la motivazione, oltre a costituire una palese violazione in materia di atto pubblico e valutazione delle prove legali ( ex artt. 2700 cod. civ. 116 cod. proc. civ.), non considererebbe che il frazionamento di cui all’allegato A) della citata compravendita era stato redatto personalmente dal resistente COGNOME che a veva ritenuto di individuare graficamente, nel momento in cui procedeva a vendere una parte della proprietà ad un terzo (COGNOME NOME), la strada che consentiva all’acquirente di raggiungere la strada provinciale, stante l’interclusione del fondo compravenduto, riproduzione grafica che, al di là del valore da riconoscere all’atto pubblico, fa piena prova ex art. 2712 cod. civ. non essendo stata oggetto di rituale disconoscimento. Partendo dal primo errore, ossia con riferimento all’individuazione del ti tolo costitutivo del diritto, il giudice sarebbe incorso in una palese violazione delle norme che presiedono l’ermeneutica contrattuale sia in rapporto al senso letterale delle parole utilizzate nel contratto del 18.7.1983, sia con riguardo al comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto. La violazione di legge compiuta dal giudice riguarderebbe il senso letterale della clausola ( ‘Viene costituita a favore del Signor COGNOME NOME servitù di passaggio sulla strada di proprietà dei Signori COGNOME NOME e COGNOME NOME distinta in catasto al foglio 2 di Novilara di Pesaro mappale 339. Tutte le servitù si intendono trasferibili ad eredi ed aventi causa, escluse le personali trasmissibili… (cfr. pag. 8 permuta 18.7.1983 doc. 3 fasc. I grado Cesaroni) (… ai soli eredi – postilla n.9, ibidem, pag. 10)”. Come
evincibile dal tenore della clausola, la specificazione della servitù riguarderebbe esclusivamente il fondo servente. Nulla essendo detto con riguardo al fondo dominante e non essendovi alcun collegamento diretto fra la permuta e il precedente atto di compravendita del 14.6.1983 stipulato tra due delle tre parti della permuta, dovrebbe logicamente concludersi che la servitù sia stata istituita a favore del terreno permutato nel medesimo atto a beneficio del Salvatori. La servitù istituita con il contratto di compravendita del 14.6.1983 concernerebbe, invece, una diversa porzione di immobile, ossia quella compravenduta al medesimo COGNOME con il predetto atto.
Si deduce, pertanto, l’impossibilità di comprendere come la Corte territoriale possa aver ritenuto istituita una servitù a favore del COGNOME con un atto in cui non si menziona il fondo dominante e si cede in permuta altro appezzamento di terreno, diverso da quello su cui essi ricorrenti avevano richiesto respingersi la negatoria servitutis , con riconoscimento di servitù prediale per volontà delle parti o, quanto meno, per destinazione del padre di famiglia.
Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 1061, 1142, 1146 e 1167 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
Si allega che la sentenza impugnata ha respinto la domanda di usucapione della servitù di passaggio proposta in via riconvenzionale su di una diversa porzione di immobile, la particella 357 ceduta ai resistenti con la permuta in data 18.7.1983. La circostanza che la particella 357 sia successivamente confluita nella particella n. 339 ha generato non poca confusione. Sarebbe stato sufficiente osservare che non aveva alcun senso riconoscere una servitù (regolare o irregolare) sulla particella 339 se non si fosse riconosciuta l’estensione alla ex particella 357, permanendo in tale ultimo caso l’interclusione del fondo. La domanda di usucapione è stata determinata dal fatto che la cessione della particella in favore dei resistenti si è realizzata solo in data 18.7.1983 e quindi non
poteva essere ricompresa nel titolo istitutivo della servitù del 14.6.1983.
Sul punto si deduce che alla fattispecie si applica l’accessione del possesso di cui all’art. 1146 co. 2 c.c. Esaminando le prove orali, se anche non si fosse voluto considerare il possesso del dante causa dal 1983 (data del titolo di acquisto), non si sarebbe potuta negare l’esistenza della prova del possesso quanto meno dal giugno 1986, trovando applicazione nella fattispecie l’art. 1142 cod. civ. L’unica interruzione del possesso rilevata dal giudice o concerne la causa possessoria iniziata nel 1997 e definita irrevocabilmente nel 2000 con sentenza n. 1302/2000 del Tribunale di Pesaro, ma anche in tal caso l’applicazione del diritto fatta dalla Corte territoriale contrasterebbe con l’art. 1167 co. 2 cod. civ. Contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Appello, dunque, i ricorrenti hanno provato di aver usucapito la servitù sull’ex particella 357, avendo dimostrato il possesso ininterrotto ultraventennale quanto meno dal 1986.
