Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32337 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32337 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12427/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CSSGPP56C15G751V) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CMPGPP47P26L483L)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in PORTOGRUARO INDIRIZZO COGNOMEINDIRIZZO C/O DOM COGNOME, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TRIESTE n. 77/2022 depositata il 03/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Trieste, in riforma della sentenza di primo grado, la quale aveva costituito servitù coattiva di passaggio pedonale e con mezzi motorizzati a favore dell’immobile abitativo di NOME COGNOME e NOME COGNOME e a carico del complesso immobiliare di proprietà della RAGIONE_SOCIALE (determinando l’indennizzo in € 28.800,00), accolse il gravame reputando sussistere preclusione derivante da precedente giudicato.
Infatti, con sentenza divenuta definitiva la medesima Corte d’appello aveva accertato la libertà del fondo di proprietà della Scuola del Castelletto e rigettato la riconvenzionale di usucapione.
Su ricorso del COGNOME e della COGNOME, questa Suprema Corte -con sentenza n. 2124 depositata il 29 gennaio 2021 -cassava la sentenza impugnata, fissando il principio per il quale ” L’appartenenza del diritto di servitù ai diritti autodeterminati, cioè a quei diritti (nella specie reali), che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non assolve ad una funzione di specificazione della domanda o dell’eccezione, ma è necessaria ai soli fini della prova, non preclude, dopo che sia passata in giudicato la sentenza che affermi la libertà del fondo, la proposizione di una domanda volta all’ottenimento, in presenza di attualità dei presupposti di legge, della costituzione giudiziale di una servitù
coattiva di passaggio” e rinviava alla Corte d’appello di Trieste per un nuovo giudizio.
Con sentenza n. 77 depositata il 3 marzo 2022, la Corte triestina, in sede di rinvio, costituiva la servitù di passaggio coattivo invocata dagli originari attori ‘secondo il percorso individuato nella relazione del CTU datata 5-32013’ e liquidava l’indennizzo in favore della controparte in ragione di € 28.800,00 oltre rivalutazione monetaria. La Corte d’appello richiamava all’uopo la consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado, la quale aveva verificato che l’accesso ad altro percorso esistente era ‘particolarmente impervio e praticamente inaccessibile, di difficile utilizzo per una persona priva di disabilità motoria e sicuramente inutilizzabile per un portatore di handicap’. D’altronde, il tracciato sarebbe stato già utilizzato dai fruitori della Scuola con passaggio di auto e persone, così da importare un pregiudizio soltanto lieve e da giustificare la misura dell’indennità riconosciuta in primo grado dal Tribunale.
Contro tale sentenza, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di otto motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
Il consigliere delegato ha proposto la declaratoria di inammissibilità o comunque di manifesta infondatezza dell’impugnazione.
A seguito della tempestiva opposizione della ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, che ha chiesto la decisione, la causa è stata avviata alla camera di consiglio del 6 novembre 2024.
In prossimità dell’udienza, entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la prima doglianza, la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 1051 comma 2°, 1052, 1063, 1064 comma 1° e 1065 c.c.
Sostiene che la Corte territoriale avrebbe disposto la costituzione della servitù coattiva sulla sola base dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1052 c.c., senza fornire alcuna specificazione con riferimento all’estensione ed alle modalità di esercizio del diritto. In particolare, avrebbe dovuto precisare che il passaggio poteva essere esercitato al solo fine di consentire l’accesso al fondo a persone portatrici di handicap ed avrebbe, quanto meno, dovuto assoggettare i fruitori agli stessi limiti imposti a chi già utilizzava il tracciato.
Il rilievo è infondato.
Rispondendo ad un analogo motivo di gravame, la Corte di rinvio ha rilevato che il CTU, officiato dal Tribunale, aveva sottolineato la sostanziale inaccessibilità del varco posto a servizio del fondo attoreo; secondo la Corte di merito, ‘ il fatto che il fondo asservendo sia inserito in un comprensorio scolastico non è ostativo, essendovi già presente una strada di accesso frequentemente utilizzata. Non sono ravvisabili vincoli di tipo urbanistico o violazioni del Piano Regolatore (peraltro non specificati nella impugnazione della società appellante) nel caso di costituzione di servitù di passaggio, essendo, come detto, il percorso individuato dal consulente tecnico del Tribunale già utilizzato come passaggio di auto e persone. Non appare incompatibile la destinazione d’uso del fondo servente con il consentire il passaggio a favore del fondo dominante ‘.
