Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5131 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5131 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 7203-2019 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO , che la INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO , nello studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5466/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 06/12/2018;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato NOME COGNOME evocava in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME innanzi il Tribunale di Milano, invocandone la condanna al risarcimento del danno per effetto della falsa testimonianza resa dal COGNOME e dal COGNOME NOME, padre deceduto di NOME, nella causa possessoria originariamente instaurata dall’attore nei confronti del COGNOME per la restituzione di un fondo in agro del Comune di Mombello Monferrato, già parzialmente condotto in affitto dal detentore, e per altra parte invece da lui occupato senza titolo, del quale il COGNOME aveva potuto materialmente riottenere la disponibilità soltanto all’esito del giudizio petitorio, con un ritardo quindi di circa 10 anni, nonché dall’impossibilità di dare esecuzione ad un contratto preliminare di alienazione del detto bene.
Nella resistenza dei convenuti il Tribunale, con sentenza n. 5434/2017, condannava il solo COGNOME al risarcimento del danno, quantificato in € 791.238,80, rigettando invece la domanda nei confronti del COGNOME.
Con la sentenza impugnata, n. 5466/2018, la Corte di Appello di Milano rigettava il gravame interposto avverso la decisione di prime cure dal COGNOME, accogliendo invece parzialmente quello proposto dal NOME e dichiarando cessata la materia del contendere tra lo stesso ed il COGNOME limitatamente al risarcimento del danno patrimoniale per l’importo eccedente la somma di € 100.000, avendo la difesa del COGNOME dichiarato di rinunciare a qualsiasi maggiore pretesa economica.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione NOME, affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
COGNOME NOME, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2055, 2909 c.c., 651 c.p.p., nonché l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la responsabilità del COGNOME nella causazione del danno lamentato dal COGNOME, omettendo di valorizzare:
da un lato, il fatto che il pregiudizio, consistente nel ritardo con cui il ricorrente è riuscito a recuperare la disponibilità materiale del suo immobile, è stato di fatto causato dal concorso di due fattori, costituiti, rispettivamente, dall’atteggiamento ostativo del NOME, detentore, che ne ha omesso la restituzione, e dalla falsa testimonianza resa dal NOME e dal COGNOME NOME (della cui responsabilità il NOME risponde quale erede) nel giudizio possessorio, che ha concorso a consentire al NOME di mantenere l’illecita disponibilità del cespite oggetto di causa; di conseguenza, la Corte di Appello avrebbe dovuto ravvisare il concorso di responsabilità ex art. 2055 c.c.;
dall’altro lato, la circostanza che la decisività della falsità delle deposizioni rese dal NOME e dal padre del NOME la loro efficienza al fine di agevolare il mantenimento della detenzione dell’immobile da parte del NOME era stata accertata dalle sentenze che avevano
deciso il giudizio possessorio nel cui ambito le predette deposizioni erano state rese, nonché dalla sentenza penale con la quale la Corte di Appello di Torino aveva definitivamente accertato la responsabilità del COGNOME in relazione alla falsa testimonianza dallo stesso resa in sede civile.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta invece la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., l’omesso esame di fatto decisivo e la nullità della sentenza per omessa pronuncia su un motivo di gravame, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la sussistenza del danno morale, pur in assenza di specifica contestazione da parte del COGNOME.
Con il terzo motivo, il ricorrente denunzia infine la violazione o falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 2059 c.c., 651 c.p.p. e 12 delle preleggi, nonché l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la rilevanza, in sede civile, delle statuizioni rese dal giudice penale, senza considerare che esse non sono vincolanti soltanto quando il giudice penale si sia pronunciato sull’astratta idoneità del fatto illecito a produrre un danno, mentre sono, al contrario, vincolanti quando il giudice penale abbia accertato, in concreto, l’esistenza e l’entità del pregiudizio. Nel caso di specie, in sede penale non era stata soltanto accertata l’astratta potenzialità dannosa delle false deposizioni rese dal COGNOME e dal COGNOME NOME, ma era stata affermata anche l’esistenza di un pregiudizio risarcibile, la cui mera quantificazione era stata affidata al giudice civile.
La seconda e la terza censura, il cui esame deve precedere, per motivi di priorità logica, quello del primo motivo, sono fondate.
La Corte di Appello ha richiamato la motivazione resa dal Tribunale, che aveva ritenuto non conseguita la prova di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito civile contestato, con particolare riferimento alla ‘… prova del nesso causale tra la condotta, rappresentata dall’aver reso false dichiarazioni nell’ambito del giudizio possessorio e il danno da mancata vendita del fondo da parte dell’attore’ (cfr . pag. 27 della sentenza impugnata). La Corte di Appello, proseguendo nel richiamo della motivazione del giudice di prime cure, ha ribadito che ‘La testimonianza del COGNOME non risultò … decisiva per la formazione del convincimento della Corte e non fu determinante ai fini del rigetto del ricorso possessorio … Non è dunque possibile far derivare dalla falsa testimonianza del COGNOME la mancata esecuzione del preliminare di vendita del terreno e il conseguente danno economico subito dal COGNOME. Quanto al danno non patrimoniale da reato, deve essere escluso il risarcimento non solo alla luce del già richiamato principio per cui il danno non può ritenersi in re ipsa, attesa la mancata allegazione e prova del relativo pregiudizio … ma soprattutto perché il reato commesso dal COGNOME non ha avuto alcuna efficienza causale nel protrarsi dell’abusiva occupazione del terreno di COGNOME da parte di NOME e, così, sul perfezionamento del fatto illecito allegato dall’attore’ (cfr. pagg. 27 e 28 della sentenza impugnata).
La Corte distrettuale ha poi affermato che ‘Quanto al prospettato danno patrimoniale, consistito nella circostanza secondo la quale, a seguito delle false dichiarazioni rese da NOME COGNOME, NOME COGNOME non avrebbe potuto riottenere tempestivamente fin dal 1999 la liberazione del proprio fondo occupato illegittimamente da NOME COGNOME con conseguenti danni patrimoniali, pare sufficiente considerare come l’appellante sul punto nulla abbia provato. Si deve infatti sottolineare, come in precedenza ampiamente esaminato, che la perdita di efficacia
del preliminare del 2003 è dipesa dalla mancata liberazione del fondo, anche nella parte condotta da NOME, entro e non oltre al termine dell’11 novembre 2007, perché risulti evidente come la condotta di falsa testimonianza accertata in via definitiva in sede penale, posta in essere da parte dell’appellato COGNOME, con riguardo all’occupazione abusiva di parte dei terreni ad opera di NOME, non abbia avuto sul punto alcun apporto causale diretto. In modo significativo al riguardo occorre evidenziare come neppure la difesa di NOME COGNOME abbia saputo precisare in cosa sarebbe consistito il pregiudizio economico derivato da tali dichiarazioni essendosi solo limitata ad affermare che se questi avesse detto il vero la parte di fondo occupata abusivamente da NOME sarebbe stata rilasciata ben prima del 2004, come poi avvenuto a seguito della sentenza della Corte di appello di Torino, senza però considerare come, a quella data, NOME ancora detenesse, indipendentemente dalle dichiarazioni di COGNOME, anche la parte del fondo condotta in affitto il tardivo rilascio del quale ha poi determinato definitivamente l’inefficacia del preliminare. Sempre con riferimento al danno patrimoniale asseritamente derivato dalle false testimonianze del COGNOME rese sia in sede possessoria che nel procedimento innanzi alla sezione specializzata agraria, si deve evidenziare, diversamente da come genericamente argomentato dall’appellante, come la deposizione di COGNOME non sia stata considerata quale unica prova da sola determinante le valutazioni dei singoli organi giurisdizionali, i quali, al contrario, l’hanno utilizzata, ritenendola inizialmente attendibile, assieme ad altre risultanze di rilievo indiziario, costituite sia dalla deposizione di altri numerosi soggetti escussi, sia dallo stesso comportamento assunto nel 1998 da NOME COGNOME (vedasi sul punto la stessa motivazione della Corte d’Appello sezione penale che
ha rimesso in sede civile ogni determinazione sul danno richiesto da NOME COGNOME (cfr. pagg. 29 e 30 della sentenza).
In sostanza, secondo il ragionamento della Corte di Appello, il COGNOME occupava il fondo di cui è causa in parte sulla base di un rapporto agrario del quale il COGNOME aveva chiesto la cessazione, ed in parte in forza di un comportamento di mero fatto. In relazione alla prima vicenda (il rapporto agrario) la deposizione del COGNOME non era stata l’unico elemento valutato dal giudice della sezione specializzata agraria, che l’aveva apprezzata unitamente alle altre evidenze istruttorie; di conseguenza, nessuna efficienza causale diretta si poteva individuare tra la deposizione falsa e la decisione in concreto assunta da quel giudice specializzato. In relazione invece alla seconda vicenda (l’occupazione abusiva), poiché nel 2004 il COGNOME occupava ancora la parte di fondo condotta in affitto, il preliminare di vendita dell’intero terreno non avrebbe potuto comunque essere concluso, indipendentemente dalla tardiva riconsegna della parte di esso occupata senza titolo dal COGNOME stesso, ancorché resa possibile dalla falsa deposizione del COGNOME.
