Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12906 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 12906 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
S E N T E N Z A
sul ricorso 10661-2017 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, e COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che li rappresenta e difende con procure speciali allegate al ricorso, unitamente agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, questi ultimi del foro di Milano;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE, l’avvocato NOME COGNOME del foro di Bergamo, che li rappresenta e difende con procura speciale in calce al controricorso;
-controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 985/2016 della Corte di appello di
Brescia, pubblicata il 18 ottobre 2016;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2023 dal AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale, con ciò confermando le conclusioni di cui alla memoria depositata il 29 agosto 2023; udito l’AVV_NOTAIO, per parte ricorrente.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 14 maggio 2004 NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME -unitamente a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in seguito rinuncianti – nella qualità di proprietari di immobile con sovrastante edificio sito in Cenate Sopra originariamente contraddistinto dai mapp. 22/b, 22/c e 2456, evocavano – dinanzi al Tribunale di Bergamo -Sezione distaccata di Grumello del Monte – RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali proprietari dell’immobile confinante, mapp. 24/a e 24/b, chiedendo accertarsi che i confinanti avevano realizzato un complesso immobiliare avente altezza di m. 14 in violazione della servitù altius non tollendi , non aedificandi e di veduta panoramica costituita nel 1972 ed altresì in violazione della distanza minima legale dal proprio fabbricato e
per l’effetto condannare gli stessi alla demolizione della parte illegittimamente realizzata, oltre al risarcimento dei danni, per avere i convenuti provveduto alla integrale demolizione dell’edificio esistente sul fondo mapp. 24/a e 24/b e, in violazione della servitù a suo tempo costituita, avevano realizzato un nuovo vasto complesso edificiale di altezza pari a m. 14, costruzione realizzata anche in violazione delle distanze imposte dal combinato disposto degli artt. 873 c.c. e 14 del NTA del piano regolatore comunale.
Instaurato il contraddittorio, i convenuti resistevano assumendo che la pattuizione del 1972 riguardava esclusivamente il nuovo edificio realizzando da adibire a salaristorante e non l’intero fondo, inoltre eccepivano la nullità della pattuizione in quanto diretta ad eludere il regime delle distanze legali inderogabili.
Con separato atto di citazione notificato in data 13 dicembre 2004 RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME evocavano dinanzi al medesimo giudice gli originari attori chiedendo che, previo rigetto di tutte le domande avanzate con il giudizio già radicato, gli stessi fossero condannati al risarcimento dei danni provocati con la proposizione del giudizio e con la conseguente trascrizione dell’atto di citazione, e il giudice adito, con provvedimento del 16.12.2005, riuniva i due procedimenti ed istruite le cause, con sentenza n. 70 del 2012, in accoglimento della originaria domanda attorea, condannava RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME a demolire la porzione di edificio eretto sul suolo di proprietà che occupava l’ingombro del precedente fabbricato (sala -ristorante), nella parte eccedente l’altezza misurata in gronda di m. 3,50 per un volume di mc 394,18, dichiarate inammissibili le domande di chiusura delle vedute presenti nel lato prospiciente la proprietà attorea, nonché quella risarcitoria proposta nel separato
procedimento poi riunito, con spese a carico della parte soccombente.
In virtù di gravame interposto dalla RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME, anche nella qualità di erede di NOME COGNOME, la Corte di appello di Brescia, nella resistenza degli appellati COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, che proponevano anche appello incidentale, con sentenza n. 985 del 2016, in parziale accoglimento dell’appello principale e in parziale accoglimento di quello incidentale, in parziale riforma della decisione del giudice di prime cure, accertata la violazione delle distanze legali da parte degli appellanti, li condannava ad arretrare il nuovo edificio eretto sul sedime di loro proprietà sino alla distanza di ml. 13,35 dall’edificio insistente sul sedime degli appellati; revocava la condanna degli appellanti a demolire la porzione di edificio eretto sul suolo di proprietà che occupava l’ingombro del precedente fabbricato nella parte eccedente l’altezza misurata in gronda di m. 3,50, pari al volume di mc. 394,18, rigettata la domanda risarcitoria e dichiarata inammissibile la domanda diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità per violazione delle norme in materia di altezze massime e di massima volumetrica edificabile, confermata la inammissibilità della domanda diretta alla chiusura delle aperture presenti nel fabbricato degli appellanti.
A sostegno della decisione adottata la Corte territoriale evidenziava che la pattuizione del 1972 non aveva determinato la costituzione di una servitù altius non tollendi a carico del fondo 24/a e 24/b riferibile alla superficie occupata dall’erigendo fabbricato da destinare a sala-ristorante, ma piuttosto aveva gravato il fondo mapp. 22/b e 22/c della servitù di sopportare la presenza di un erigendo manufatto a distanza inferiore a quella legale, nel senso del non superamento del limite di altezza e del divieto di aperture sul lato frontistante.
Al riguardo era venuto meno l’oggetto dell’appello incidentale quanto alla denunciata nullità della pattuizione per contrarietà a norma imperativa, per essere stato il fabbricato a distanza inferiore interamente demolito.
Di converso quanto alla costruzione realizzata dagli appellanti, questa doveva considerarsi nuova e pertanto trovava applicazione l’art. 14 della NTA, per cui la distanza tra tali due edifici non poteva essere inferiore all’altezza dell’edificio più alto.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia hanno proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, sulla base di tre motivi, cui hanno resistito con controricorso i COGNOME, la COGNOME, il COGNOME e la COGNOME, contenente anche ricorso incidentale affidato a due motivi.
Per la decisione sul ricorso proposto è stata, pertanto, fissata la trattazione in udienza pubblica per il giorno 10.10.2023, in vista della quale il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, ha depositato le conclusioni nel senso del rigetto di ricorso principale e di quello incidentale; la parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione d’improcedibilità del ricorso per cassazione, sollevata dai controricorrenti sul rilievo che lo stesso ricorso, notificato in data 14.04.2017, era stato iscritto a ruolo in data 09.05.2017, e, cioè, ben oltre il termine di 20 giorni previsto dall’art. 369, comma primo, c.p.c.
Dall’esame degli atti, risulta che il ricorso è stato consegnato per la notificazione ai controricorrenti il 14 aprile 2017 ed è stato dagli stessi ricevuto il successivo 19.04.2017, a cui ha fatto seguito l’iscrizione del ricorso il 9 maggio 2017 e, quindi, entro
venti giorni dal 19 aprile 2017, data di consegna del plico dell’ultima notificazione del ricorso alle parti contro le quali era stato proposto.
Coerentemente, al principio, secondo cui “Il principio sancito dalla sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c. e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3 nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario) trova applicazione limitatamente al tema della tempestività della notifica dell’atto, ma non anche con riguardo alla questione relativa alla tempestività del deposito del ricorso ex art. 369 c.p.c. Sicché, in ipotesi di notificazione a mezzo del servizio postale del ricorso per cassazione, il termine di venti giorni dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto, previsto dall’art. 369 c.p.c. a pena di improcedibilità, decorre dalla data di consegna del plico al destinatario. In definitiva, per il ricorrente, ai fini del deposito del ricorso, per il calcolo dei venti giorni dall’ultima notifica, vale la data di ricezione dell’ultima notifica alla parte contro cui il ricorso è diretto.
I controricorrenti, nell’eccepire la tardività, confondono la fase della notifica del ricorso, con il deposito a mezzo servizio postale, nel quale rileva la data di consegna.
Va, inoltre, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti per difetto di specificità ed autosufficienza e, in particolare, per non avere i ricorrenti fornito elementi per consentire alla Corte di verificare, alla luce del ricorso, i documenti di cui essi assumevano la tempestiva produzione in giudizio, precisando in quale fascicolo si sarebbero trovati o trascrivendone il contenuto.
Dalla giurisprudenza della Corte EDU si trae, invero, il monito ad ancorare le sanzioni processuali a canoni di proporzionalità (NOME vs. Francia; COGNOME vs. Francia), chiarezza e prevedibilità (COGNOME vs.Rep. Ceca) e, dunque a far prevalere le interpretazioni dirette a consentire al processo di giungere al suo sbocco naturale (COGNOME vs. Estonia; COGNOME vs. Grecia; COGNOME vs. Grecia), senza enfatizzare un fin de non recevoir non riscontrabile nei dati convenzionali di riferimento dell’art. 6 CEDU (conf. Cass. n. 7645 del 2014).
Alla luce di detti principi e anche di quelli contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, le Sezioni Unite di questa Corte, con ordinanza n. 8950 del 2022 hanno statuito che <>(v., in senso conforme, Cass. n. 12259 del 2022).
Nel caso in esame, i ricorrenti, nell’enucleare i motivi di ricorso, hanno fatto specifico riferimento agli atti normativi e regolamentari richiamati e al loro contenuto, individuandoli in modo sufficientemente chiaro, riportandone in parte il contenuto e segnalandone la presenza agli atti del giudizio di appello (v. pag. 24 del ricorso).
