Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1728 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1728 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 5990/21 proposto da:
-) NOME COGNOME , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
-) COGNOME NOME, COGNOME NOME , COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, domiciliati ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difesi dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– controricorrenti –
nonché
-) NOME, domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dagli avvocati NOME COGNOME di Montelauro e NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché
-) COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME ;
– intimati – avverso le sentenze della Corte d’appello di Firenze 11.1.2019 n. 49 e 5 agosto 2020 n. 1528;
Oggetto:
sentenza
non
definitiva
–
riserva
di
appello –
ammissibilità
–
condizioni
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 novembre 2023 dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
L’esposizione dei fatti sarà limitata alle sole circostanze ancora rilevanti in questa sede.
NOME COGNOME (in data non precisata nel ricorso) convenne dinanzi al Tribunale di Livorno AVV_NOTAIO e gli odierni controricorrenti esponendo che:
-) era coltivatore diretto del fondo confinante con quello, adibito a fattoria, appartenente pro indiviso a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-) era quindi titolare del diritto di prelazione;
-) gli NOME COGNOME avevano fraudolentemente eluso tale diritto, dapprima simulatamente affittando a NOME COGNOME alcune porzioni del fondo, e quindi vendendo il proprio fondo a NOME COGNOME, che in seguito lo aveva frazionatamente venduto con quattro distinti atti, stipulati nell’arco di quattro mesi.
In particolare sostenne l’attore che NOME COGNOME aveva eluso il diritto di prelazione a lui spettante coi seguenti atti:
-) vendita del 19.12.2000 a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME;
-) vendita del 16.1.2001 a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-) vendita del 6.4.2001 a NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME;
-) vendita del 26.4.2001 a NOME e NOME NOME. Chiese pertanto che fosse accertato il suo diritto di riscatto dei terreni sopra indicati.
Mentre il Tribunale di Livorno, sezione di Cecina, rigettò la domanda, la Corte d’appello di Firenze – adìta da NOME COGNOME -la accolse con sentenza non definitiva 11.1.2019 n. 49, ritenendo da un lato che il retraente
avesse dimostrato il possesso di tutti i requisiti di legge per l’esercizio del riscatto; e dall’altro che NOME COGNOME non si era mai insediato nei terreni da lui acquistati dagli COGNOME e poi rivenduti frazionatamente a terzi, ‘ pur sussistendo un contratto formale di affitto’ .
Con contestuale ordinanza la causa fu rimessa sul ruolo per procedere all’istruttoria sulla domanda di danno.
2.1. Dopo aver accolto la domanda di riscatto, la Corte d’appello con sentenza definitiva 5.8.2020 n. 1528 accolse altresì la domanda di danno proposta dai retrattati nei confronti del loro dante causa (NOME COGNOME).
Su questo punto la Corte d’appello ha affermato che:
la vendita compiuta da NOME COGNOME in spregio del diritto di prelazione di NOME COGNOME era stata compiuta quanto meno con colpa;
i retrattati avevano perciò diritto al risarcimento non del mero interesse negativo, ma dell’interesse positivo;
tale danno era pari alla differenza tra il prezzo d’acquisto ad essi versato dal retraente, ed il valore ‘ dei manufatti e degli annessi’ da essi realizzati.
Le due sentenze d’appello sono state impugnate per cassazione da NOME COGNOME con ricorso fondato su tre motivi.
Hanno resistito con separati controricorsi:
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME;
NOME NOME.
Sono invece rimasti intimati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME.
Tutte le parti costituite (o gruppi di parti) hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME ha eccepito l’ inammissibilità per tardività del ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza non definitiva 11.10.2019 n. 49.
Deduce che quella sentenza doveva ritenersi definitiva, in quanto esaurì il contenzioso sulla domanda di riscatto. Essa pertanto si sarebbe dovuta impugnare tempestivamente, ed irrilevante fu la dichiarazione di riserva di gravame compiuta dalla difesa di NOME COGNOME.
1.1. L’eccezione è infondata.
E’ vero che la sentenza 49/19 della Corte d’appello di Firenze definì il giudizio di riscatto e, con esso, le questioni pendenti tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, come dichiarato dalla stessa sentenza a p. 17, § 11.
Non è men vero, tuttavia, che con la medesima sentenza la Corte d’appello dichiarò di provvedere ‘ non definitivamente pronunciando’ (p. 17), né in essa è contenuta una formale statuizione di separazione delle domande.
Si tratta, dunque, d’una sentenza che contiene – per usare le parole delle Sezioni Unite di questa Corte -‘ elementi di ambiguità’ circa la sua esatta qualificazione come sentenza definitiva o non definitiva.
In questi casi deve trovare applicazione il principio secondo cui qualora il giudice, con la pronuncia intervenuta su una delle domande cumulativamente proposte, abbia liquidato le spese e disposto per il prosieguo del giudizio in relazione alle altre domande, al contempo qualificando come non definitiva la sentenza emessa, ‘ in ragione dell’ambiguità derivante dall’irriducibile contrasto tra indici di carattere formale che siffatta qualificazione determina e al fine di non comprimere il pieno esercizio del diritto di impugnazione, deve ritenersi ammissibile l’appello in concreto proposto mediante riserva ‘ (Sez. U – , Sentenza n. 10242 del 19/04/2021, Rv. 661061 – 01).
2. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione ‘dell’art. 1362 c.c.’. Sostiene che tale norma sarebbe stata violata dalla Corte d’appello nella parte in cui questa ha ritenuto che NOME COGNOME, dopo avere stipulato il contratto di affitto con gli NOME COGNOME, non si installò effettivamente sul fondo e non lo coltivò.
1.1. Il motivo è manifestamente infondato: lo stabilire infatti se taluno abbia o non abbia coltivato un fondo è questione di fatto, non di interpretazione del contratto, e come tale insindacabile in questa sede.
Col secondo motivo il ricorrente, formalmente prospettando il vizio di ‘omessa motivazione’, censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto dimostrata la circostanza che NOME COGNOME non fu mai coltivatore diretto del fondo da lui frazionato e venduto.
2.1. Il motivo è manifestamente inammissibile perché deduce il vecchio paradigma dell’art. 360 n. 5 c.p.c. e comunque censura il giudizio di attendibilità dei testimoni e, in genere, la valutazione delle prove, cosa non consentita nemmeno dal nuovo e vigente.
Una censura di questo tipo, vigente quel vecchio paradigma, cozzava contro il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito ( ex permultis , Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che ‘ la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione ‘).
Nella vigenza del nuovo ed attuale n. 5 dell’art. 360 c.p.c. i suddetti principi sono ancora più giustificati alla luce dell’esegesi di esso che hanno dato le Sezioni Unite nelle note sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 nell’individuare la nozione di omesso esame circa un fatto decisivo.
Col terzo motivo il ricorrente, formalmente prospettando la violazione dell’art. 1479 c.c. , censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha liquidato il danno.
Deduce che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che l’alienazione dei fondi in violazione del diritto di prelazione fu da lui compiuta ‘con colpa’, e che di conseguenza erroneamente è stato condannato al risarcimento dell’interesse positivo.
3.1. Il motivo è inammissibile perché censura un accertamento di fatto, quale è lo stabilire se nel caso concreto al momento della vendita NOME COGNOME sapesse o non sapesse che NOME COGNOME vantava un diritto di prelazione.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
P.q.m.
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) condanna NOME COGNOME alla rifusione in favore di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME, in solido, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 6.500, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55; (-) condanna NOME COGNOME alla rifusione in favore di NOME COGNOME delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 6.500, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese
forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della