Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34881 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34881 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12544/2023 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in BERGAMO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE -controricorrente-
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 419/2023 depositata il 13/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
NOME COGNOME ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe con cui la Corte di Appello di Brescia, in riforma della sentenza del tribunale di Bergamo n. 1153 del 22.5.2019, ha accolto l’originaria domanda di NOME COGNOME di accertamento dell’inesistenza della servitù di passaggio pedonale vantata da esso ricorrente sul fondo dell’attore -appellante, in Ranzanico (BG), INDIRIZZO, distinto in catasto dal mappale 966, a favore del fondo, sito nella stessa INDIRIZZO e distinto dal mappale 1002.
1.1. A fondamento della decisione la Corte di Appello ha, in primo luogo, precisato che il preteso diritto di servitù era riferito ad un ‘andito/corridoio’ di proprietà di NOME COGNOME e che secondo la prospettazione di NOME COGNOME il passaggio avrebbe consentito di ‘collegare due stanze poste sui lati opposti del fabbricato 1002’, ha, in secondo luogo, dato conto di aver accertato, sulla scorta di consulenza tecnica e di fotografie, che lo spazio su cui l’allora appellata vantava il diritto di servitù non presentava opere visibili specificamente destinate al passaggio. In particolare, la Corte di Appello ha affermato che detto andito era destinato a servire solo al mappale dell’allora appellante e non al mappale 1002, che una persona di media statura non avrebbe potuto utilizzarlo come passaggio essendovi un varco dell’altezza utile di soli 144 cm e, al di là del varco, una scala composta di ‘cinque pedate’ non indicativa di un utile e comodo passaggio verso le stanze
costituenti i presunti fondi dominanti. La Corte di Appello ha quindi richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo cui il requisito dell’apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione, si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio rivelanti, in modo non equivoco, l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, così da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di un preciso onere a carattere stabile con la conseguenza che, per l’acquisto per usucapione della servitù di passaggio, non basta l’esistenza di una strada o di un percorso all’uopo idonei, essendo, viceversa, essenziale che essi mostrino di essere stati realizzati al preciso scopo di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello preteso servente ed occorrendo, pertanto, un “quid pluris” che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù (Cass. 11834/2021 e Cass. 25355/2017). La Corte di Appello ha osservato che al difetto del ‘presupposto indefettibile’ costituito dalla presenza di opere stabili e permanenti specificamente destinate al collegamento delle due stanze di proprietà di NOME COGNOME si univa il difetto di prova del fatto che questi avesse esercitato il possesso ad immagine della servitù di passo sulla presunta area servente, per venti anni. Al riguardo la Corte di Appello ha ricordato che l’azione negatoria era stata proposta nel 2016, che alcuni testi avevano affermato che l’andito era stato, fino al 2000 (teste NOME COGNOME) o al 2004 (teste NOME COGNOME), occupato da vari materiali ed era stato pertanto, fino ad allora, ‘non percorribile’, ‘ostruito’, che i testi che avevano reso ‘le deposizioni più favorevoli alle ragioni dei NOME COGNOME‘ avevano riferito solo di ‘un passaggio sporadico’, che una delle stanze asseritamente servite dal passaggio era stata acquistata da NOME COGNOME nel 1995 mentre l’altra era stata acquistata solo nel 2008. La Corte di
Appello ha concluso che, ‘dunque, il ventennio non può essersi concluso’;
NOME COGNOME resiste con controricorso;
NOME COGNOME intervenuta volontariamente in causa nel corso del giudizio di primo grado, a sostegno del COGNOME, è rimasta intimata;
la causa perviene al Collegio su richiesta di decisione formulata dalla ricorrente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. a seguito di proposta di definizione del giudizio per inammissibilità o comunque manifesta infondatezza del ricorso;
ricorrente e controricorrente hanno depositato memorie; considerato che:
il Collegio, preliminarmente, precisa che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611 del 10 aprile 2024, non sussiste alcuna incompatibilità del consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, c.p.c., atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa;
il primo motivo di ricorso è rubricato ‘violazione o falsa applicazione dell’art.1061 c.c. nonché omessa, carente, contraddittoria o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo nel processo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3. e n.5, c.p.c.: accertamento delle opere visibili per riconoscere l’acquisto per usucapione della servitù apparente di passaggio pedonale’;
il secondo motivo di ricorso è rubricato ‘violazione o falsa applicazione dell’art.1061 c.c. nonché omessa, carente,
contraddittoria o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo nel processo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3. e n.5, c.p.c.: la presunta scomodità del transito attraverso la scala in calcestruzzo posta a nord quale unica condizione per negare l’esistenza delle opere visibili e permanenti destinate all’ esercizio della servitù apparente’;
Il due motivi, suscettivi di esame congiunto in quanto strettamente connessi, sono inammissibili.