1.1. -Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente, sono inammissibili.
Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., Sez. V, 22 novembre 2023, n. 32505; Cass., Sez. VI-5, 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass.,
Sez. VI-5, 7 aprile 2017, n. 9097; Cass., Sez. IV, 14 novembre 2013, n. 25608).
Deve, pertanto, ritenersi inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (Cass., Sez. II, 23 aprile 2024, n. 10927).
I ricorrenti, pur denunciando la violazione di legge delle norme richiamate in rubrica, mirano a conseguire una nuova valutazione delle risultanze istruttorie riguardo ai titoli allegati dalle parti e ai presupposti per l’usucapione del diritto di passaggio, circostanze sulle quali si sono soffermati i giudici del merito nel doppio grado di giudizio, escludendo la fondatezza della tesi avversa, per cui alcun esame delle medesime circostanze di fatto può essere compiuto in sede di legittimità.
In particolare, con detti motivi, sotto forma di apparente violazioni di legge, si critica la valutazione di merito che la Corte di appello ha compiuto in ordine alla ricostruzione dei titoli allegati dalle parti ai fini della verifica della sussistenza del diritto di servitù già costituito in favore degli appellati (come già accertato dal Tribunale), nonché con riferimento alla insussistenza delle condizioni per la configurazione dell’invocato acquisto per usucapione da parte dei ricorrenti del controverso diritto di servitù, essendo peraltro rimasto riscontrato che, in effetti, era esistente sul tracciato un mero diritto personale di godimento a favore del precedente proprietario dell’immobile oggetto di espropriazione forzata (e dei suoi eredi), che i ricorrenti si erano poi aggiudicato a seguito di pubblico incanto, senza, perciò, divenire titolari per negozio traslativo di un vero e proprio diritto reale di servitù, il cui acquisto non era nemmeno stato provato che fosse intervenuto in virtù del possesso caratterizzato dai
requisiti previsti dall’art. 1158 c.c. (e ciò in base ad un apprezzamento di merito insindacabile in questa sede, peraltro svolto dalla Corte di appello in conformità a quello espresso dal giudice di primo grado).
-Con il terzo motivo di ricorso, si prospetta la violazione degli artt. 832, 949, 1079 e 2933 cod. civ. in relazione all’art. 360 comma 1° n. 3 cod. proc. civ.
I ricorrenti contestano la sentenza impugnata nella parte in cui nega l’esistenza della servitù, ordina ndo l’eliminazione di opere costruite sul fondo dominante “(a confine della particella 339)’ non in quanto eseguite in violazione della normativa sulle distanze, bensì per impedire che i ricorrenti possano usucapire il diritto di servitù negato sulla proprietà altrui e quindi, in contrasto con il brocardo neminem res sua servit , per evitare che gli stessi possano usucapire il diritto di servitù sulla loro proprietà.
2.1. -Il motivo è infondato.
La pronuncia ha confermato la decisione di prime cure in merito alla rimozione delle opere non per impedire la costituzione della servitù ma per l’eliminazione della situazione antigiuridica posta in essere a seguito dell’accertamento dell’inesistenza del diritto di servitù, a seguito di specifica domanda proposta dagli attori.
In altri termini, i ricorrenti equivocano sulla portata della sentenza impugnata in ordine all’eliminazione degli ostacoli insistenti sul percorso in merito al quale era stata accertata l’esistenza del diritto di servitù in capo agli attori-appellanti, dal momento che tale ordine era diretto alla liberazione della servitù dalle opere conseguenti all’attività antigiuridica dei ricorrenti e, quindi, impedire che si protraesse l’esercizio illegittimo del possesso degli stessi lungo il percorso.
-Il ricorso deve, in definitiva, essere rigettato.
Non si deve provvedere sulle spese del giudizio di legittimità stante la mancata costituzione delle parti intimate.
Essendo la decisione resa all’esito del procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi del secondo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, i ricorrenti -essendo le controparti rimaste, per l’appunto, intimate nella presente sede giudiziale – devono essere condannati al solo pagamento della somma ex art. 96 comma 4 cod. proc. civ., come liquidata in dispositivo in favore della cassa delle ammende.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti, ai sensi dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ., al pagamento della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione