Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25630 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25630 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/09/2024
Oggetto: servitù di metanoAVV_NOTAIOo e obbligo di mantenere le distanze delle costruzioni dalle tubazioni.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16607/2023 R.G. proposto da
NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliati in RomaINDIRIZZO, presso lo studio di quest’ultimo.
–
contro
ricorrenti –
Avverso la sentenza n. 557/2023, emessa dalla Corte d’Appello di Genova, pubblicata il 16/5/2023 e notificata il 29/5//2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 settembre 2024 dalla AVV_NOTAIO.AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Rilevato che:
1. Con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ., depositato il 14/02/2019, RAGIONE_SOCIALE, premesso che con scrittura privata autenticata del 1968, regolarmente trascritta, era stata costituita una servitù inamovibile di metanoAVV_NOTAIOo a carico dei fondi di cui ai mappali nn. 3677, 3331 e 2963, sezione B, foglio 16, del Comune di Podenzana, e dei fondi di cui ai mappali 969 e 356 del foglio 2 del Comune di Bolano, onde consentire la posa, l’esercizio, la manutenzione e la sorveglianza del metanoAVV_NOTAIOo denominato Santo AVV_NOTAIO-Cortemaggiore DN INDIRIZZO, ivi esistente, che, in occasione di un sopralluogo, si era scoperto che nel fondo identificato col mappale 236 del foglio 16 di proprietà di COGNOME erano stati realizzati manufatti di vario genere (una piscina interrata, una pavimentazione e un ricovero attrezzi), in violazione del diritto di servitù e della clausola che impediva di realizzare nuove opere a distanza inferiore a mt. 17,50 dall’asse della tubazione, e che, con comunicazione del 21/06/2017 e missiva dell’11/12/2017, aveva inviato formale atto di intimazione giudiziale, invitando la predetta alla rimozione dei suddetti manufatti, chiese al Tribunale di Massa di accertare la violazione del diritto di servitù di metanoAVV_NOTAIOo e di condannare COGNOME NOME al ripristino dello stato dei luoghi.
Costituitasi in giudizio, NOME rilevò che la contestazione da parte della società era avvenuta a più di vent’anni dalla realizzazione dei manufatti, che il non uso per un periodo di oltre vent’anni aveva comportato l’estinzione del diritto di servitù per prescrizione con riguardo alla violazione della distanza convenzionalmente stabilita e che, stante l’apparenza della servitù, era decorso il termine utile per l’acquisto del diritto di mantenere la costruzione realizzata per usucapione.
Il Tribunale di Massa rigettò la domanda con sentenza n. 597/2020 del 9/11/2020, che, impugnata dalla RAGIONE_SOCIALE, fu
riformata, nella resistenza dell’appellata, dalla Corte d’Appello di Genova con la sentenza n. 557/2023 del 16/05/2023, con la quale fu accertata la violazione, da parte di NOME COGNOME, del diritto di servitù di metanoAVV_NOTAIOo e condannata la predetta alla rimozione dei manufatti realizzati in violazione delle distanze dalla tubazione, come previste nel contratto, e al ripristino dello stato dei luoghi sul fondo identificato con il mappale 236 del foglio 16 del Comune di Podenzana.
I giudici liguri ritennero, in particolare, di qualificare il diritto reale, costituito dalla dante causa dell’appellata, COGNOME NOME in COGNOME, in favore della società, in termini di servitù affermativa, caratterizzata da un facere della prima e da un pati della seconda. Considerarono altresì il previsto divieto di costruire in termini di obbligazione accessoria della servitù, come confermato dalla previsione della sua durata per tutto il tempo di esercizio dell’impianto e dalla sua funzione di tutelarne la sicurezza ed evitare rischi per l’incolumità correlati al passaggio del gas e della gestione dello stesso, e fecero perciò derivare dal collegamento funzionale tra le due previsioni (costituzione servitù di metanoAVV_NOTAIOo, tuttora in funzione, e prescrizione delle distanze) l’impossibilità di prescrizione autonoma della seconda rispetto alla prima, con conseguente accoglimento dell’appello e rigetto dell’eccezione riconvenzionale di usucapione.
Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso.
Questa Corte ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, la ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione
del ricorso ed è stata perciò fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che :
1. Con il primo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1027, 1028, 1030, 1063, 1064, 1065 e 1073 cod. civ., nonché degli artt. 1362 e seguenti cod. civ, in relazione all’art. 360, n. 3), cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello ritenuto che con il contratto del 20-22 gennaio 1968 fosse stata costituita un’unica servitù affermativa concernente la posa del metanoAVV_NOTAIOo e non anche un’ulteriore servitù negativa avente ad oggetto l’obbligo di non costruire a distanza inferiore da quella convenzionale stante il rapporto di funzionalità di quest’ultima prescrizione rispetto alla prima. Ad avviso della ricorrente, la servitù di metanoAVV_NOTAIOo comprendeva invece il diritto di accesso in qualsiasi momento al fondo servente, siccome costituente facoltà accessoria ex art. 1064 cod. civ. ( adminicula servitutis ) perché assolutamente indispensabile -e non semplicemente connessa alla realizzazione e dunque all’ utilitas della servitù, ma non anche il divieto di costruire ad una certa distanza dalle tubazioni, il quale, in quanto estraneo al contenuto della stessa, si poneva rispetto ad essa in rapporto di semplice connessione strumentale, siccome finalizzata a rendere soltanto più agevole, esteso e comodo il suo esercizio senza essere a tal fine indispensabile. I giudici di merito avrebbero dunque dovuto accertare, alla luce dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., se l’obbligo di costruire ad una certa distanza si ponesse in rapporto di indispensabilità ovvero di strumentalità rispetto alla servitù di metanoAVV_NOTAIOo e giungere così alla conclusione che detto obbligo, essendo accessorio e non indispensabile rispetto all’esercizio della servitù, costituisse un’autonoma e distinta
servitù. Tanto sarebbe stato dimostrato dal fatto che la servitù di metanoAVV_NOTAIOo fosse stata esercitata per vent’anni anche in presenza di costruzioni realizzate a distanza inferiore a quella convenzionale e che l’obbligo del rispetto della distanza convenzionale fosse stato a sua volta trascritto, così da poter rilevare l’eccepita estinzione per prescrizione di quest’ultimo ai sensi dell’art. 1073 cod. civ. per non uso superiore al ventennio, essendo stati i manufatti realizzati nel 1997, come dimostrato in causa, ed essendo stata la causa avviata soltanto nel 2019.
Col secondo motivo, proposto in via subordinata, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dall’art. 1073 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che l’obbligo di non costruire a distanza inferiore a quella convenzionale inerisse alle modalità di gestione della servitù di metanoAVV_NOTAIOo e non potesse prescriversi indipendentemente da questa, né potesse essere oggetto di usucapione il diritto al mantenimento delle opere realizzate in violazione dello stesso, senza però valutare l’eventuale estinzione parziale della servitù per non uso ventennale. Ad avviso della ricorrente, i giudici avrebbero invece dovuto considerare che la realizzazione, fin dal 1997, dei manufatti per cui è causa a una distanza inferiore a quella convenzionale avrebbe integrato una violazione parziale della servitù, quand’anche considerata in modo unitario, la cui mancata proibizione da parte della società per oltre vent’anni aveva determinato l’estinzione per non uso della servitù limitatamente alla porzione del fondo occupata dal manufatto stesso.
Col terzo motivo, proposto in via ulteriormente subordinata, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1027, 1030 e 1061 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello rigettato l’eccezione riconvenzionale di usucapione del diritto a mantenere i manufatti
ad una distanza inferiore a quella convenzionalmente stabilita, sul presupposto che il divieto indicato in contratto costituisse un’obbligazione accessoria alla servitù di metanoAVV_NOTAIOo. Ad avviso della ricorrente, i giudici non avevano però considerato che l’acquisto per usucapione della servitù a mantenere le opere a distanza inferiore a quella convenzionale, ricadente sulla società quale titolare del fondo servente costituito dall’impianto e a favore della ricorrente titolare del fondo dominante, prescindeva totalmente sia dalla qualificazione del divieto di costruire in termini di servitù o di obbligazione accessoria, costituendo la violazione di tale obbligo un inadempimento contrattuale inidoneo ad impedire l’usucapione, sia dall’eventuale estinzione per non uso ventennale della servitù inaedificandi .
