Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16034 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16034 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18296/2019 R.G. proposto da COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrenti –
contro
COMUNE DI COGNOME SUPERIORE, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE in persona del presi-
dente p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-controricorrente –
e
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME
-intimati – avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 745/18, depositata il 4 maggio 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME, NOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, già proprietari di due fondi siti in Albisola Superiore e riportati in Catasto al foglio 26, particelle 85, 86, 242 e 243, convennero in giudizio il Comune di Albisola Superiore, per sentirlo condannare al risarcimento del danno cagionato dalla perdita della proprietà degl’immobili, occupati in via d’urgenza per la realizzazione di alloggi di edilizia economico-popolare ed irreversibilmente trasformati, senza che fossero intervenuti i decreti di espropriazione.
Si costituì il Comune, ed eccepì il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, la prescrizione del credito e l’intervenuta proroga delle occupazioni d’urgenza.
Spiegarono intervento nel giudizio la RAGIONE_SOCIALE Savo-
nesi a r.l., costruttrice degli edifici realizzati sui fondi occupati, e gli assegnatari di alcuni alloggi.
1.1. Il Tribunale di Savona, dopo aver accertato, con sentenza non definitiva del 27 dicembre 2002, l’intervenuto acquisto della proprietà dei fondi da parte del Comune, per occupazione appropriativa, ed averlo condannato al risarcimento, con sentenza definitiva del 24 agosto 2007 liquidò i danni in Euro 62.261,01, oltre interessi sulle somme rivalutate via via annualmente con decorrenza dalla domanda.
Sull’appello proposto dal Comune, si costituirono in giudizio NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, in proprio e in qualità di eredi di NOME COGNOME, deceduto nel corso del giudizio di primo grado, NOME COGNOME in qualità di erede di NOME e NOME COGNOME, anch’egli deceduto, NOME COGNOME in qualità di erede di NOME COGNOME e NOME COGNOME NOME, NOME e NOME COGNOME ed NOME COGNOME, anch’essi eredi di NOME COGNOME, i quali resistettero all’impugnazione, proponendo a loro volta appello incidentale.
Si costituì inoltre la RAGIONE_SOCIALE che chiese il rigetto della domanda proposta dagli attori ed in subordine la rideterminazione dell’importo liquidato a titolo di risarcimento.
Nel corso del giudizio, essendo deceduto NOME COGNOME, si costituirono, in qualità di eredi, NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.1. Con sentenza non definitiva del 15 maggio 2013, la Corte d’appello di Genova dichiarò il Comune tenuto a corrispondere, a titolo di risarcimento dei danni, un importo corrispondente al valore venale dei fondi occupati, oltre ai relativi accessori, con decorrenza dalle date di scadenza delle occupazioni illegittime.
2.2. Con sentenza definitiva del 4 maggio 2018, la Corte d’appello ha poi rigettato l’appello principale ed accolto l’appello incidentale, rideterminando la somma dovuta in Euro 180.154,43, oltre interessi legali.
A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso di poter riesaminare le questioni riguardanti la giurisdizione, l’illegittimità dell’occupazione, la tempestività e la prescrizione dell’azione risarcitoria, nonché quella riguardante la liquidazione del danno per l’occupazione appropriativa, in re-
lazione alla sopravvenienza della sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 2007, in quanto risolte con la sentenza non definitiva, e l’eccezione di tardività dell’appello incidentale, in quanto implicitamente rigettata mediante la decisione in ordine al merito della liquidazione.
Ha rigettato inoltre l’eccezione di difetto di legittimazione sollevata nei confronti di NOME COGNOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME ed NOME COGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME rilevando che, a fronte dell’avvenuta produzione della denuncia di successione e del testamento del de cujus , il Comune non aveva specificato le relative ragioni.
Ha infine ritenuto che la richiesta, proposta dagli attori, di estromissione di NOME COGNOME in qualità di mero legatario di NOME COGNOME intervenuto in primo grado in qualità di assegnatario di uno degli alloggi, dovesse essere interpretata come rinuncia alle domande proposte nei confronti del predetto soggetto.
Nel merito, la Corte ha ritenuto condivisibili le conclusioni cui era pervenuto il c.t.u. nominato nel corso del giudizio, il quale, dopo aver determinato la superficie dei fondi occupati in 3.613 mq., ed aver accertato che alla data dell’occupazione erano inclusi in zona E23, destinata ad insediamenti residenziali ed avente un indice di edificabilità pari a 0,55 mc./mq., ne aveva stimato il valore unitario in Lire 17.717 al mq., applicando il metodo analitico-ricostruttivo, giacché il metodo sintetico-comparativo non era utilizzabile, essendo stati i beni trasferiti mediante convenzioni, i cui prezzi si discostavano da quelli di mercato. Ha poi disatteso le critiche mosse in ordine alla stima, osservando che a) il costo di costruzione indicato dal c.t.u. era giustificato dal numero di piani dei fabbricati, mentre la mancata valutazione del costo dei box e delle cantine trovava conforto nelle indicazioni del Bollettino d’informazione dell’Ordine degli Ingegneri, b) il tasso di rendimento del capitale investito, nel quale era incluso anche il profitto d’impresa, trovava giustificazione nella necessità di accertare il valore venale che i fondi avevano per i proprietari, c) la formula adottata per il calcolo era comunemente utilizzata nell’ambito del metodo analitico-ricostruttivo, d) il valore di mercato dell’edificato era stato correttamente determinato senza tenere conto dei valori indicati dalle parti, in quanto riferibili ad epoche diverse o a zone diverse, e) la man-
cata valutazione del danno derivante dalla demolizione di una porzione di fabbricato e dall’utilizzazione di un’area non espropriata era giustificata dall’allegazione di tali circostanze soltanto in appello e dal carattere abusivo del fabbricato.
La Corte ha infine ritenuto che sugl’importi liquidati spettassero la rivalutazione fino all’attualità e gl’interessi legali da calcolarsi sull’importo annualmente rivalutato, con decorrenza dalle date in cui le occupazioni erano divenute illegittime, come previsto dalla sentenza non definitiva, negando invece il riconoscimento dell’indennità per l’occupazione legittima, in quanto non richiesta nelle conclusioni rassegnate dagli appellanti incidentali.
Avverso la sentenza definitiva hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME ed NOME COGNOME, nelle rispettive qualità, nonché NOME COGNOME, anche in qualità di erede di NOME COGNOME, nel frattempo deceduto, e NOME COGNOME, anch’essa in qualità di erede di NOME COGNOME. Il Comune e la Cooperativa hanno resistito con controricorsi. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 112, 115, 177, 196, 279 e 340 cod. proc. civ. e degli artt. 37 e ss. del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, censurando la sentenza definitiva per aver ribaltato, in relazione alla determinazione del valore delle aree occupate, le conclusioni cui era pervenuta quella non definitiva. Premesso infatti che quest’ultima aveva disposto che il danno fosse liquidato in base al valore venale dei fondi, come stimato dal c.t.u. nominato in primo grado con metodo analitico-ricostruttivo, rileva che con successiva ordinanza la Corte territoriale ha nominato un nuovo c.t.u., il quale ha pressoché dimezzato l’importo del danno, senza considerare che la predetta statuizione non aveva carattere meramente istruttorio, ma costituiva una decisione su domande ed eccezioni proposte dalle parti, idonea ad acquistare efficacia di giudicato. In subordine, sostiene che la Corte territoriale non ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto
di dover rinnovare la c.t.u. ed imporre il ricorso al metodo sintetico-comparativo, poi non applicato dal nuovo c.t.u., che è stato costretto ad utilizzare quello analitico-ricostruttivo.
1.1. Il motivo è inammissibile.
A sostegno della censura, i ricorrenti hanno riportato un passo della sentenza non definitiva, da cui si evince che la Corte territoriale, nel confermare il diritto degli attori al risarcimento del danno per l’occupazione illegittima, da liquidarsi in base al criterio del valore venale dei fondi occupati, aveva fatto specificamente riferimento al prezzo unitario di mercato accertato dal c.t.u. nominato in primo grado, ritenuto non contestato, disponendo la rinnovazione della consulenza soltanto ai fini dell’individuazione delle superfici effettivamente occupate: in quanto non recante una definitiva quantificazione dell’importo dovuto, ma strumentale alla prosecuzione dell’istruttoria per la liquidazione dello stesso, il predetto rilievo non poteva ritenersi peraltro sufficiente a precludere una successiva valutazione di segno diverso, non solo in ordine all’opportunità di rinnovare le indagini peritali, ma anche in ordine al valore unitario delle superfici.