Nel contestare tale ragionamento, il ricorrente richiama il contenuto della sentenza penale della Corte di Appello di Torino che aveva definitivamente accertato la responsabilità penale del COGNOME, il cui esame rivela l’erroneità dell’argomentazione contenuta nella decisione oggi impugnata. A differenza di quanto ritenuto nell’impugnata sentenza, infatti, quella decisione in sede penale contiene l’accertamento dell’esistenza di una certa ed univoca efficienza causale ricollegabile alla deposizione falsa resa dal COGNOME, sia in relazione alla controversia decisa dalla sezione specializzata agraria (e dunque alla tardiva riconsegna della parte di fondo occupata dal COGNOME sulla base di un titolo) sia in relazione alla controversia possessoria prima, e
petitoria poi, concernente la parte residua del fondo, occupata dal COGNOME senza titolo. La Corte torinese, infatti, afferma, sul punto, che ‘Non v’ha dubbio, nella vicenda di specie, che la deposizione del COGNOME abbia costituito uno degli elementi importanti per le pronunce nella causa possessoria e per il ritardo subito dalla causa agraria, giunta ad una prima decisione soltanto nelle more di questo giudizio di appello. Ed altrettanto certamente una deposizione falsa, considerata di rilievo dal giudicante e convergente con altri dati assunti a base della pronuncia di rigetto, è suscettibile di cagionare un pregiudizio di natura morale, per le afflizioni che cagiona, il timore di non poter dimostrare il proprio buon diritto e lo scoraggiamento che si prova per le difficoltà da affrontare. Sotto questi profili vanno confermati i capi delle sentenze impugnate che hanno dichiarato l’esistenza di un danno risarcibile e che hanno demandato al giudice civile la sua concreta liquidazione’ (cfr. pag. 14 della sentenza penale di appello in esame, riportata anche in ricorso a pag. 15). L’esame diretto della predetta decisione, consentito al Collegio in presenza della deduzione di un profilo di giudicato, posto che la Corte di Cassazione è, in relazione agli errores in procedendo , giudice del fatto processuale, rileva che nel caso di specie, contrariamente a quanto erroneamente affermato dalla sentenza della Corte di Appello di Milano oggi impugnata, la responsabilità del COGNOME per il danno, materiale e morale, patito dall’odierno ricorrente in conseguenza della falsa testimonianza resa dal primo in sede civile, era stata definitivamente accertata in sede penale. Il giudice civile, quindi, era stato investito dalla Corte di Appello di Torino esclusivamente del compito di individuare il quantum del danno risarcibile: poiché infatti il giudice penale ha dato atto che la deposizione falsa del COGNOME non era stato l’unico elemento valorizzato in sede civile per pervenire al rigetto delle domande proposte dal
COGNOME nei confronti del NOME (cfr. sempre pag. 14 della sentenza penale in precedenza richiamata) ‘Si pone pertanto il problema di stabilire per quanta parte la deposizione falsa dell’odierno imputato abbia contribuito a formare un convincimento reiettivo del ricorso possessorio ed abbia conseguentemente cagionato un effettivo danno risarcibile al ricorrente. E’ opportuno che la relativa indagine sia condotta dal giudice civile, cui spetta per definizione, in una valutazione che comprenda anche il risultato della causa agraria, conosciuto soltanto con l’odierna produzione e pure con riguardo al quale si pone la medesima esigenza di stabilire per quanta parte di danno debba rispondere il solo COGNOME (cfr. pag. 15 della sentenza penale). In sostanza, il giudice penale aveva demandato al giudice civile soltanto la determinazione di quanta parte del danno risarcibile, morale e materiale, complessivamente patito dal COGNOME, sia per la decisione di rigetto subita in sede possessoria, che per il ritardo nella decisione della controversia agraria, fosse dipesa direttamente dalla falsa deposizione resa dal COGNOME. L’accertamento dell’esistenza del danno risarcibile, invece, era stato già operato in sede penale, e non poteva quindi essere nuovamente posto in discussione in sede civile.
Sul punto, va data continuità al principio secondo cui ‘In caso di condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, se il giudice penale non si sia limitato a statuire solo sulla potenzialità dannosa del fatto addebitato al soggetto condannato e sul nesso eziologico in astratto, ma abbia accertato e statuito sull’esistenza in concreto di detto danno e del relativo nesso causale con il comportamento del soggetto danneggiato, valgono sul punt o i principi del giudicato’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16113 del 09/07/2009, Rv. 608754). Inoltre, va tenuto conto che ‘… qualora il giudice non si sia limitato a statuire esclusivamente sulla potenzialità dannosa del fatto
addebitato al soggetto condannato e sul nesso eziologico in astratto, ma abbia accertato e statuito sull’esistenza in concreto di detto danno, e questa statuizione sul punto non risulti impugnata … il giudicato si forma anche in merito all’accertata esistenza del danno’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26021 del 05/12/2011, Rv. 620638).
L’accoglimento del secondo e terzo motivo, sulla base del rilievo che la Corte distrettuale ha erroneamente escluso l’esistenza di un danno risarcibile, morale e materiale, che era stata già definitivamente accertata dal giudice penale, implica l’assorbimento della prima censura.
Il giudice del rinvio dovrà infatti operare un nuovo esame della fattispecie, partendo dal presupposto che la responsabilità del COGNOME, per il danno morale e materiale patito dal COGNOME per effetto della falsa testimonianza resa dal primo, è già stata accertata, con effetto di giudicato, in sede penale, e dovrà determinare quanta parte del complessivo danno patito dal COGNOME, sia sotto il profilo patrimoniale che sotto quello morale, sia ascrivibile al fatto dannoso commesso dal COGNOME, liquidando di conseguenza la somma da quest’ultimo dovuta a titolo di ristoro del suindicato pregiudizio.
In definitiva, vanno accolti il secondo e terzo motivo del ricorso, mentre va dichiarato assorbito il primo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Milano, in differente composizione.
PQM
la Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso e dichiara assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del presente
giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Milano, in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda