Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19968 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19968 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 22834-2021 proposto da:
COGNOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente a ll’avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
nonchè contro
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME
-controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1633/2021 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata in data 04/06/2021
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato IL 5.6.2017 COGNOME NOME e COGNOME NOME evocavano in giudizio RAGIONE_SOCIALE innanzi il Tribunale di Treviso, chiedendo l’accertamento dell’inesistenza della servitù di passaggio esercitata dalla convenuta sulla loro proprietà. Gli attori specificavano di aver ceduto parte del loro fondo a COGNOME NOME e COGNOME NOME con atto del 1988, a favore dei quali, nel rogito di cessione, era stato previsto un diritto di transito non avente natura reale, a cagione della natura interclusa del fondo oggetto di trasferimento; detto diritto, dunque, non si sarebbe trasferito alla società convenuta, avente causa dei predetti COGNOME – Zago. In subordine, nel caso in cui fosse ritenuta la natura reale del diritto di transito di cui è causa, gli attori chiedevano che ne fosse dichiarata l’estinzione, perché il fondo oggi di proprietà della convenuta non era più intercluso. Infine, nel caso di rigetto della domanda di negatoria servitutis gli attori invocavano la condanna della convenuta al pagamento dell’indennizzo dovuto e all’esercizio del transito con il minor aggravio possibile per il fondo servente. Con altra domanda, gli attori chiedevano anche accertarsi la loro proprietà esclusiva del muro posto a confine tra le due proprietà.
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE resistendo alla domanda ed invocando, in via riconvenzionale, la costituzione del diritto di transito per
usucapione, ovvero per via coattiva. Chiedeva inoltre di essere manlevata, in caso di soccombenza, dai suoi danti causa, che chiamava in causa.
Questi ultimi si costituivano, a loro volta, resistendo tanto alla domanda principale che a quella di garanzia.
Con sentenza n. 692/2019 il Tribunale rigettava le domande di parte attrice, condannandola alle spese. Il primo giudice configurava il diritto di transito di cui è causa come servitù, stante la sua inerenza al fondo e l’utilità per lo stesso, di origine volontaria, e dunque lo riteneva da un lato trasferito alla società convenuta e, dall’altro lato, non suscettibile di estinzione anche in ipotesi di cessata interclusione del fondo dominante. Riteneva infine che il muro a confine fosse di proprietà comune, in quanto anche tale statuizione era contenuta nel rogito del 1988 con cui gli COGNOME avevano venduto parte del loro fondo ai Girardi – Zago.
Con la sentenza impugnata, n. 1633/2021, la Corte di Appello di Venezia confermava la decisione di prime cure, rigettando il gravame interposto avverso la stessa dagli odierni ricorrenti.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME e COGNOME NOME, affidandosi a quattro motivi.
Resistono con separati controricorsi RAGIONE_SOCIALE, da un lato, e COGNOME Rita e COGNOME NOME, dall’altro lato.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ed i controricorrenti COGNOME e COGNOME hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti denunziano la nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice e violazione degli artt. 158 c.p.c., 56 del R.D. n. 12 del 1941 e 67 della legge n. 69 del 2013, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la decisine di secondo
grado sarebbe stata estesa da un giudice ausiliario il cui incarico sarebbe scaduto prima della deliberazione e della stesura della stessa.
La censura è infondata.
Dalla documentazione allegata dalla parte controricorrente RAGIONE_SOCIALE risulta che il giudice ausiliario estensore della decisione impugnata era stato prorogato nel suo incarico. Il Presidente della Corte di Appello di Venezia, infatti, rispondendo a specifica richiesta dell’avv. COGNOME ha dato atto che il giudice ausiliario dott. NOME COGNOME aveva ricevuto parere favorevole alla proroga delle funzioni da parte del Consiglio giudiziario territorialmente competente; non sussiste, di conseguenza, alcun vizio di costituzione del giudice.
Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 1032,1051, 1054 e 1055 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato l’impossibilità di estinzione della servitù oggetto di causa, in quanto di origine volontaria, senza considerare che quando il diritto di transito viene concesso, anche con atto spontaneo, per ovviare ad una condizione di interclusione del fondo dominante, senza riconoscimento di alcuna indennità a fronte della sua concessione, essa conservi la sua natura coattiva, con conseguente possibilità che essa si estingua al venir meno del suo presupposto.
Questa censura è invece fondata.
La Corte di Appello ha semplicemente ritenuto che la servitù avesse natura volontaria perché costituita con l’atto del 1988 con cui gli COGNOME avevano ceduto ai COGNOME Zago parte della loro proprietà, senza tuttavia considerare la circostanza, riconosciuta da ambedue i convenuti (cfr. pagg. 10 e s. del ricorso), che il diritto di transito era
stato concesso per evitare che il fondo compravenduto rimanesse intercluso.
In proposito, secondo l’insegnamento di questa Corte, ‘Per il disposto dell’art. 1054 c.c., il quale riconosce al proprietario del fondo rimasto intercluso in conseguenza di alienazione a titolo oneroso o di divisione il diritto di ottenere coattivamente dall’altro contraente il passaggio senza corrispondere alcuna indennità, deve presumersi che la servitù di passaggio costituita con lo stesso atto di alienazione o di divisione, o anche con atto successivo che all’interclusione sia oggettivamente preordinato, abbia natura coattiva, con conseguente applicabilità alla medesima, in caso di cessazione dell’interclusione, della causa estintiva di cui all’art. 1055 c.c., salvo che dal negozio costitutivo non emerga, in concreto ed inequivocabilmente, l’intento delle parti di assoggettarsi al regime delle servitù volontarie’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2922 del 10/02/2014, Rv. 629616; conf. Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n. 24966 del 07/10/2019, Rv. 655458). Ne deriva che, in presenza di una servitù costituita con atto tra privati, senza riconoscimento di alcuna indennità a favore del titolare del fondo dominante, per ovviare alla condizione di oggettiva interclusione di un fondo, il giudice di merito non può limitarsi a rilevare l’origine pattizia del diritto, ma deve presumere che la servitù abbia natura comunque coattiva, con conseguente applicazione della causa estintiva di cui all’art. 1055 c.c., e deve altresì indagare la volontà delle parti, al fine di verificare se, in concreto, la predetta presunzione possa essere vinta e si possa, quindi, configurare comunque una servitù di origine volontaria. Poiché la sentenza impugnata non ha applicato i principi fissati dalla giurisprudenza sopra richiamata, né quanto all’applicazione della causa estintiva ex art. 1055 c.c., né quanto all’indagine dell’effettiva volontà delle parti, essa merita di essere cassata.
Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono dell’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe considerato l’intervenuta cessazione della condizione di interclusione del fondo dominante.
La censura è logicamente assorbita dall’accoglimento del secondo motivo. Il giudice del rinvio, infatti, dovrà procedere ad una rinnovata disamina della fattispecie, da condurre nel rispetto dei principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte richiamata in occasione dello scrutinio della prima censura.
Con il quarto motivo, infine, i ricorrenti contestano la violazione o falsa applicazione degli artt. 874, 880, 881, 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente rigettato la domanda di accertamento della proprietà esclusiva del muro di confine in capo agli odierni ricorrenti.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha accertato che la comproprietà del muro di confine era stata espressamente prevista nel rogito con cui, nel 1988, gli odierni ricorrenti avevano ceduto parte del loro fondo ai Girardi Zago. Questi ultimi, poi, avevano a loro volta trasferito la loro proprietà alla società RAGIONE_SOCIALE con tutti i diritti e gli obblighi annessi, compresa dunque la comproprietà del muro oggetto di causa. Secondo i ricorrenti, il giudice di merito avrebbe erroneamente interpretato la clausola convenzionale, che faceva riferimento ad un muro che avrebbe dovuto essere eretto, confondendo con questo una struttura preesistente, pacificamente di proprietà degli COGNOME. La censura, tuttavia, da un lato non indica alcun elemento dal quale l’assunto suindicato sarebbe confermato, né ne lamenta il mancato esame da parte del giudice di merito; e, dall’altro lato, si risolve in una
ricostruzione alternativa del fatto e delle prove, rispetto a quella prescelta dalla Corte distrettuale, senza considerare che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
Né è consentito proporre, in sede di legittimità, una interpretazione del dato negoziale differente ed alternativa rispetto a quella del giudice di merito, poiché quest’ultima ‘… non deve essere l’unica
astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677; in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013, Rv. 628585).
Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
In definitiva, vanno rigettati il primo e quarto motivo di ricorso, va accolto il secondo e dichiarato assorbito il terzo. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata alla Corte di appello di Venezia, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte rigetta il primo e quarto motivo del ricorso, accoglie il secondo e dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda