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Servitù altius non tollendi: un patto è per sempre?

Una società immobiliare demolisce un vecchio edificio per costruirne uno nuovo e molto più alto. I vicini si oppongono, citando un accordo del 1972 che limitava l’altezza di costruzione. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12906/2024, ha stabilito che un patto di questo tipo, configurando una servitù altius non tollendi, costituisce un diritto reale sulla proprietà e non una semplice obbligazione personale. Di conseguenza, la Corte d’Appello aveva errato nel sottovalutarne la portata. La sentenza è stata annullata e il caso rinviato per una nuova valutazione alla luce di questo principio.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Servitù altius non tollendi: un vecchio accordo può bloccare una nuova costruzione?

La stipula di un accordo tra vicini per limitare le possibilità edificatorie è un tema di grande attualità nel diritto immobiliare. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato la forza e la natura di questi patti, in particolare della servitù altius non tollendi, chiarendo come essa rappresenti un vincolo reale e perpetuo sul bene, capace di resistere al tempo e ai cambi di proprietà. Analizziamo insieme questo interessante caso.

I fatti del caso: la costruzione che viola un vecchio patto

La vicenda ha origine da una controversia tra proprietari di fondi confinanti. Una società immobiliare, dopo aver demolito un vecchio ristorante, avviava la costruzione di un nuovo e imponente complesso immobiliare, alto circa 14 metri. I proprietari del terreno vicino si opponevano, sostenendo che tale costruzione violasse un accordo stipulato nel lontano 1972 tra i precedenti proprietari. Tale accordo, a loro dire, istituiva una servitù che impediva di edificare oltre una certa altezza (3,50 metri), oltre a violare le distanze legali.

La decisione della Corte d’Appello e l’interpretazione del patto

In secondo grado, la Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la decisione del Tribunale. I giudici avevano ritenuto che l’accordo del 1972 non costituisse una vera e propria servitù altius non tollendi, ma piuttosto una servitù che consentiva di costruire a distanza inferiore a quella legale, con alcuni limiti di altezza. Di conseguenza, la nuova costruzione, essendo un’opera completamente nuova e non una ristrutturazione, doveva rispettare le normative urbanistiche vigenti in materia di distanze, ma il vincolo sull’altezza previsto dal vecchio patto veniva di fatto svuotato della sua natura perpetua.

La servitù altius non tollendi secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha ribaltato questa interpretazione accogliendo il ricorso dei vicini. Il punto cruciale della decisione risiede nella corretta qualificazione giuridica dell’accordo del 1972. La Cassazione ha chiarito che un patto che limita l’altezza di una futura costruzione per garantire un vantaggio (come maggiore luminosità, aria o panorama) al fondo vicino, crea un’utilità oggettiva (utilitas) per quel fondo. Questa utilità è il presupposto fondamentale per la costituzione di una servitù, che è un diritto reale legato ai fondi e non un’obbligazione personale tra i contraenti originari. Pertanto, il vincolo di non edificare oltre i 3,50 metri non era una semplice clausola accessoria, ma l’essenza stessa della servitù concordata.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando come l’interpretazione della Corte d’Appello fosse errata e troppo sintetica. I giudici di merito non avevano adeguatamente spiegato perché un accordo che prevedeva limiti di altezza e distanze dovesse essere scisso in due parti, considerando solo una parte come servitù e l’altra come obbligazione personale. La volontà delle parti, come espressa nell’atto pubblico, era quella di creare un assetto stabile e duraturo dei rapporti tra i fondi, con reciproci vantaggi e sacrifici. Negare la natura reale del vincolo sull’altezza significava tradire questa volontà e privare di significato la reciprocità dell’accordo. La limitazione dell’altezza era intrinsecamente legata alla servitù e non poteva essere considerata separatamente.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d’appello, rinviando la causa a un’altra sezione della stessa Corte per un nuovo esame. Il nuovo giudice dovrà partire dal principio secondo cui l’accordo del 1972 ha costituito una vera e propria servitù altius non tollendi, con carattere reale e opponibile ai successivi acquirenti. Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: i patti che istituiscono servitù, se redatti correttamente, hanno una forza vincolante che travalica le persone dei firmatari originari, incidendo direttamente sulla proprietà e sul suo valore nel tempo.

Un vecchio accordo tra vicini per non costruire in altezza è valido anche per i nuovi proprietari?
Sì, secondo la sentenza, se l’accordo è stato correttamente costituito come una servitù (un diritto reale), esso grava sull’immobile e vincola tutti i futuri proprietari, non essendo un semplice patto personale tra i firmatari originali.

Cos’è esattamente una servitù altius non tollendi?
È un diritto reale che limita il proprietario di un terreno (fondo servente) nel suo diritto di costruire, specificamente imponendogli di non superare una certa altezza. Questo viene fatto per garantire un’utilità, come luce, aria o panorama, al terreno vicino (fondo dominante).

Cosa significa che la Cassazione ha ‘cassato con rinvio’ la sentenza?
Significa che la Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte d’Appello perché basata su un’errata interpretazione della legge. Il processo non è finito, ma torna alla Corte d’Appello, che dovrà decidere di nuovo la questione attenendosi ai principi giuridici indicati dalla Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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