La Corte di rinvio si è dunque basata sulla individuazione del tracciato fatta dal consulente tecnico e la critica mossa dalla ricorrente investe la valutazione delle risultanze istruttorie.
Giova in proposito considerare che la ‘lettura’ delle prove raccolte, ivi compresi gli accertamenti tecnici di natura peritale, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili
in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
In ogni caso, l’art. 1052 c.c. può essere invocato al fine della costituzione di una servitù coattiva di passo carraio, in favore di un fondo non intercluso, non solo per esigenze dell’agricoltura o dell’industria, ma anche a tutela di esigenze abitative, da chiunque invocabili, emergendo, dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 167 del 1999, un mutamento di prospettiva secondo il quale l’istituto della servitù di passaggio non è più limitato ad una visuale dominicale e produttivistica, ma è proiettato in una dimensione dei valori della persona, di cui agli artt. 2 e 3 Cost., che permea di sé anche lo statuto dei beni ed i rapporti patrimoniali in generale (Sez. 2, n. 8817 del 10 aprile 2018; Sez. 2, n. 14477 del 6 giugno 2018). In definitiva, la Corte d’appello ha applicato il principio del minimo mezzo, ai sensi dell’art. 1051 c.c.: il relativo giudizio compete, in ogni caso, al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se congruamente e logicamente motivato, come in questo caso (Sez. 2, n. 8779 del 12 maggio 2020).
2. Con la seconda censura la società ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 1029 c.c., osservando che la servitù coattiva era stata costituita a prescindere dalla previa eliminazione delle barriere architettoniche presso l’abitazione delle controparti, che ne avrebbero impedito il suo esercizio.
Il motivo è inammissibile perché investe una questione nuova implicante accertamenti in fatto.
Il riferimento all’art. 1029 c.c. nel dispositivo della sentenza impugnata appare, infatti, come un mero refuso, riferendosi tale norma ad una fattispecie estranea al thema decidendum e non risultando neppure trattata dalle parti o nella motivazione della Corte d’appello. Né vi sono elementi per ritenere la suddetta statuizione collegata all’eliminazione delle asserite barriere architettoniche in tesi presenti presso l’abitazione di NOME COGNOME e NOME COGNOME, argomento anch’esso non sollevato in sede di rinvio.
Il terzo mezzo di ricorso si appunta sulla violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
La Corte d’appello , a dire della ricorrente, avrebbe omesso di pronunziarsi in ordine alla richiesta della Scuola di valutare la possibilità di utilizzare accessi alternativi al fondo dominante o di adottare soluzioni diverse rispetto a quella riconosciuta dal CTU.
Il motivo è infondato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’ iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (Sez. 2, n. 12652 del 25 giugno 2020).
Nella specie, è evidente che la soluzione indicata dal CTU non aveva alternative apprezzabili o comunque idonee a contemperare i contrapposti interessi più di quanto lo fosse il tracciato, già esistente e già utilizzato dai fruitori della Scuola.
Attraverso la quarta lagnanza, la sRAGIONE_SOCIALE assume che la sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare l’esistenza di accessi alternativi al fondo dominante ovvero di soluzioni differenti rispetto a quella prospettata dal CTU, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Tale valutazione avrebbe avuto rilevanza decisiva ai fini dell’esito del giudizio.
4.1. La sesta doglianza concerne l’omesso esame della perdita di valore del fondo servente e degli interventi edilizi sul comprensorio scolastico, a seguito del diritto di accesso da parte di estranei, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
Afferma la ricorrente che, ove i giudici del rinvio avessero considerato tali aspetti, sarebbero pervenuti ad una differente e ben maggiore quantificazione dell’indennità.
Questi due mezzi -che ben possono essere scrutinati insieme, considerato il comune richiamo al medesimo motivo di ricorso sono inammissibili.
L’art. 360 1° comma n. 5 c.p.c. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, 1° comma, n. 6, e 369, 2° comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”,
fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U. n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 2, n. 27415 del 27 ottobre 2018).
Pertanto, il vizio evocato richiede la sussistenza di un fatto storico concreto, che la ricorrente ha invece ricondotto, per un verso, ad un’ipotesi alternativa indimostrata, ed oltretutto apparentemente estranea ad una discussione processuale e, per altro verso, a criteri valutativi astratti ed ipotetici.
