Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25560 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25560 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26374/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOMECOGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TRIESTE n. 308/2020, depositata il 2/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
La sentenza impugnata così ricostruisce a vicenda.
A seguito della azione di denuncia di nuova opera, promossa davanti al Tribunale di Venezia dal Condominio Marina Grande nei confronti dell’Hotel Mayer in relazione alla edificazione da parte dell’Hotel di una terrazza, il 21 dicembre 2004 è stata conclusa tra le parti una transazione che all’art. 5 ha previsto che ‘ l’Hotel RAGIONE_SOCIALE si impegna a non realizzare opere a distanza inferiore a cinque metri dal confine ‘.
L’Hotel Mayer nel febbraio-maggio del 2014, in prosecuzione della terrazza in precedenza realizzata, ha eretto una ulteriore costruzione in cemento armato posta lungo la linea di confine con il Condominio, costituita da una terrazza con tettoia dell’altezza di oltre metri quattro da terra, da adibire a ricovero delle automobili nella parte sottostante e a terrazza-sala da pranzo-ristorante in quella sovrastante. Il Condominio ha allora proposto un’azione di manutenzione del possesso per ‘violazione del divieto di edificazione’ di cui all’art. 5 della transazione e della normativa in materia di distanze. Il Tribunale di Pordenone ha accolto la domanda e ha condannato l’Hotel alla demolizione del manufatto, demolizione che è stata confermata in sede di reclamo.
Con atto di citazione del 2015 l’Hotel Mayer ha quindi iniziato il presente processo, proponendo domanda di accertamento del proprio diritto di costruire lungo la linea di confine, non avendo le parti costituito a carico del fondo di proprietà dell’Hotel alcuna servitù prediale di non edificare manufatti di qualsivoglia genere lungo la linea di confine tra le proprietà ed essendo l’Hotel in possesso delle necessarie concessioni amministrative.
Con la sentenza n. 308/2018, il Tribunale di Pordenone ha rigettato la domanda, condannando l’Hotel alla rifusione delle spese di lite.
La sentenza è stata impugnata dall’Hotel Mayer, ma la Corte d’appello di Trieste , con sentenza n. 308/2020, ha rigettato il gravame.
Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso il Condominio INDIRIZZO.
Memoria è stata depositata da entrambe le parti.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo motivo denuncia, in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1027, 1031, 1058, 1362, 1363, 1369 c.c. in relazione all’art. 1965 c.c., erronea interpretazione della convenzione del 21 dicembre 2004’: secondo la ricorrente, la Corte d’appello ha condiviso l’interpretazione dell’art. 5 della convenzione che recherebbe la creazione di un nuovo diritto reale, avendo tale pattuizione natura reale e costitutiva di servitù di non edificazione a confine; in tale pattuizione sono al contrario assenti gli elementi della precisa volontà del proprietario del fondo servente diretta a costituire la servitù e la specifica determinazione della natura del peso imposto sul fondo servente; già la terminologia impiegata, ossia l’espressione ‘si impegna’, offre una chiara indicazione della volontà del proprietario del fondo servente che depone per l’assunzione di un vincolo meramente obbligatorio; del resto la convenzione non prevede alcuna valutazione economica del sacrificio che avrebbe assunto la ricorrente, il che depone per l’assenza di volontà di costituire il suddetto diritto reale; nel medesimo senso depone una lettura coordinata e ragionata delle previsioni contrattuali, in particolare l’art. 2 della convenzione che riconosce al Condominio la facoltà unilaterale di costruire in appoggio lungo tutto il fronte dello stesso e anche in prosieguo su tutta la linea di confine; va poi ricordata la ragione pratica della
stipulazione della transazione, rinvenibile unicamente nell’intenzione di porre fine alla vertenza pendente tra le parti. Il motivo è infondato.
La censura tende a sollecitare una alternativa interpretazione della volontà dei contraenti, in senso favorevole alla società ricorrente, a fronte di una pronuncia (v. le pagg. 14 e ss. della sentenza impugnata) che ha adeguatamente ricostruito la volontà delle part, consacrata nella clausola di cui all’art. 5 della convenzione del 21 dicembre 2004 stipulata tra le parti. La Corte d’appello non si è limitata a considerare l’art. 5 (secondo cui ‘ RAGIONE_SOCIALE si impegna a non realizzare opere a distanza inferiore a cinque metri dal confine ‘), ma ha tenuto in considerazione le premesse della convenzione, che ne costituiscono parte integrante, nonché, in particolare, l’art. 2 (laddove prevede il riconoscimento da parte del Condominio del diritto dell’Hotel ‘a mantenere il nuovo edificato nella posizione in cui si trova’, rinunciando ad ogni azione e all’eventuale risarcimento del danno). Il giudice d’appello, rispettando i canoni interpretativi di cui agli artt. 1362 e segg. c.p.c., ha quindi inquadrato l’impegno di cui all’art. 5 della convenzione nello schema della servitù di non costruire a distanza inferiore a cinque metri dal confine, certamente consentita quale espressione della autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c. Servitù per la cui costituzione -secondo il principio richiamato dal giudice di merito (v. da ultimo Cass. n. 21254/2024) -non si richiede l’uso di formule sacramentali o di espressioni particolari, essendo sufficiente che dall’atto scritto si desuma la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un peso o di una limitazione su un altro fondo appartenente a un altro proprietario, sempre che l’atto abbia natura contrattuale, che rivesta la forma stabilita dalla legge ad substantiam e che da esso la volontà delle parti di costituire la
servitù risulti in modo inequivoco, condizioni presenti nel caso in esame.
2. Il secondo motivo contesta, in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1027, 1028 e 1031, nonché dell’art. 1965 c.c., erronea individuazione di una utilitas nella presunta servitù volontaria’: le argomentazioni utilizzate dalla Corte d’appello in relazione all’ utilitas , requisito essenziale per la valida costituzione di servitù, descrivono in realtà la ragione pratica del contratto di transazione, ma non specificano quale sia il beneficio per il fondo dominante e correlativamente l’estensione del vincolo imposto al fondo servente; un divieto assoluto di edificazione varrebbe infatti anche per opere minimali, quali una semplice fioriera oppure una panchina lignea stabilmente ancorata al suolo collocata all’interno della fascia dei cinque metri dal confine; difetta pertanto uno degli elementi essenziali per individuare la servitù, ovvero la natura del peso imposto e la sua estensione.
Anche tale motivo è infondato.
La Corte d’appello (v. le pagg. 20 e 21 della sentenza impugnata) ha infatti espressamente individuato l’ utilitas perseguita attraverso la previsione della clausola contrattuale. Il giudice d’appello sottolinea infatti che l’ utilitas -che, va ricordato, è concetto che ricomprende ogni elemento che, secondo la valutazione sociale, sia legato da un nesso di strumentalità con la destinazione del fondo dominante e si immedesimi obiettivamente nel godimento di questo, in modo tale che la servitù possa soddisfare ogni bisogno di tale fondo, assicurando ad esso una maggiore amenità, abitabilità, anche evitando rumori o impedendo costruzioni che abbiano una destinazione spiacevole o fastidiosa (v. Cass. n. 18465/2020) -è palesata dagli stipulanti nell’atto negoziale: inibire definitivamente ogni futura edificazione da parte dell’Hotel sino a cinque metri dal confine a vantaggio della comodità o amenità del fondo contiguo
condominiale. Il rilievo (pagg. 14 e 15 del ricorso) della società ricorrente sulla assenza della specificazione del beneficio per il fondo dominante e, correlativamente, dell’estensione del vincolo imposto al fondo servente, in quanto un divieto assoluto di edificazione varrebbe anche per opere minimali, compresa una semplice fioriera, non convince, dovendo il riferimento al divieto di ‘realizzare opere’ essere ovviamente inteso in senso giuridico (secondo il concetto di costruzione enucleato dalla giurisprudenza di legittimità, ossia quale opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata, v. ad esempio Cass. n. 345/2024).
3. Il terzo motivo fa valere, in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 2721 e 2722 c.c., omessa pronuncia sostanziale sul terzo motivo d’appello inerente alla mancata assunzione di prove testimoniali essenziali ‘: il terzo motivo d’appello, con il quale era stata censurata la ritenuta inammissibilità e superfluità delle prove orali richieste dalla ricorrente, è stato rigettato con una motivazione ‘ talmente tautologica e superficiale da considerarsi inesistente ‘, così che è da ritenersi violato l’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sopra ‘ una censura diffusamente illustrata in ben quattro facciate dell’atto di impugnazione ‘.
Il motivo è inammissibile.
A prescindere dall’errato richiamo del parametro di cui al n. 3 invece che di quello di cui al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., il motivo è carente sotto il profilo della specificità, per mancata indicazione degli atti processuali su cui il motivo si fonda (art. 366, n. 6 c.p.c.). NOME COGNOME si limita, infatti, a parlare della propria diffusa censura e del fatto che l’assunzione dei capitoli di prova da essa formulati ‘ avrebbe consentito di cogliere appieno la finalità della discussa convenzione ‘, così che sarebbe ‘ solare ‘ la radicale assenza di
pronuncia sul punto, ma tali capitoli non trascrive e neppure riassume (v. pag. 17 del ricorso, in cui si fa unicamente riferimento ai capitoli ‘nn. 1 e 4 di cui alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c.’), così non ponendo questa Corte nella condizione di valutare la decisività delle prove non assunte (cfr. al riguardo Cass., sez. un., n. 28336/2011 e più di recente Cass. n. 27510/2024 in motivazione e Cass. n. 27489/2019 in motivazione).
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente, che liquida in euro 4.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, in data 4 aprile 2025.
Il Presidente NOME COGNOME