Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26474 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26474 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/10/2024
Impugnazioni civili Sentenza del giudice di pace secondo equità – Appellabilità
AD 09/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27983/2022 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, domiciliato in Roma alla INDIRIZZO, in virtù di procura in calce al ricorso,
Pec EMAIL
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME ,
-intimato – per la cassazione della sentenza n. 1834/2022 del Giudice di Pace di Caserta pubblicata il 25.9.2022;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 9.7.2024 dal AVV_NOTAIO.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 25.9.2022 il Giudice di Pace di Caserta accogliendo la domanda svolta da COGNOME NOME dichiarava prescritto il credito di euro 808 portato dalla fattura n. 1275 del 25.9.2020 azionata dal RAGIONE_SOCIALE.
Il COGNOME, premesso di essere intestatario dell’utenza per consumo idrico n. 12196 (n. contatore 01741774) sita in INDIRIZZO, deduceva di aver ricevuto nel mese di ottobre 2020 dal RAGIONE_SOCIALE convenuto la fattura n. 1275 dell’importo di euro 808 relativa a ‘ruolo idrico 20162017’ ed al consumo di acqua dal 31.12.2015 al 23.1.2018. Il credito, tuttavia, era prescritto.
Il giudice del primo grado accoglieva la domanda ed osservava che ai sensi dell’art. 1, n. 4, l. 205/2017, entrata in vigore il 1° gennaio 2018 nei contratti di fornitura del servizio idrico il diritto al corrispettivo (nell’ambito del quale poteva essere incluso anche quello per fognatura e depurazione domestica come nel caso in esame) si prescriveva in due anni. Tale riduzione del termine di prescrizione era stata recepita dall’ARERA con delibere n. 547/2019/R/IDR del 17.12.2019 e n. 186/2020/R/RDR del 26.5.2020.
Per la cassazione della sentenza del Giudice di Pace ricorre il RAGIONE_SOCIALE di San RAGIONE_SOCIALE la RAGIONE_SOCIALE, sulla base di un unico motivo.
L’ intimato non ha svolto attività difensiva.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380-bis.1. cod. proc. civ.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione, rilevante ex art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 1, comma decimo, della legge n. 205 del 27.12.2017. Sebbene in esordio sia indicato l’art. 10 l. 205/2017, non è possibile dubitare in base allo sviluppo argomentativo del motivo che con esso il ricorrente abbia inteso fare riferimento all’art. 1, comma decimo, l. 205/2017.
1.2. L amenta che la decisione impugnata confligge con l’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale in tema di interpretazione letterale della
legge, laddove si sostiene che alle fatture con scadenza successiva all’1.1.2020 si applica la prescrizione biennale relativamente alle annualità ivi contenute, sì che a partire dal 2020 potrebbe essere richiesto il pagamento per consumo idrico riferito al solo biennio precedente.
Si duole non essersi considerato che l ‘art. 1, comma 10, L. n. 205/2017 rimanda al comma quarto della stessa norma, il quale prevede ‘ Nei contratti di fornitura del servizio idrico, relativi alle categorie di cui al primo periodo, il diritto al corrispettivo si prescrive in due anni’. Stabilisce altresì che ‘Le disposizioni di cui ai commi 4 e 5 si applicano alle fatture la cui scadenza è successiva: a) per il settore elettrico, al 1° marzo 2018; b) per il settore del gas, al 1° gennaio 2019; c) per il settore idrico, al 1° gennaio 2020’.
Il legislatore, pertanto, prevede che per i consumi idrici, a partire dal 1° gennaio 2020, il diritto al corrispettivo si prescrive in due anni relativamente alle fatture con scadenza successiva, ma nulla dice riguardo al periodo di fatturazione, limitandosi a far riferimento alla scadenza della fattura pura e semplice. Viceversa, per i consumi anteriori al 1° gennaio 2020 non trova applicazione l a l. 205/2017, per essere limitata l’applicazione del nuovo termine alle sole fatture con scadenza successiva al 1° gennaio 2020, mentre per il periodo anteriore vale il termine ex art. 2948, n. 4, cod. civ.
Il credito portato dalla fattura oggetto di causa, in quanto relativo ad un consumo anteriore, doveva ritenersi soggetto alla prescrizione quinquennale o biennale, ma a partire dal 1° gennaio 2020 dato che il dies a quo è quello della scadenza della fattura, a partire dalla quale il credito diviene esigibile. In ogni caso, con la delibera n. 997/2018/R/COM l’ARERA aveva dato applicazione a quanto previsto nella l. 205/2017 portando il termine di prescrizione da cinque a due anni senza effetto retroattivo, sì che il credito oggetto della fattura beneficiava della prescrizione quinquennale.