Nel caso in esame, non è dato ravvisare l’omesso esame di fatti decisivi: la Corte d’Appello a pagina 13 ha considerato la natura impervia dell’accesso a favore del fondo della parte attrice ed ha altresì considerato, quanto al fondo da asservire, che trattasi di un comprensorio scolastico.
5. Col quinto rilievo, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 1053 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., nella determinazione dell’indennizzo spettante ai proprietari del fondo servente.
La Corte distrettuale -si afferma – avrebbe utilizzato criteri e parametri diversi da quelli previsti per legge, mancando di considerare tutti i pregiudizi arrecati al fondo servente, quali l’asservimento dell’intero fondo, la concreta destinazione d’uso dello stesso ed il correlato aumento del rischio per la sicurezza, oltre al decremento di valore dell’immobile.
Il motivo è infondato.
La Corte di merito, come si è già detto, ha considerato che il fondo da asservire è rappresentato da una scuola e quindi gli elementi indicati sono stati certamente presi in esame.
La differente lettura delle risultanze istruttorie proposta dalla ricorrente non tiene conto del principio per il quale la doglianza non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle
valutazioni e del convincimento del giudice di merito, volta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. 5, n. 32505 del 22 novembre 2023; Sez. 2, n. 20553 del 19 luglio 2021).
È, in conclusione, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).
La settima censura concerne la violazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
La Corte distrettuale avrebbe erroneamente accolto l’appello incidentale delle controparti, nonostante il loro difetto d’interesse ad ottenere una pronuncia preventiva (a non frapporre ostacoli), giacché, come riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata, il divieto di ostacolare l’esercizio della servitù sarebbe stato immanente alla costituzione del medesimo diritto.
Il motivo è del tutto privo di rilievo pratico, e quindi va disatteso. Infatti, la costituzione di una servitù impone logicamente il divieto di frapporre ostacoli al suo esercizio, come del resto prevede l’art. 1079 c.c. in tema di azione confessoria, sicché la mera precisazione della Corte d’Appello non è censurabile.
Con l’ultima doglianza, la ricorrente Scuola del Castelletto lamenta la violazione degli artt. 841 e 1064 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., giacché, ove la statuizione della Corte d’appello dovesse essere intesa come inibizione radicale a chiudere i cancelli fuori dagli orari scolastici (chiusura che è invece necessaria per motivi di sicurezza e consentita dalla legge), lederebbe il diritto
dominicale del proprietario, senza neppure regolamentare l’accesso da parte di terzi.
Il predetto motivo è infondato.
L a sentenza impugnata non ha vietato l’ installazione di cancelli, ma ne ha rimesso la realizzazione alla scelta della parte (v. pag. 14 sentenza) . E l’avere ritenuto non necessaria la costruzione di cancelli non equivale certamente a divieto, anche perché per costante giurisprudenza il proprietario del fondo servente può recintare l’area, consegnando le chiavi al titolare del fondo dominante.
E, d’altronde, la servitù va esercitata secondo le norme regolatrici di cui agli artt. 1063 e ss. c.c., senza necessità che il provvedimento di costituzione del giudice riporti nel dettaglio le disposizioni analitiche che devono governare i singoli casi. E’ dunque evidente che il proprietario che abbia chiuso il fondo servente, dotandolo di cancello automatico, è tenuto all’installazione di dispositivi ovvero ad individuare modalità atte a garantire, ai sensi dell’art. 1064, comma 2, c.c., il diritto al libero e comodo accesso ad esso da parte del proprietario del fondo dominante e dei terzi – da lui autorizzati, nei limiti della normalità senza che ciò comporti alcun ampliamento delle facoltà del proprietario del fondo dominante, con aggravamento della servitù (Sez. 6-2, n. 21928 del 2 settembre 2019; Sez. 2, n. 31145 del 29 dicembre 2017).
In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della Scuola del Castelletto, risultata soccombente, al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis c.p.c. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna
della ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000 ,00 (cinquemila) per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, iva, cassa avvocati, ed agli esborsi, liquidati in € 200 ,00.
Condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 commi terzo e quarto c.p.c., al pagamento, in favore NOME COGNOME e NOME COGNOME, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi, nonché al pagamento della somma di € 3.000 (tremila) in favore della cassa delle ammende.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della RAGIONE_SOCIALE, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma il 6 novembre 2024, nella camera di consiglio