Passando ad esaminare il merito, col primo motivo i ricorrenti principali lamentano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 3 comma 1 lettere d), e), f) del dPR n. 380 del 2001;
articoli 28, comma 1 e 31 comma 1 lettera d), e) della legge n. 457 del 1978; art. 17 della legge regionale Lombardia n. 51 del 1975; articoli 14 e 23 NTA-PRG; omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’articolo 360, comma 1, numeri 3 -5 cpc. In sintesi, sostiene che il giudice a quo sia incorso in errore nel qualificare l’intervento posto in essere dai ricorrenti come nuova costruzione e non come ristrutturazione urbanistica, come invece indicato dal CTU, il cui elaborato sarebbe stato illegittimamente disconosciuto, di modo che non avrebbe fatto corretta applicazione del comb. disp. artt. 14 e 23 NTA dell’ente comunale di riferimento territoriale, che, al grado nono, prevede che la distanza in caso di interventi di ristrutturazione urbanistica in zona A sia pari a metri 10 e ciò in perfetta coerenza con la deroga prevista in seno all’articolo 14 atta a statuire che debbano essere applicate le specifiche disposizioni sulle distanze previste dai piani esecutivi in luogo della regola generale.
Il secondo motivo del ricorso principale, formulato in subordine al primo mezzo, deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 9, comma 1 del d.m. n. 1444 del 1968, error in procedendo per omessa applicazione della regola di cui all’art. 5 all. E legge n. 2248 del 1865, oltre ad omesso esame di fatto decisivo. Ad avviso dei ricorrenti principali il giudice di merito avrebbe errato nel non disapplicare l’art. 14 delle NTA in quanto in contrasto con le previsioni del d.m. 1444/1968, affermazione palesemente erronea alla luce del consolidato orientamento della Corte di Cassazione che ha chiarito che in tema di distanze legali, le limitazioni previste dall’art. 41 quinquies della legge urbanistica n. 1150 del 1942, introdotto dall’art. 17 della L. n. 765 del 1967, si estendono anche ai comuni dotati di regolamento edilizio, se esso è privo di norme disciplinanti i distacchi tra costruzioni.
Il terzo motivo del ricorso principale insiste nella doglianza di violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 9, comma 1 D.M. n. 1444/1968 in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c., per essere stata applicato l’art. 14 NTA.
Segue l’analisi dei motivi del ricorso incidentale: con il primo motivo i ricorrenti incidentali denunciano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1027, 1028, 1029, 1030 e 1362, 1362, 1364, 1366 e 1369 c.c., oltre ad omesso o contraddittoria motivazione su un punto controverso decisivo della lite (cfr pag. 14), ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c. Ad avviso dei ricorrenti incidentali, la Corte distrettuale avrebbe erroneamente escluso che con gli atti del 1972 (denominato ‘Regolamento di diritti immobiliari’) e del 1978 gli originari dante causa dei ricorrenti e dei controricorrenti avessero voluto costituire una servitù di altius non tollendi, non aedificandi e di veduta panoramica nel prevedere il vincolo di non edificare ad un’altezza superiore a 3,50 mt, che di converso costituisce un vincolo con carattere reale e non una mera modalità di esecuzione della servitù di edificare a distanza inferiore a quella legale essendo stato previsto un vantaggio a favore del fondo dominante e non in favore del proprietario del medesimo terreno; al pari del diritto di edificare sui mappali 24/a e 24/b a distanza di soli 6 mt dal fabbricato di COGNOME NOME, prevedendosi peraltro che l’edificio da realizzare sui predetti mappali non potesse essere sopralzato anche qualora il regolamento edilizio avesse ‘a consentire oggi o in futuro il sopralzo stesso’, vincolo che quindi è stato concordato con durata permanente.
Con il secondo mezzo i ricorrenti incidentali denunciano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112 e 183 c.p.c., 9, comma 1 D.M. n. 1444/1968, oltre ad omessa decisione su un punto controverso e decisivo della controversia, per non avere la Corte distrettuale ritenuto che nella zona A, come quella in cui
ricadono le costruzioni in contestazione, fosse impedita la realizzazione di costruzioni nuove, mentre sono consentiti solo interventi di risanamento conservativo e di ristrutturazioni e le distanze non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti.
E’ pregiudiziale l’esame del primo motivo del ricorso incidentale, che prende le mosse dalla asserzione, di cui alla sentenza impugnata, secondo la quale l’interpretazione più corretta dell’atto notarile del 10.08.1972, e, segnatamente, nella parte in cui ha ritenuto che la convenzione non avesse costituito una servitù altius non tollendi riferibile alla superficie occupata dell’erigendo fabbricato da destinare a sala -ristorante, che conduceva ad un inquadramento della clausola ivi contenuta nell’ambito dell’art. 1029 c.c. solo quanto al fondo mapp. 22/b e 22/c, già di COGNOME NOME, in ordine al quale sorgeva la servitù di sopportare la presenza di un erigendo manufatto a distanza inferiore a quella legale. I ricorrenti sostengono, invece, che la servitù avrebbe riguardato anche il fondo della controparte, per cui la previsione della limitazione dell’altezza costituirebbe una modalità di esercizio della servitù di aggravio del sedime COGNOME –COGNOME, creando una utilitas per l’altro fondo. Si assume che dalla motivazione adottata dalla Corte territoriale non è dato comprendere quale sia stato il percorso logico seguito dalla Corte stessa e, in particolare, in forza di quali elementi si sia ricondotta la fattispecie de qua nell’ambito di applicazione dell’art. 1058 c.c. solo per il terreno del COGNOME e non anche per quello frontistante.
