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Servitù di passaggio apparente: il quid pluris

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26956/2024, ha chiarito i requisiti per l’acquisto di una servitù di passaggio per usucapione. Ha stabilito che la mera esistenza di una strada visibile non è sufficiente. È necessario un “quid pluris”, ovvero opere che dimostrino in modo inequivocabile la specifica destinazione del percorso a servizio di un fondo (dominante) a scapito di un altro (servente). La Corte ha quindi cassato la decisione d’appello che si era limitata a constatare la presenza di un percorso asfaltato e inghiaiato, rinviando il caso per un nuovo esame basato su questo principio.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Servitù di passaggio apparente: la Cassazione ribadisce la necessità del “quid pluris”

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 26956 del 17 ottobre 2024 offre un’importante lezione sui requisiti necessari per l’acquisto di una servitù di passaggio apparente per usucapione. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la semplice esistenza di una strada o di un percorso visibile non è, di per sé, sufficiente. Occorre un elemento ulteriore, un “quid pluris”, che dimostri in modo inequivocabile la funzione del percorso a servizio di un fondo a scapito di un altro.

Il caso in esame: una controversia sul diritto di passaggio

La vicenda nasce dalla richiesta di un proprietario terriero di vedere riconosciuto un diritto di passaggio pedonale e carrabile sui fondi dei suoi parenti per accedere alla propria abitazione e ai terreni agricoli. Inizialmente, il proprietario aveva invocato un titolo negoziale o la costituzione per destinazione del padre di famiglia, ma in subordine chiedeva l’accertamento dell’avvenuta usucapione del diritto.

Il Tribunale di primo grado aveva respinto le prime due domande ma accolto quella relativa all’usucapione, ritenendo che il passaggio fosse stato esercitato per oltre vent’anni. Questa decisione è stata successivamente confermata dalla Corte d’Appello.

La decisione della Corte d’Appello e il concetto di servitù di passaggio apparente

La Corte d’Appello aveva fondato la sua decisione sulla base delle risultanze di una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) e di alcune fotografie, anche d’epoca. Secondo i giudici di merito, l’esistenza di un percorso parzialmente asfaltato e inghiaiato, la presenza di pietre angolari tipiche delle vecchie strade rurali e la delimitazione del tracciato costituivano opere visibili e apparenti sufficienti a dimostrare l’esistenza della servitù. A loro avviso, questi elementi erano idonei a integrare il requisito dell’apparenza richiesto dalla legge per l’usucapione della servitù di passaggio.

L’intervento della Cassazione e il principio del “quid pluris”

I proprietari del fondo ritenuto servente hanno proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione e falsa applicazione dell’art. 1061 del codice civile. Essi hanno sostenuto che i giudici di merito avessero erroneamente interpretato il requisito dell’apparenza, confondendolo con la mera esistenza di una strada. La Suprema Corte ha accolto il loro ricorso.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha chiarito che il requisito dell’apparenza, necessario per l’acquisto di una servitù per usucapione, non si esaurisce nella presenza di opere visibili, come una strada o un sentiero. È indispensabile un “quid pluris”, ovvero un elemento aggiuntivo che riveli in modo non equivoco la specifica funzione di tali opere: quella di gravare su un fondo (servente) per l’utilità specifica di un altro fondo (dominante).

In altre parole, le opere devono essere tali da rendere manifesto a chiunque, compresi i terzi, che non si tratta di un passaggio esercitato per mera tolleranza o precarietà, ma di un preciso onere a carattere di passaggio a favore di un altro immobile. La sola presenza di un tratto asfaltato o di una carreggiata non dimostra, di per sé, che quel percorso sia stato realizzato proprio per collegare il fondo dominante a scapito del fondo servente. Gli elementi individuati dalla Corte d’Appello (asfalto, ghiaia, opere di delimitazione) erano relativi solo all’esistenza del percorso in sé, ma non fornivano la prova di quel “qualcosa in più” che ne dimostrasse la specifica destinazione all’esercizio della servitù.

Le conclusioni

La Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, affinché proceda a un nuovo esame dei fatti. Il nuovo giudizio dovrà attenersi al principio di diritto secondo cui, per l’acquisto di una servitù di passaggio apparente per usucapione, non è sufficiente provare l’esistenza di una strada, ma è essenziale dimostrare che le opere visibili e permanenti siano state realizzate al preciso scopo di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello preteso servente. Questa pronuncia riafferma la necessità di un’analisi rigorosa dei fatti per distinguere un legittimo diritto reale da situazioni di mero fatto basate sulla cortesia o la tolleranza tra vicini.

Cosa si intende per “servitù di passaggio apparente” ai fini dell’usucapione?
Si intende una servitù che si manifesta attraverso la presenza di opere visibili e permanenti, obiettivamente destinate al suo esercizio, che rivelano in modo non equivoco l’esistenza di un peso gravante su un fondo a favore di un altro.

La semplice esistenza di una strada o di un sentiero è sufficiente per usucapire una servitù di passaggio?
No. Secondo la sentenza, la sola esistenza di una strada o di un percorso idoneo al passaggio non è sufficiente. È necessario un elemento ulteriore, il cosiddetto “quid pluris”.

Cos’è il “quid pluris” richiesto dalla giurisprudenza in materia di servitù?
Il “quid pluris” è un elemento aggiuntivo che deve dimostrare la specifica destinazione delle opere visibili all’esercizio della servitù. Deve rendere manifesto che le opere sono state realizzate al preciso scopo di dare accesso al fondo dominante attraverso il fondo servente, configurando un peso reale e non un’attività compiuta in via precaria o per tolleranza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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