Come ripetutamente affermato da questa Corte, il provvedimento che abbia deciso esclusivamente sulla condivisibilità o meno del metodo di stima seguito dalla c.t.u. già esperita, ed eventualmente sulla necessità di disporre una nuova una nuova indagine peritale, ancorché contenuto in una sentenza non definitiva, ha natura e funzione ordinatoria, e non pregiudica il merito della decisione, restando revocabile e modificabile nel successivo corso del giudizio (cfr. Cass., Sez. I, 24/03/2022, n. 9633; 27/02/2008, n. 5214): esso non risulta pertanto idoneo ad acquistare autorità di giudicato interno, il quale può formarsi soltanto su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia (cfr. Cass., Sez. III, 19/10/2022, n. 30728; Cass., Sez. II, 17/04/2019, n. 10760; Cass., Sez. VI, 8/10/2018, n. 24783).
Nella specie, la sequenza finalizzata alla liquidazione del danno non poteva certo ritenersi perfezionata in virtù della mera individuazione del prezzo unitario di mercato dei fondi di proprietà degli attori, dovendosi ancora pro-
cedere, mediante la rinnovazione delle indagini, alla determinazione delle superfici effettivamente occupate dall’Amministrazione, che risultava pertanto decisiva ai fini della stima del valore complessivo degl’immobili, e quindi del pregiudizio economico effettivamente arrecato agli attori, il cui ristoro costituiva il petitum della domanda: può quindi escludersi che l’affermazione contenuta nella sentenza non definitiva comportasse la formazione di un giudicato interno o comunque di una preclusione, tale da impedire un rinnovato apprezzamento in ordine al metodo da utilizzare per la stima o al valore unitario dei fondi ed a circoscrivere il potere decisorio della Corte d’appello alla mera moltiplicazione del valore unitario stimato dal c.t.u. nominato in primo grado per il numero di metri quadri determinato in sede di gravame.
Quanto poi al lamentato difetto di motivazione della sentenza impugnata, nella parte concernente la rinnovazione delle indagini, è appena il caso di rilevare che la Corte territoriale ha testualmente riportato in narrativa il dispositivo della precedente ordinanza, recante la formulazione del quesito sottoposto al nuovo c.t.u., dal quale si evincono chiaramente le ragioni che l’hanno indotta a tale decisione, consistenti, oltre che in una più precisa individuazione dei fondi occupati e della loro destinazione urbanistica, nell’acquisizione di eventuali elementi di comparazione ai fini della stima del loro valore di mercato e nel ricalcolo degli accessori.
2. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 112, 177, 279 e 340 cod. proc. civ. e degli artt. 37 e ss. del d.P.R. n. 327 del 2001, osservando che, nel recepire la stima del nuovo c.t.u., la sentenza definitiva ha violato il divieto della reformatio in pejus , avendo riconosciuto ad essi ricorrenti un importo inferiore alla metà di quello liquidato in primo grado, senza considerare che l’appello proposto dal Comune era stato interamente rigettato dalla sentenza non definitiva e quello proposto da essi ricorrenti era stato integralmente accolto. Sostiene invece che la Corte territoriale avrebbe dovuto confermare il valore unitario accertato in primo grado, moltiplicarlo per la superficie effettivamente occupata, come accertata in sede di gravame, e determinare gli accessori, oppure confermare il valore dei fondi determinato in primo grado, maggiorato degli accessori determinati in sede di gravame, o ancora limitarsi a confermare integralmente il dispositivo della sentenza di
primo grado.
