Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10331 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10331 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 17462/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME difesi da ll’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME NOMECOGNOME difesi da ll’avvocato COGNOME
-controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 1109/2022 depositata il 13/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO:
Nel 1960 i sig.ri NOME COGNOME e NOME COGNOME, comproprietari di un immobile con area cortiliva in INDIRIZZO a Imola, stipulavano un atto di divisione con il quale, a titolo di patto speciale,
costituivano in capo a ciascun condividente il diritto di servitù reciproca di costruire sul confine in deroga alle distanze regolamentari. Nello stesso atto il sig. COGNOME trasferiva la propria quota al sig. NOME COGNOME Nel 1963 questi esercitava la servitù attiva costruendo un corpo di fabbrica sul confine in deroga alle distanze. Nel 1984 la sig.ra NOME COGNOME figlia di NOME COGNOME, presentava al Comune di Imola una richiesta di titolo edilizio per ristrutturare e ampliare il fabbricato di sua proprietà, esercitando anch’ella il diritto di servitù. Il progetto veniva sottoscritto anche da COGNOME, e il Comune rilasciava la concessione edilizia. Il 27/01/1986 i sig.ri NOME e COGNOME acquistavano l’immobile dalla sig.ra COGNOME e da sua madre, con rogito che richiamava i patti del 1960. Il 24/07/1990 NOME COGNOME trasferiva ai figli il fondo di sua proprietà, con richiamo ai patti speciali del 1960. Il 23/03/1996 i nuovi proprietari NOME e COGNOME chiedevano nuovamente al Comune la concessione edilizia per costruire in confine. Gli eredi COGNOME non sottoscrivevano il nuovo progetto, sostenendo che il vigente piano regolatore avesse reso inefficaci i patti del 1960. Il Comune negava la concessione edilizia per violazione dell’art. 36 del regolamento edilizio, ma il Tar, con sentenza n. 1025/2000, annullava il diniego e riconosceva la validità della servitù costituita nel 1960, in quanto non derogabile da regolamento successivo. Il Comune, in esecuzione della sentenza, rilasciava la concessione edilizia in data 15/03/2001. I Dalfiume domandavano ex art. 1170 c.c. la sospensione dei lavori, accolta e poi confermata da Cass. n. 6792/2015.
In pendenza del menzionato giudizio possessorio, i sig.ri NOME e COGNOME proponevano domanda dinanzi al Tribunale di Bologna per l’accertamento del loro diritto di costruire sul confine. Si costituivano i sig.ri COGNOME COGNOME e COGNOME deducendo la nullità del patto del 1960, l’estinzione per prescrizione del diritto, sia decennale (se obbligatorio) sia ventennale (se reale), l’assenza di rinuncia alla
prescrizione da parte loro e l’inopponibilità della sentenza del Tar a chi non aveva partecipato al giudizio amministrativo.
Il Tribunale di Bologna, con sentenza del 01/03/2017, accoglieva la domanda attorea, qualificava il diritto come servitù per vantaggio futuro ex art. 1029 c.c. e riteneva che non fosse maturata la prescrizione. Sosteneva che la dante causa degli attori, pur acquistando nel 1967, aveva esercitato il diritto nel 1984, e che il non uso precedente non producesse effetto estintivo automatico.
I convenuti proponevano appello, deducendo: l’errata qualificazione della servitù, la decorrenza del termine prescrizionale dal 1960 (e non dal 1986), l’avvenuta prescrizione decennale anche in ipotesi di diritto obbligatorio, l’assenza di validi atti inte rruttivi o di rinunce alla prescrizione, e la mancata partecipazione all’atto di rinuncia da parte di tre delle appellanti. La Corte distrettuale ha rigettato l’appello, ritenendo che il patto del 1960 ha validamente costituito una servitù per vantaggio fu turo ai sensi dell’art. 1029 co. 1 c.c., esercitabile sin dall’origine. Ha affermato che il regolamento edilizio vigente nel 1960 non vietava la costruzione sul confine, e che pertanto il patto era valido secondo la normativa allora vigente. La sopravvenienza di un regolamento che imponga distanze dal confine non produce invalidità della servitù già costituita, e ciò è confermato anche dalla sentenza del Tar Emilia-Romagna n. 1025/2000. Ha riconosciuto che la prescrizione ventennale decorre dal 1960 e si compie nel 1980, ma che la sottoscrizione del progetto edilizio da parte di NOME COGNOME nel 1984 costituisce una rinuncia alla prescrizione ai sensi dell’art. 2937 c.c., in quanto comportamento incompatibile con la volontà di avvalersene. Tale condotta ha determinato la decorrenza di un nuovo termine prescrizionale, interrotto o comunque esercitato nel 2001 con l’avvio delle opere in forza della concessione edilizia. Il diritto è stato quindi validamente esercitato anche nei confronti delle altre comproprietarie del fondo
servente, per le quali la prescrizione deve considerarsi ugualmente interrotta.