Va evidenziato innanzi tutto che va condiviso il presupposto da cui parte sia la sentenza impugnata sia il motivo di ricorso in esame, e cioè quello secondo cui l’atto pubblico in argomento pone il problema del suo inquadramento. Ciò posto, la Corte territoriale ha ritenuto che il tenore letterale dell’atto notarile fosse costitutiva di una servitù di sopportare la presenza di un
erigendo manufatto a distanza inferiore a quella legale nei termini di cui all’art. 1029, comma 1 c.c., non anche della servitus altius non tollendi ; a tanto la stessa Corte è pervenuta sulla base di ragioni ricavate dalla dizione adoperata dalle parti nell’atto.
Correlando le considerazioni inerenti all’ampiezza del vincolo edilizio, che comprendeva la estensione e la collocazione del fabbricato erigendo, e anche la sua altezza e all’assenza di realizzare alcuna apertura lungo tutto il lato nord, facendo riferimento alla dizione della stessa pattuzione, la Corte territoriale ha desunto la costituzione di servitù volontaria solo a carico del fondo del COGNOME, che però non può ritenersi che costituisca un giudizio compiuto e logico al riguardo.
Invero, le limitazioni edilizie attinenti alla collocazione ed all’estensione di una costruzione futura si risolvono in modo inequivoco in una disposizione pattizia concernente le distanze. La Corte di appello ha constatato che il vantaggio ed il corrispondente onere erano indipendenti dalla prevista costruzione degli edifici, in guisa da inerire direttamente ai suoli non ancora edificati con carattere di realità – come si verifica normalmente nella pattuizione che, vietando di costruire ad una certa distanza dal confine, limita, da un lato, l’edificabilità del suolo servente, restringendo i poteri di godimento e di utilizzazione inerenti al relativo diritto di proprietà, e attribuiscono, dall’altro, i corrispondenti vantaggi al contiguo fondo dominante, ancor prima e indipendentemente dalla sua avvenuta edificazione -per cui si verte nell’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 1029 c.c., di servitù immediatamente costituita con caratteri ed effetti reali, la quale è, come tale, opponibile anche agli acquirenti del suolo passivamente gravato. Dall’altro, però, ha ricostruito l’iter logico della volontà manifestata dalle parti nel medesimo atto pubblico ritenendo che il vincolo altius
non tollendi , seppure correlato con le limitazioni inerenti alle distanze, non è di per sé tale da integrare una ipotesi di utilitas , e, conseguentemente, impone l’applicazione nella fattispecie della disciplina delle obbligazioni personali.
La motivazione adottata, pur nella sua indubbia sinteticità sul punto (v. pag. 14 della sentenza impugnata, secondo capoverso), non dà ragione delle circostanze che condurrebbero a questa differente interpretazione della manifestazione di volontà delle parti, pure a fronte di una previsione concordata e della disciplina dell’estensione delle servitù convenzionali e delle loro modalità di esercizio che devono, di regola, essere descritte dal titolo, da interpretarsi con i criteri dettati dagli artt. 1362 e seguenti c.c., in quanto compatibili con la materia in esame. Orbene, di fronte alla specifica previsione nella negoziazione di reciproche servitù, compresa di quella di altius non tollendi. non può essere superata detta pattuizione solo allegando un’interpretazione controletterale ed asistematica della volontà negoziale, negando la reciprocità, che non risulta confortata da alcun altro dato o elemento di riscontro.
Peraltro la Corte di appello di Brescia ha negato l’applicabilità al caso di specie del precedente invocato dagli appellati/appellanti incidentali (Cass. n. 2396 del 2002), sull’assunto che in siffatta vicenda c’erano già le costruzioni, diversamente da quella odierna, ma senza tenere conto dell’art. 1029 c.c. e della circostanza che in entrambe le ipotesi si era al cospetto di un accordo negoziale.
Da quanto sopra discende l’accoglimento del primo mezzo del ricorso incidentale, con conseguente assorbimento della restante censura e del ricorso principale, afferenti alla natura della costruzione e alla relativa normativa da applicarsi, prospettate dai ricorrenti principali, dovendo considerarsi esaustive, anche al riguardo, le considerazioni svolte.
In conclusione, il primo motivo del ricorso incidentale va accolto, assorbito il secondo ed il ricorso principale, e cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, che riesaminerà l’atto pubblico e la vicenda alla luce delle considerazioni sopra svolte.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo e il ricorso principale;
cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda