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Sequestro conservativo: quando il periculum non basta

La Corte d’Appello di Roma ha rigettato una richiesta di sequestro conservativo su una cospicua somma derivante da una vendita all’asta. Gli eredi di un venditore, pur avendo ottenuto una sentenza (non definitiva) di risoluzione del contratto di vendita, non hanno potuto ottenere la misura cautelare perché non hanno dimostrato il ‘periculum in mora’, ovvero il concreto rischio che la controparte disperdesse il proprio patrimonio in attesa della decisione finale.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Sequestro Conservativo: Il Pericolo nel Ritardo Va Dimostrato, Non Presunto

Ottenere una misura cautelare come il sequestro conservativo è un passo cruciale per tutelare un proprio credito durante le lungaggini di un processo. Tuttavia, la sola esistenza di un diritto probabile non è sufficiente. Una recente ordinanza della Corte d’Appello di Roma ci ricorda che il ‘periculum in mora’, ovvero il concreto pericolo di perdere la garanzia del credito, deve essere provato con elementi specifici e non può essere semplicemente presunto. Analizziamo insieme questa interessante decisione.

I Fatti del Caso: Una Complessa Vicenda Immobiliare

La vicenda nasce da un contratto di compravendita immobiliare. Gli eredi del venditore ottengono in primo grado una sentenza che dichiara la risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’acquirente. Quest’ultima, però, propone appello.

Nel frattempo, si verifica un evento che complica la situazione: l’immobile in questione, a causa di debiti pregressi del venditore originario (il dante causa degli eredi), viene sottoposto a esecuzione forzata e venduto all’asta. Dal ricavato della vendita, una volta pagati i creditori, residua una somma molto ingente, circa 640.000 euro, che, secondo le regole della procedura esecutiva, spetterebbe all’acquirente, in quanto formale proprietaria dell’immobile pignorato.

La Richiesta di Sequestro Conservativo e le Sue Ragioni

Temendo che l’acquirente, una volta incassata tale somma, potesse disperderla, rendendo vana una futura vittoria nel giudizio d’appello, gli eredi chiedono alla Corte d’Appello di disporre il sequestro conservativo proprio su quella cifra, in attesa del passaggio in giudicato della sentenza.

La loro tesi si fondava su due pilastri:
1. Fumus boni iuris: la verosimiglianza del loro diritto, supportata dalla sentenza di primo grado che gli aveva dato ragione.
2. Periculum in mora: il pericolo concreto che l’incasso di una somma così elevata da parte della controparte potesse vanificare ogni loro garanzia futura, dato il rischio che venisse immediatamente spesa o occultata.

La Decisione della Corte: Il Sequestro Conservativo Negato

Nonostante la plausibilità del diritto vantato dagli eredi (il fumus), la Corte d’Appello ha rigettato la richiesta. La decisione si è interamente concentrata sulla mancanza di prova del secondo requisito fondamentale: il periculum in mora.

Le Motivazioni: L’Assenza del ‘Periculum in Mora’

La Corte ha spiegato che, per concedere un sequestro conservativo, non basta un generico timore del creditore. È necessario dimostrare, con elementi concreti, il rischio che il debitore stia per depauperare il proprio patrimonio. Questo rischio deve essere analizzato sotto un duplice profilo, entrambi assenti nel caso di specie.

1. Profilo Oggettivo:
Non è stata fornita alcuna prova di una situazione patrimoniale precaria dell’acquirente o di una sproporzione tra il suo patrimonio e l’entità del credito. Anzi, la Corte ha sottolineato un fatto cruciale: l’esecuzione immobiliare che ha portato alla vendita all’asta non era stata avviata per debiti dell’acquirente, ma per debiti del venditore originario. Pertanto, non vi erano elementi oggettivi per desumere un’incapacità patrimoniale della resistente.

2. Profilo Soggettivo:
Gli eredi non hanno allegato alcun comportamento specifico dell’acquirente che potesse far presumere la sua volontà di sottrarsi a un futuro adempimento. Non sono stati dimostrati atti di disposizione patrimoniale, tentativi di occultamento di beni o altre condotte ‘sintomatiche’ di un intento fraudolento. La Corte ha inoltre osservato che, al momento della decisione, l’acquirente non era neppure ancora entrata in possesso della somma, rendendo il pericolo ancora più ipotetico.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: per ottenere un sequestro conservativo, non è sufficiente dimostrare di avere probabilmente ragione nel merito della causa. È indispensabile fornire al giudice prove concrete e specifiche del pericolo che il debitore si stia attivamente adoperando per rendere inefficace una futura sentenza di condanna. Il timore di un inadempimento, per quanto legittimo, deve essere supportato da fatti oggettivi e comportamenti soggettivi del debitore che indichino un reale e imminente rischio di dispersione del patrimonio. In assenza di tale prova rigorosa, la misura cautelare non può essere concessa.

Perché è stato negato il sequestro conservativo in questo caso?
La richiesta è stata respinta perché i richiedenti non hanno fornito prove concrete del ‘periculum in mora’, ovvero del rischio effettivo e attuale che la controparte disperdesse il proprio patrimonio. Mancavano sia elementi oggettivi (come una precaria situazione finanziaria della debitrice) sia elementi soggettivi (come specifici comportamenti volti a nascondere i beni).

Avere una sentenza favorevole in primo grado è sufficiente per ottenere un sequestro conservativo?
No. Una sentenza favorevole, anche se non definitiva, può costituire una solida base per dimostrare il ‘fumus boni iuris’ (la verosimiglianza del diritto), ma non è di per sé sufficiente. È sempre necessario dimostrare separatamente e con prove concrete l’esistenza del ‘periculum in mora’.

Cosa si intende per prova del ‘periculum in mora’?
Significa dimostrare con fatti specifici il pericolo che il debitore si spogli dei propri beni. A livello oggettivo, si possono indicare la consistenza del patrimonio del debitore in rapporto al debito o la presenza di altri debiti. A livello soggettivo, si devono provare comportamenti del debitore che lascino presumere l’intenzione di sottrarsi all’adempimento, come vendite simulate, donazioni sospette o trasferimenti di beni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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