Ricorrono in cassazione i convenuti con due motivi, illustrati da memoria. Resistono gli attori con controricorso e memoria.
1. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 1418 c.c. per non avere la Corte di appello riconosciuto la nullità, per contrarietà a norma imperativa, del patto edificatorio contenuto nel rogito del 1960. Si deduce che l’esecuzione del patto, al momento in cui è stata richiesta, si poneva in contrasto con norme regolamentari sopravvenute (Regolamento Edilizio del Comune di Imola del 1973 e successive Norme Tecniche di Attuazione) che prescrivono una distanza inderogabile di cinque metri dal confine, con la conseguenza che la pattuizione, ancorché inizialmente valida, doveva ritenersi divenuta invalida al momento della sua concreta attuazione. La sentenza impugnata è censurata per avere ritenuto rilevante la normativa edilizia vigente nel 1960 e non quella in vigore nel momento in cui gli attori avevano esercitato il diritto, ossia tra il 1996 e il 2001, epoca in cui il vincolo regolamentare era già vigente. Si censura il richiamo operato dalla Corte all’art. 26 del regolamento edilizio del 1956, non più vigente all’epoca dei fatti, e alla giurisprudenza sul principio di prevenzione, non applicabile ove la normativa locale imponga espressamente distanze minime inderogabili dal confine. Si richiama, in particolare la giurisprudenza che esclude la possibilità di deroghe pattizie in presenza di regolamenti comunali che stabiliscano limiti inderogabili, in quanto finalizzati alla tutela dell’interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio.
Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 1073, 2934, 2937, 2939 e 2946 c.c. per avere la Corte di appello disconosciuto il diritto dei ricorrenti di eccepire l’intervenuta prescrizione del diritto di servitù in oggetto e per avere ritenuto applicabile un nuovo
termine ventennale decorrente dalla pretesa rinuncia alla prescrizione da parte del sig. NOME COGNOME Si afferma che il termine di prescrizione decorreva dalla data della costituzione del diritto (1960) e che alla data del 1984, quando la sig.ra COGNOME presentava il progetto edilizio, il termine era già decorso da quattro anni. Si contesta che la sottoscrizione del progetto da parte del sig. COGNOME potesse valere come rinuncia tacita alla prescrizione, in quanto essa richiede, secondo la giurisprudenza di legittimità, una manifestazione inequivoca di volontà consapevole dell’avvenuta maturazione del termine. Si rileva che nel caso concreto non vi è alcuna prova che NOME COGNOME fosse consapevole della estinzione per prescrizione del diritto altrui e che la Corte abbia omesso ogni verifica in tal senso, limitandosi a valorizzare un comportamento equivoco. Si richiama anche giurisprudenza in ordine alla possibilità per l’avente causa di eccepire la prescrizione anche in presenza di rinuncia da parte del dante causa. Si afferma che, anche a voler considerare perfezionata la rinuncia da parte di NOME COGNOME, ciò non avrebbe impedito agli attuali proprietari del fondo servente di opporre la prescrizione in forza dell’art. 2939 c.c., stante il loro interesse alla conservazione del bene privo di servitù. Si richiama, infine, la giurisprudenza in tema di garanzia per evizione limitativa, sostenendo che la presenza della servitù costituirebbe un peso non apparente sul bene, lesivo del diritto all’integrità del godimento da parte degli acquirenti.
– In ragione della valenza nomofilattica della questione sollevata con il primo motivo di ricorso, il Collegio ravvisa la necessità di rimettere la trattazione all’udienza pubblica.
P.Q.M.
La Corte rimette la trattazione del ricorso all’udienza pubblica. Così deciso in Roma, il 02/04/2025.