3. La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ. è del seguente tenore: « INAMMISSIBILITÀ e/o MANIFESTA INFONDATEZZA del ricorso avverso pronuncia su rigetto estinzione servitù, per le seguenti ragioni: 1° motivo: manifestamente infondato. La costruzione della Corte d’appello come unica servitù è motivata e plausibile, perché fondata sul testo del negozio inter partes. L’estensione e le modalità di esercizio della servitù devono essere deAVV_NOTAIOe anzitutto dal titolo, quale fonte regolatrice primaria del diritto, tenendo conto della comune intenzione dei contraenti, da ricavarsi, peraltro, non soltanto dal tenore letterale delle espressioni usate, ma anche dallo stato dei luoghi, dall’ubicazione reciproca dei fondi e dalla loro naturale destinazione, elementi tutti formativi e caratterizzanti l'”utilitas” legittimante la costituzione della servitù. Solo ove il titolo manifesti imprecisioni o lacune, non superabili mediante adeguati criteri ermeneutici, è possibile ricorrere ai precetti sussidiari di cui agli artt. 1064 e 1065 c.c. (Sez. 2, n. 20696 del 9 agosto 2018; Sez. 2, n. 15046 del 14 giugno 2018; Sez. 2, n. 7564 del 23 marzo 2017). D’altronde, nel giudizio di legittimità, le censure relative
all’interpretazione degli atti pattizi accreditata dal giudice di merito possono essere prospettate solo in relazione al profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o della radicale inadeguatezza della motivazione, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, mentre la mera contrapposizione fra l’interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta dai giudici di merito non riveste alcuna utilità ai fini dell’annullamento della sentenza impugnata (Sez. 1, n. 9461 del 9 aprile 2021; Sez. 1, n. 995 del 20 gennaio 2021; Sez. 6-3, n. 3590 dell’11 febbraio 2021). In definitiva, la differente lettura proposta dalla ricorrente non tiene conto del principio per il quale la doglianza non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U, n. 24148 del 25 ottobre 2013). 2° motivo: manifestamente infondato. L’uso parziale della servitù, anche se protratto nel tempo, non vale a ridurne il contenuto nei limiti della minore utilità rispetto a quella consentita dal titolo, in quanto per non uso può cessare solo il diritto, mentre la maggiore quantità, che non è stata utilizzata dal titolare della servitù, non è un diritto, ma una sua componente, sicché la stessa non è suscettibile di estinzione (Sez. 2, n. 20462 del 23 settembre 2009). 3° motivo: inammissibile. Nella specie, non è configurabile l’utilitas, giacché tale concetto è correlato ad un nesso di strumentalità con la destinazione del fondo dominante e si deve immedesimare obiettivamente nel godimento di questo (Sez. 2, n. 18465 del 4 settembre 2020) ».
8. Il primo motivo è inammissibile.
Occorre innanzitutto considerare come, a mente dell’art. 1063 cod. civ., ‘ l’estensione e l’esercizio delle servitù sono regolati dal titolo e, in mancanza, dalle seguenti disposizioni ‘, norma alla cui stregua va letta anche la prima parte dell’art. 1065 cod. civ., secondo cui
‘ colui che ha un diritto di servitù non può usarne se non a norma del suo titolo o del suo possesso ‘.
Ciò significa che, come già affermato da questa Corte, l’estensione e le modalità di esercizio della servitù devono essere deAVV_NOTAIOe anzitutto dal titolo, quale fonte regolatrice primaria del diritto, tenendo conto della comune intenzione dei contraenti, da ricavarsi, peraltro, non soltanto dal tenore letterale delle espressioni usate, ma anche dallo stato dei luoghi, dall’ubicazione reciproca dei fondi e dalla loro naturale destinazione, elementi tutti formativi e caratterizzanti l’ utilitas legittimante la costituzione della servitù, mentre il ricorso ai precetti sussidiari di cui agli artt. 1064 e 1065 cod. civ. è possibile solo quando il titolo manifesti imprecisioni o lacune, non superabili mediante adeguati criteri ermeneutici, ossia quando la convenzione non consenta di dirimere i dubbi al riguardo (Cass., Sez. 2, 9/8/2018, n. 20696; Cass., Sez. 2, 23/3/2017, n. 7564; Cass., Sez. 2, 12/1/2015, n. 216; Cass., Sez. 2, 11/6/2010, n. 14088).
