Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22143 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22143 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 37617/2019 R.G. proposto da : COGNOME difesi dall’avvocato COGNOME
COGNOME NOME COGNOME
-ricorrenti-
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME difesi dall’avvocato COGNOME
-controricorrenti-
nonché
PACHERA ALIDA, PACHERA ACHILLE, COGNOME DOMENICA
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 1379/2019 depositata il 30/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Brescia NOME COGNOME e NOME COGNOME. Gli attori domandavano di accertare che il fondo di loro proprietà fosse libero da servitù a favore dei fondi dei convenuti, con condanna di questi ultimi al risarcimento dei danni per molestie. I convenuti si costituivano, domandando il rigetto delle pretese avversarie e, in via riconvenzionale, la costituzione di una servitù coattiva di passaggio sul fondo degli attori ai sensi dell’art. 1051 c.c., sostenendo che il proprio fondo era intercluso. Domandavano inoltre la rimozione di un palo che assumevano essere stato illegittimamente collocato dagli attori sulla proprietà di NOME COGNOME e proponevano un’ulteriore domanda di negatoria servitutis volta a limitare l’ampiezza di un altro passaggio a favore degli attori. Nel corso del giudizio di primo grado intervenivano volontariamente NOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, proprietari di un ulteriore fondo confinante, i quali non si opponevano alla costituzione della servitù coattiva a favore dei COGNOME anche sul loro terreno. In primo grado tutte le domande, sia principali che riconvenzionali, venivano rigettate. In parziale riforma, la Corte di appello ha ritenuto che il fondo dei convenuti era intercluso. Ha individuato la causa dell’interclusione nell’atto di compravendita del 2000 con cui la parte attrice aveva acquistato dalla Provincia di Brescia un fondo, che era un reliquato stradale demaniale e che garantiva l’accesso alla via pubblica dal fondo dei convenuti. La Corte territoriale ha rigettato la qualificazione del passaggio come strada agraria in comunione, data la pregressa natura pubblica del bene. Ha ritenuto ammissibile la domanda di costituzione di servitù coattiva, poiché l’intervento volontario dei COGNOME e altri aveva assicurato la presenza in giudizio di tutti i proprietari dei fondi necessari a costituire il passaggio, sanando così l’originaria incompletezza del contraddittorio. La Corte distrettuale ha così costituito una servitù coattiva di passaggio a
favore dei fondi COGNOME e a carico dei fondi di proprietà COGNOME e degli intervenuti COGNOME e altri, seguendo il percorso individuato dalla c.t.u. come il più breve. Ha condannato i COGNOME a versare a titolo di indennità la somma di € 174. La Corte ha inoltre ordinato la rimozione del palo, avendo la c.t.u. accertato che questo era stato illecitamente posizionato sulla proprietà esclusiva di NOME COGNOME.
Ricorrono in cassazione gli attori con quattro motivi, illustrati da memoria. Resistono i convenuti con controricorso e memoria. Il consigliere delegato ha proposto la definizione del ricorso per l’ammissibilità o manifesta infondatezza. I ricorrenti ne hanno chiesto la decisione. L’interlocutoria n. 13667 del 2024 ha disposto il rinvio a nuovo ruolo, in attesa di un pronuncia delle Sezioni Unite rilevante ai fini della decisione, che è giunta nel gennaio 2025 (SU 1900/2025). In prossimità della nuova adunanza camerale, le parti hanno depositato nuove memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 105 c.p.c. Si contesta alla Corte di appello di aver erroneamente ritenuto ammissibile l’intervento volontario dei signori COGNOME e di altri proprietari di un fondo coinvolto. Secondo i ricorrenti, tale intervento sarebbe illegittimo in quanto privo di un interesse giuridico tutelabile e volto unicamente a sanare l’originario errore processuale dei convenuti, i quali non avevano esteso la loro domanda riconvenzionale a tutti i proprietari dei fondi necessari per la costituzione della servitù. La domanda riconvenzionale sarebbe pertanto «monca» e il suo vizio non sanabile da un intervento tardivo e strumentale.
La sentenza impugnata ha risposto esplicitamente affermando che l’ intervento in causa dei sig.ri COGNOME e COGNOME (se pur rimasti contumaci nel presente giudizio) comporta che siano presenti in giudizio tutti i contraddittori coinvolti nel dare il
passaggio verso la via pubblica ai fondi dei Buccella e che si possa quindi provvedere sulla domanda. Implicitamente, la Corte di appello ha ritenuto che la presenza di tutte le parti necessarie al momento della decisione fosse sufficiente a superare l’originario vizio della domanda riconvenzionale, privilegiando una decisione nel merito in ossequio al principio di economia processuale.
Il primo motivo è rigettato.
La disciplina del litisconsorzio necessario è diretta ad assicurare l’ utilità della decisione nel caso in cui quest’ultima non può pronunciarsi che in confronto di più parti, ma esse non siano tutte presenti in giudizio; non è diretta a punire la parte che non ha osservato le sue regole.
Il capoverso precedente consentirebbe di passare già all’esame del secondo motivo. Senonché, opportuno cade il richiamo alla recente pronuncia delle Sezioni Unite n. 1900 del 2025, secondo la quale « l’azione per la costituzione di servitù coattiva di passaggio in favore del fondo intercluso deve essere promossa, nella ipotesi in cui si fronteggino più fondi tra quello intercluso e la via pubblica, avuto riguardo a tutti i percorsi concretamente sperimentabili, nei confronti di tutti i proprietari di tali fondi, poiché una tale azione dà vita a un processo litisconsortile per comunanza dei plurimi rapporti bilaterali, strettamente correlati al fine di consentire il soddisfacimento del vantato diritto. In mancanza dell’integrazione del contraddittorio ordinato dal giudice il processo dovrà essere dichiarato estinto secondo le regole del processo civile, senza che ne derivi il rigetto della domanda ».
È sufficiente porre tra parentesi, in questa massima, la superflua specificazione che il contraddittorio sia integrato dal giudice, per mettere in luce che essa è una concretizzazione del principio enunciato in precedenza. In altri termini, se il contraddittorio è correttamente integrato (indipendentemente da chi prenda
l’ iniziativa di ciò), si produce una sanatoria retroattiva e il processo prosegue verso il suo esito naturale: la pronuncia nel merito.
Nel caso di specie, la sanatoria non è avvenuta a seguito di un ordine del giudice, ma per effetto dell’intervento volontario in giudizio, nel corso del primo grado, dei proprietari pretermessi, i signori COGNOME e altri. Tale intervento ha pienamente realizzato l’integrità del contraddittorio, consentendo al giudice di poter decidere la causa nel merito alla presenza di tutte le parti la cui sfera giuridica è incisa dalla pronuncia. La soluzione adottata dalla Corte di appello, che ha proceduto a decidere la domanda riconvenzionale una volta verificata la presenza in giudizio di tutti i litisconsorti necessari, è pertanto conforme ai principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, sottesi alla stessa pronuncia delle Sezioni Unite.
2.1. – Nel secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1051 c.c. e l’omesso esame del fatto decisivo consistente nella rinuncia, da parte dei Buccella, alla servitù di passaggio su un determinato mappale, formalizzata con atto notarile del 2003. I ricorrenti sostengono che i resistenti si sono volontariamente procurati lo stato di interclusione, avendo a disposizione un altro accesso alla via pubblica cui hanno rinunciato. Tale atto volontario, secondo il ricorso, precluderebbe il diritto di ottenere una servitù coattiva su fondi altrui.
La sentenza impugnata ha individuato la causa dell’interclusione nell’acquisto, da parte della signora COGNOME nel 2000, del mappale 95, che in precedenza era un reliquato stradale di proprietà pubblica e consentiva l’accesso alla via pubblica. La Corte ha espressamente affermato che, in virtù della compravendita (alla COGNOME), i mappali 154 (ex 26) е 98 risultano interclusi ai sensi dell’art. 1051 c.c non essendo allo stato più garantito per gli stessi l’accesso diretto alla pubblica via (SP 24). La sentenza impugnata è invece rimasta silente sul fatto specifico, dedotto nel motivo di
ricorso, relativo alla rinuncia a una pregressa servitù formalizzata con atto notarile del 2003.
2.2. -Col terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1051 e 1054 c.c. e l’omesso esame del fatto decisivo rappresentato dal frazionamento del 1991. Si argomenta che, se un’interclusione si è verificata, essa è conseguenza di tale atto di divisione. Pertanto, la norma applicabile avrebbe dovuto essere l’art. 1054 c.c., che prevede la costituzione di un passaggio gratuito a carico dell’altro fondo originato dalla divisione e non l’art. 1051 c.c., che ha invece condotto a gravare il fondo dei ricorrenti.
La sentenza impugnata, pur rimanendo silente sulla specifica norma, ha implicitamente escluso la sua applicabilità. Avendo identificato la causa dell’interclusione nell’atto di compravendita del 2000 tra la Provincia e la signora COGNOME e non nell’atto di divisione del 1991, la Corte di appello ha ritenuto insussistenti i presupposti per l’applicazione dell’art. 1054 c.c., che richiede che l’interclusione derivi direttamente da un atto di alienazione o divisione tra le parti private. L’intera motivazione della sentenza si fonda sulla disciplina generale dell’art. 1051 c.c.
2.3. -Attraverso il quarto motivo si denuncia l’omessa valutazione di un fatto storico decisivo, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., consistente in un negozio di accertamento del 1988 tra i danti causa delle parti. Con tale accordo, inglobato in una transazione, sarebbe stata definita l’ampiezza di una servitù preesistente e la posizione del palo metallico, oggetto della domanda di rimozione, sarebbe stata legittimata quale cippo di confine. La Corte di appello avrebbe errato nel condannare i ricorrenti alla rimozione del palo, ignorando tale documento e basandosi unicamente sulle risultanze della c.t.u. che non ne avrebbero tenuto conto.
La sentenza impugnata ha basato la sua decisione sulle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio. La Corte ha affermato
che la domanda di rimozione andava accolta in quanto il ctu ha evidenziato che il palo in ferro non costituisce termine di confine ed è posto sul mappale 154 al di fuori della capezzagna e che la posizione del palo è in area esterna alla strada in discussione sulla proprietà esclusiva Buccella. La sentenza impugnata è rimasta silente sul presunto negozio di accertamento del 1988, implicitamente ritenendolo non rilevante o superato dalle conclusioni del consulente tecnico.
3. – Il secondo, il terzo e il quarto motivo sono da esaminare contestualmente, poiché essi si basano su una impostazione comune, che è la stessa che ne determina altresì il rigetto. Pur se formalmente prospettati come censure di violazione di legge o come omesso esame di un fatto decisivo, tali motivi si risolvono in una critica all’accertamento di fatto e alla valutazione delle prove compiuti dalla Corte di appello e sollecitano un riesame del merito che è precluso in questa sede di legittimità, ove l’apprezzamento di merito abbia trovato espressione in una motivazione logicamente congrua.
In particolare, con il secondo e il terzo motivo, i ricorrenti contestano la sussistenza dei presupposti per la costituzione della servitù coattiva, sostenendo, da un lato, che i resistenti si sarebbero volontariamente interclusi (rinunciando a un precedente passaggio) e, dall’altro, che l’interclusione deriverebbe da un atto di divisione del 1991, con conseguente applicabilità dell’art. 1054 c.c. Entrambe le censure si fondano su una ricostruzione della causa dell’interclusione che diverge da quella, motivata, accertata dalla Corte territoriale. Quest’ultima, basandosi sulle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, ha individuato la causa dell’interclusione nell’acquisto, da parte della stessa ricorrente COGNOME, di un ex reliquato stradale di proprietà pubblica, acquisto che ha interrotto l’accesso alla via pubblica di cui i fondi dei resistenti avevano fino a quel momento goduto. Si tratta di un
apprezzamento di fatto, sorretto da una motivazione logica e coerente, che non può essere sindacato in questa sede. I ricorrenti, in sostanza, non denunciano un errore di diritto, ma contrappongono la propria interpretazione delle prove a quella del giudice di merito.
Analogamente, il quarto motivo, con cui si lamenta l’omessa valutazione del negozio di accertamento del 1988 ai fini della decisione sulla rimozione del palo, mira a ottenere una diversa valutazione del materiale probatorio. La Corte di appello ha fondato la propria decisione sulle conclusioni del consulente tecnico, il quale ha accertato che il palo era stato infisso sulla proprietà esclusiva dei resistenti e al di fuori dell’area di passaggio. Nel fare ciò, la Corte ha implicitamente ritenuto irrilevante o comunque non decisivo, ai fini della collocazione del manufatto, il documento del 1988 invocato dai ricorrenti. Anche in questo caso, il motivo è animato dall’intenzione di sovrapporre il proprio apprezzamento ricostruttivo della situazione di fatto all’accertamento che il giudice di merito ha espresso in una motivazione effettiva, risoluta e coerente, la quale quindi non si espone a censure in sede di giudizio di legittimità.
– La Corte rigetta il ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, anche ai sensi dell’art. 93 co. 3 e 4 c.p.c.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 3.500, oltre a € 200 per esborsi, alle spese genera-
li, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge. Inoltre, condanna la parte ricorrente al pagamento ex art. 96 co. 3 c.p.c. di € 3.500 in favore della parte controricorrente, nonché al pagamento ex art. 96 co. 4 c.p.c. di € 3 .000 in favore della cassa delle ammende.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 09/07/2025.