2.1. Il motivo è inammissibile, per difetto di specificità.
E’ pur vero, infatti, che la sentenza di primo grado aveva condannato il Comune al pagamento della somma di «€ 62.261,01, con gl’interessi di legge sulle somme rivalutate via via annualmente dal dì della domanda al saldo effettivo», mentre la sentenza di appello ha rideterminato l’importo dovuto in «€ 180.154,43, così ottenuto: € 144.771,72 a titolo di capitale, rivalutazione dalla data del 13.3.1984 alla data odierna e interessi legali sulla somma spettante a titolo di capitale via via rivalutata anno per anno dal 13.3.1984 alla data della presente sentenza (capitale rivalutato € 73.879,05, interessi € 70.892,67), nonché € 35.382,71 a titolo di capitale, rivalutazione dalla data del 25.5.1984 alla data odierna e interessi legali sulla somma spettante a titolo di capitale via via rivalutata anno per anno dal 25.5.1984 alla data della presente sentenza (capitale rivalutato € 18.093,09, interessi € 17.289,62)», oltre interessi legali dalla sentenza al saldo: e ciò nonostante il rigetto dell’appello principale (con cui il Comune aveva insistito, tra l’altro, sulla prescrizione dei crediti azionati e dedotto la novità della domanda di risarcimento del danno derivante dalla perdita della proprietà dei fondi occupati, proposta dagli attori all’udienza di precisazione delle conclusioni, in aggiunta a quella di risarcimento del danno per l’occupazione illegittima) e l’accoglimento dell’appello incidentale (con cui gli attori avevano fatto valere l’intervenuta dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 5bis , comma 7bis , del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, contestando altresì la decorrenza degli accessori dalla data della domanda, anziché da quella dell’illecito).
Non risulta tuttavia allegato e dimostrato il modo in cui il Tribunale era pervenuto alla determinazione dell’importo riconosciuto dalla sentenza di primo grado, sicché risulta impossibile, in questa sede, stabilire se la nuova liquidazione compiuta dalla Corte d’appello abbia effettivamente comportato una reformatio in pejus della decisione impugnata, non consentita, in ragione dell’intervenuto rigetto dell’appello principale. In particolare, non è stata riportata, a corredo della censura in esame, la motivazione della sentenza di primo grado, dalla quale avrebbe potuto evincersi se la somma liquidata dal Tribunale fosse stata determinata in conformità del criterio previsto dall’art.
5bis , comma 7bis , cit., e non è possibile stabilire quale decisione abbia adottato al riguardo la Corte d’appello, non risultando la questione trattata nella sentenza definitiva, e non essendo stato riportato il passo pertinente della motivazione di quella non definitiva, neppur essa prodotta.
3. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 62, 115, 116, 194, 295, 196 e 197 cod. proc. civ. e degli artt. 37 e ss. del d.P.R. n. 327 del 2001, censurando la sentenza definitiva per aver recepito la stima compiuta dal nuovo c.t.u., senza tenere conto delle osservazioni da loro formulate in ordine al costo di costruzione, determinato in base al valore previsto per case di tipo signorile a fronte di un valore di mercato riferito agl’immobili popolari, al tasso di rendimento del capitale investito, che non teneva conto della possibilità di permuta del terreno con opere compiute e dell’intervenuta acquisizione del solo diritto di superficie, ed al profitto d’impresa, già incluso nel valore di mercato degl’immobili realizzati e comunque incompatibile con lo scopo non lucrativo perseguito dalla RAGIONE_SOCIALE
3.1. Il motivo è inammissibile.
Ai fini della determinazione del valore di mercato dei fondi occupati, la Corte territoriale non si è affatto limitata ad aderire passivamente alla stima compiuta dal c.t.u., ma ha preso accuratamente in esame le osservazioni mosse dalla difesa degli attori all’elaborato peritale, fornendo alle stesse dettagliate risposte, sulla base dei chiarimenti resi dal consulente, integrati da autonome considerazioni, e pervenendo in tal modo alla conferma degl’importi da quest’ultimo indicati.
Nella specie, può quindi ritenersi puntualmente soddisfatto l’obbligo di motivazione, il cui adempimento postula, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che, ove alla relazione del consulente d’ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate dai difensori o dai consulenti di parte, il giudice che intenda disattenderle non si limiti a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, ma indichi nella motivazione della sentenza le ragioni della propria scelta, incorrendo altrimenti nel vizio di cui all’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., a meno che il c.t.u. non si sia fatto a sua volta carico di esaminare e confutare i rilievi di parte (cfr. Cass., Sez. V, 12/10/2018, n. 25526; Cass., Sez. I, 21/11/2016, n.
23637; Cass., Sez. III, 24/04/2008, n. 10688).
4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per ciascuno dei controricorrenti in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma l’8/01/2025