Gli artt. 1063, 1064 e 1065 cod. civ. contemplano, infatti, una graduatoria delle fonti regolatrici dell’estensione e dell’esercizio delle servitù, nel senso che il riferimento primario è costituito dal titolo, da interpretarsi secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., mentre i precetti dettati dai successivi art. 1064 e 1065 cod. civ. rivestono carattere meramente sussidiario e possono trovare applicazione soltanto quando il titolo manifesti lacune o imprecisioni non superabili mediante l’impiego dei generali criteri ermeneutici (Cass., Sez. 2, 11/6/2018, n. 15046; Cass., Sez. 2, 23/3/2017, n. 7564; Cass., Sez. 2, 12/1/2015, n. 216; Cass., Sez. 2, 16/8/2012, n. 14546; Cass., Sez. 2, 6/2/2009, n. 3030; Cass., Sez. 2, 10/5/2004, n. 8853; Cass., Sez. 2, 7/6/2002, n. 8261; Cass., Sez. 2, 7/8/1995, n. 8643; Cass., Sez. 2, 18/8/1981, n. 4662).
Soltanto in tal caso il giudice è tenuto a ricorrere al criterio oggettivo del c.d. minimo mezzo di cui all’art. 1064 cod. civ., ossia del contemperamento delle esigenze del fondo dominante con il minore aggravio del fondo servente (c.d. minimo mezzo; cfr. Cass. , Sez. 2, 20/7/1991, n. 8122; Cass., Sez. 2, 7/5/1987, n. 4238; Cass., Sez. 2, 10/6/1982, n. 3524), o alla regola di cui all’art. 1064 cod. civ., secondo cui ‘ il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne ‘, la quale include nel suo contenuto anche quelle facoltà accessorie (c.d. adminicula servitutis ) che rientrano nel contenuto unitario della servitù, cui corrisponde, dal lato passivo, un pati del proprietario del fondo servente, e che, pur variabili per il contenuto in quanto funzionali al tipo di servitù e alle relative esigenze concrete, sono prive di autonoma esistenza, siccome estranee agli elementi strutturali e all’esplicazione del vincolo (Cass., Sez. 2, 28/5/1979, n. 3097), senza dar luogo perciò ad autonoma servitù e senza perdersi o estinguersi se non insieme con la servitù alla quale ineriscono (Cass., Sez. 6-2, 30/7/2020, n. 16322; Cass., Sez. 2, 17/11/1979, n. 5983).
Ciò comporta che quest’ultima regola non può trovare ingresso nel caso di specie, essendo questo caratterizzato dalla presenza di esplicite clausole contrattuali che descrivono chiaramente le facoltà concesse alla società proprietaria del fondo dominante e la correlativa posizione del fondo servente (ossia, per un verso, l’accesso della concessionaria in ogni tempo alle proprie opere e impianti per la sorveglianza, la manutenzione, l’esercizio ed eventuali riparazioni, e il rispetto, da parte della concedente, della distanza non inferiore a mt. 17.50 dall’asse della tubazione per eventuali costruzioni e di una fascia continua coassiale) e che si pongono in perfetta coerenza con il carattere non contenutistico, ma strutturale, della tipicità delle servitù volontarie e della conseguente varietà di contenuti che l’ utilitas del fondo dominante (cui deve corrispondere il peso per il fondo servente) può avere,
con il solo limite dell’inerenza della stessa al fondo c.d. dominante e del peso a quello servente (in questo senso Cass., Sez. U, 13/2/2024, n. 3925).
Deriva da quanto detto che non occorre neppure distinguere, a fini interpretativi del titolo negoziale, tra facoltà indispensabili per il conseguimento dell’utilità della servitù prediale e facoltà idonee a rendere più agevole e comodo il suo godimento, come suggerito nella censura, giacché una tale necessità opera soltanto allorché si debba far ricorso al criterio sussidiario di cui all’art. 1064 cod. civ. onde affermare o escludere se una facoltà sia compresa tra gli adminicula servitutis (Cass., Sez. 2, 29/10/1969, n. 3581), ma non anche a cogliere la reale intenzione delle parti in caso di servitù costituita per contratto, nella quale è possibile imporre al concessionario pesi che, pur potendo costituire in sé autonome servitù (come in caso di distanze), perdono la loro individualità quando intrinsecamente correlate all’ utilitas perseguita con il vincolo principale, mentre resta irrilevante il fatto che tale obbligazione debba specificamente essere trascritta ( ex artt. 2643 e 2645 cod. civ.) e risultare dalla nota di trascrizione, avendo detto adempimento la funzione di rendere l’imposizione di maggiori restrizioni alle facoltà del proprietario del fondo servente opponibile agli aventi causa dal costituente (sulla trascrizione vedi Cass., Sez. 2, 25/3/1987, n. 2890; vedi su vendita con costituzione di servitù Cass., Sez. 2, 16/10/2023, n. 28694).
E poiché, come si è detto, l’interpretazione del contratto deve avvenire, in prima battuta, alla stregua dei criteri generali dettati dall’art. 1362 cod. civ., in quanto compatibili con la materia in esame (incluso il comportamento delle parti), al fine di chiarirne la portata (Cass., Sez. 2, 11/6/2018, n. 15046 cit.), correttamente in giudici di merito hanno ritenuto di valorizzare il dato letterale del titolo costitutivo della servitù di metanoAVV_NOTAIOo, che, espressamente, impone alla concessionaria l’obbligo di rispettare, nella costruzione,
una certa distanza dalle tubazioni, evidenziando la funzione con esso perseguita di garantire un miglior esercizio della servitù e la tutela della sicurezza dell’impianto e del passaggio del metanoAVV_NOTAIOo, onde evitare rischi per l’incolumità correlati al passaggio del gas e alla gestione dell’impianto stesso, e lo stretto collegamento funzionale tra le due previsioni, giustificandosi l’obbligo sulle distanze soltanto in funzione della servitù di metanoAVV_NOTAIOo.
Peraltro, le due fasi in cui si articola la ricostruzione dell’accordo negoziale da parte del giudice di merito, ossia quella volta all’interpretazione della volontà delle parti e all’individuazione degli effetti da esse avuti di mira, e quella diretta a qualificare il negozio mediante l’attribuzione di un nomen iuris , riconducendolo ad un tipo legale o assumendone l’atipicità, con la finalità di individuare la disciplina applicabile alla fattispecie, sono diversamente censurabili in cassazione, atteso che la prima fase, consistendo in un accertamento di fatto, è insindacabile in questa sede se non sotto il profilo della motivazione, mentre la seconda è sindacabile in cassazione per violazione di legge e segnatamente per la violazione dei criteri ermeneutici indicati dagli artt. 1362 e ss. cod. civ. (Cass., Sez. 6-3, 11/2/2021, n. 3590; Cass., Sez. 3, 14/6/2021, n. 15603).
A quest’ultimo riguardo, se è vero che, in tema di interpretazione del contratto, il comportamento complessivo delle parti non costituisce un canone sussidiario, ma un parametro necessario e indefettibile, essendo le disposizioni degli artt. 1362, primo comma, 1363 e 1362, secondo comma, cod. civ., fondate sulla stessa logica che, esprimendo l’intrinseca insufficienza della singola parola (e del suo formale significato: come, in diverso campo ed in diversa misura, segnala l’art. 12, primo comma, delle preleggi), prescrive la più ampia dilatazione degli elementi di interpretazione, è altrettanto vero che la censura in sede di
legittimità dell’interpretazione di una clausola contrattuale offerta dal giudice di merito impone al ricorrente l’onere di fornire, con formale autosufficienza, gli elementi alla complessiva unitarietà del testo e del comportamento non adeguatamente considerati dal giudice di merito, nella loro materiale consistenza e nella loro processuale rilevanza (Cass., Sez. 1, 12/12/2023, n. 34687), e che la censura in merito alla mancata applicazione del criterio di interpretazione letterale, per non risultare inammissibile, deve essere specifica, dovendo il ricorrente indicare quale sia l’elemento semantico del contratto che avrebbe precluso l’interpretazione letterale seguita dai giudici di merito e, al contrario, imposto una interpretazione in senso diverso (Cass., Sez. 1, 20/1/2021, n. 995).
La ricorrente, invece, lungi dal chiarire i motivi per i quali i giudici non avrebbero tenuto conto della complessiva unitarietà del testo e del comportamento delle parti e indicare quale elemento semantico avrebbe precluso l’interpretazione letterale da essi seguita, si è limitata ad evidenziare la non indispensabilità dell’obbligazione concordata in materia di distanze delle costruzioni, onde escludere, alla stregua dell’art. 1064 cod. civ., la sua sussunzione nell’ambito delle facoltà accessorie e affermare l’autonomia della stessa dalla servitù di metanoAVV_NOTAIOo, senza però considerare la sussidiarietà del criterio interpretativo utilizzato e la conseguente irrilevanza ai fini voluti e senza tener conto del fatto che la violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass., Sez. 3, 10/5/2018, n. 11254).
Per quanto detto, deve dichiararsi l’inammissibilità della censura.
9. La seconda censura è manifestamente infondata.
L’art. 1075 cod. civ. stabilisce, infatti che la servitù esercitata in modo da trarne un’utilità minore di quella indicata dal titolo si conserva per intero, sicché, come gi affermato da questa Corte, l’uso parziale della servitù, anche se protratto nel tempo, non vale a ridurne il contenuto nei limiti della minore utilità rispetto a quella consentita dal titolo, in quanto per non uso può cessare solo il diritto, mentre la maggiore quantità, che non è stata utilizzata dal titolare della servitù, non è un diritto, ma una sua componente, sicché la stessa non è suscettibile di estinzione (Cass., Sez. 2, 6/4/2024, n. 9195; Cass., Sez. 2, 23/9/2009, n. 20462; Cass., Sez. 2, 12/6/1996, n. 5385).
Peraltro, il principio secondo cui l’esercizio della servitù in termini quantitativamente o qualitativamente minori, rispetto a quelli consentiti dal titolo, non comporta estinzione, nemmeno parziale, del relativo diritto, che permane nella sua interezza, opera a prescindere dalle cause di detta limitazione, e, quindi, tanto nel caso in cui essa dipenda da inerzia del titolare, quanto nel caso in cui sia provocata da eventi impeditivi naturali, ovvero imputabili al proprietario del fondo servente od a quello del fondo dominante (Cass., Sez. 2, 16/2/1978, n. 741).
Ciò comporta che, costituendo il divieto di edificare ad una certa distanza dalle tubazioni un’obbligazione accessoria alla servitù di metanoAVV_NOTAIOo, siccome a questa funzionalmente collegato, correttamente i giudici di merito hanno escluso la sua prescrittibilità indipendentemente dall’estinzione della servitù stessa.
10. Il terzo motivo è parimenti infondato.
Ferma restando l’unitarietà della servitù di metanoAVV_NOTAIOo costituita dalle parti, comprensiva, come si è detto, del divieto di costruire a distanza inferiore a una certa misura, e la permanenza del relativo
diritto anche quando, come nella specie, sia stato esercitato in misura inferiore a quanto pattuito, appare evidente come non possa in alcun modo configurarsi il deAVV_NOTAIOo acquisto per usucapione del diritto di mantenere l’edificio realizzato a distanza inferiore, giacché una conAVV_NOTAIOa siffatta costituisce un mero illecito atto a turbare il diritto reale in esame e non un possesso utile ad usucapire.
Ne consegue l’infondatezza della censura.
In conclusione, dichiarata l’inammissibilità del primo motivo e l’infondatezza del secondo e del terzo, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la sua competenza e devono essere poste a carico della ricorrente.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 3.000,00, nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12/9/2024.