In ordine alla dedotta ‘omessa, carente, contraddittoria o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo nel processo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.5, c.p.c.’, si osserva che, come emerge da quanto riportato nella superiore premessa (punto 1.1.), la motivazione della sentenza non presenta alcuna anomalia, essendo lineare e ben comprensibile. La motivazione si sottrae ai ristretti limiti di sindacabilità residuati dopo la riforma dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ad opera dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134. Si osserva inoltre che la censura relativa alla motivazione è formulata senza tener conto del fatto che l’art. 360, primo comma, n.5, cod. proc. civ., come riformato, si riferisce ad un vizio specifico, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. La disposizione non consente più la denuncia della non “sufficienza” della motivazione (v. al riguardo SU 8053/2014).
In ordine alla dedotta violazione o falsa applicazione dell’art. 1061 c.c. si osserva che a tale deduzione è sottesa l’allegazione per cui gli accertamenti in fatto del giudice di merito sarebbero errati nel senso che, in realtà, la scala e ‘un cancellino posto a sud’ erano opere visibili e permanenti destinate specificamente al passaggio in questione e che non era vero che l’altezza del varco, pari a 144 cm,
non consentisse un passaggio ‘comodo’ né era vero che la scala non fosse parimenti ‘comoda’. Il motivo, al di là dell’appunto correlato al termine ‘scomodo’ contenuto nella motivazione della sentenza impugnata ma del tutto ultroneo rispetto alla ratio decidendi, ha questa struttura: poiché il giudice di merito ha accertato i fatti X e tale accertamento è erroneo (cioè non corrisponde alla realtà delle cose), allora è stata violata la norma giuridiche Y. Tale struttura scambia il ruolo della Corte di cassazione per quello di una terza istanza di merito. Deve pertanto applicarsi il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’ (Sez. U Sentenza n.34476 del 27/12/2019 (Rv. 656492 – 03);
5. il terzo motivo di ricorso è rubricato ‘violazione o falsa applicazione dell’art.1061 c.c. e degli artt. 112 e 116 c.p.c., nonché omessa, carente, contraddittoria o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo nel processo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3. e n.5, c.p.c.: l’esercizio del passaggio pedonale necessario ad usucapire, interpretazione delle domande del ricorrente e le deposizioni dei testi’. Si deduce che la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere che le parole ‘alcune unità’ nell’espressione ‘accertare e dichiarare l’intervenuto acquisto per usucapione da parte del signor NOME COGNOME … di alcune unità nell’immobile edificato sul mappale 1002′, contenuta nella domanda originaria, fosse riferita due ‘stanze poste sui lati opposti del fabbricato 1002’. Tale interpretazione, si sostiene, sarebbe ‘restrittiva’. Si riportano i contenuti delle dichiarazioni dei testi, si svolgono considerazioni sulla maggiore attendibilità dei testi del ricorrente rispetto a quelli della controparte e si deduce che, al contrario di quanto affermato dalla Corte di Appello, dal complesso
delle testimonianze sarebbe emersa la prova dell’esercizio del possesso ultraventennale;
6. il motivo è inammissibile sotto più profili.
In primo luogo, in quanto, essendo, in ragione dell’inammissibilità dei primi due motivi di ricorso, definitivamente acquisita l’affermazione della Corte di Appello riguardo alla insussistenza del requisito della apparenza della servitù (art. 1061 c.c.), non vi è interesse alla questione, agitata con il motivo ora in esame, dell’esercizio del passaggio per un tempo sufficiente all’usucapione. In secondo luogo, per la parte in cui si deduce che la Corte di Appello avrebbe errato nell’interpretare la domanda di usucapione ‘restrittivamente’, il motivo è inammissibile alla luce del seguente principio: l’ ‘interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del “petitum”, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di “error in judicando”, in base all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di “error facti”, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.’. Nel caso di specie simili ipotesi non sono neppure
prospettate. Il ricorrente non ha neppure ben precisato in che senso la interpretazione della Corte di Appello sarebbe ‘restrittiva’. In terzo luogo, nella parte attinente alla valutazione delle risultanze delle prove ed al giudizio sull’attendibilità dei testi, il motivo è inammissibile perché sia l’una sia l’altro, come anche ‘la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili’ (Cass. n.11511 del 23/05/2014; Cass.16467/2017);
in conclusione il ricorso va rigettato;
al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese.
poiché la trattazione è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. a seguito di proposta di inammissibilità o comunque infondatezza del ricorso, e poiché la Corte ha deciso in conformità alla proposta, va fatta applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma;
10. sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115-, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in €. 3.300,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti;
condanna il ricorrente al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., della somma di € 3.300,00 in favore del controricorrente nonché, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod.
proc. civ., di un’ulteriore somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2024.