1.3. Lamenta che l a sentenza impugnata confligge con l’art. 11 delle disposizioni preliminari al Codice civile perché sostanzialmente applica retroattivamente la disposizione di legge indicata anche con riferimento a rapporti sorti anteriormente alla sua entrata in vigore ed ancora in vita.
Il ricorso è inammissibile.
2.1. Mette conto rilevare come il ricorrente non abbia specificato preliminarmente la natura del procedimento nell’ambito del quale è stata resa la sentenza impugnata, ovvero se si sia trattato di un procedimento di cognizione ex art. 311 ss. cod. proc. civ., di una opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 cod. proc. civ. o di un’opposizione ad ingiunzione di pagamento ex art. 3 r.d. 639/1910.
2.2. In base all’art. 339 cod. proc. civ. possono essere impugnate con appello le sentenze pronunciate in primo grado, purché l’appello non sia escluso dalla legge o dall’accordo delle parti.
Esclusa tale ultima ipotesi, quanto agli eventuali limiti normativi, l’art. 113, comma secondo, cod. proc. civ. prevede che: “Il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro …”, e l’art. 339, comma terzo, cod. proc. civ. dispone che “Le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’art. 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”.
La previgente formulazione della norma, invece, escludeva l’appellabilità delle sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità, così permettendo il ricorso diretto per cassazione.
2.3. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte le sentenze rese dal giudice di pace in cause di valore non eccedente i millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi mediante moduli o formulari di cui all’art. 1342 cod. civ., sono da considerare sempre pronunciate secondo equità, ai sensi dell’art. 113, secondo comma, cod. proc. civ. (v. Cass. 15 gennaio 2024, n. 1517; 19 gennaio 2021; 3 aprile 2012, n. 5287; 25 febbraio 2005, n. 4079; 3 agosto 2001, n. 10667; 26 ottobre 2001, n. 10086; 1° agosto 2001, n. 10086; 26 ottobre 2000, n. 14099; 6 aprile 2000, n. 4326; sez. un., 23 settembre 1998, n. 9493). È stato, altresì, evidenziato da questa Corte che per stabilire se una sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all’art. 339, 3° comma, c.p.c., occorre avere riguardo non già al contenuto della decisione, ma al valore della
causa, da determinarsi secondo i principi di cui agli art. 10 e ss. c.p.c. (v. Cass. 12 febbraio 2018, n. 3290).
2.4. Dall’assetto scaturito dalla riforma di cui al D.leg. n. 40 del 2006 e particolarmente dalla nuova disciplina delle sentenze appellabili e delle sentenze ricorribili per cassazione, emerge in modo incontestabile che, riguardo alle sentenze pronunciate dal giudice di pace nell’ambito del limite della sua giurisdizione equitativa necessaria, l’appello a motivi limitati, previsto dal terzo comma dell’art. 339 cod. proc. civ., è l’unico rimedio impugnatorio ordinario ammesso, fatta eccezione per la revocazione per motivi ordinari(v. Cass., sez. un., 28 maggio 2020, 10063; 18 novembre 2008, n. 27339; sez. III, 4 giugno 2007, n. 13019).
‘ Tale conclusione – non desumibile esplicitamente da detta norma, posto che l’avverbio «esclusivamente» che in essa figura potrebbe apparire riferibile non al mezzo esperibile, bensì ai motivi deducibili con il mezzo stesso, onde l’interprete potrebbe avere il dubbio (peraltro per il solo vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.) che contro la sentenza sia esperibile, prevedendolo altra norma, altra impugnazione ordinaria per i motivi esclusi e segnatamente il ricorso per cassazione – si giustifica, oltre che per un’elementare ragione di coerenza, che esclude un concorso di mezzi di impugnazione non solo per gli stessi motivi, ma anche per motivi che rispetto a quelli ammessi in riferimento ad un mezzo rappresenterebbero un loro allargamento, si giustifica in forza della lettura dell’art. 360 nuovo testo, là dove nel primo comma prevede l’esperibilità del ricorso per cassazione soltanto contro le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado. Poiché la sentenza equitativa del giudice di pace non è né una sentenza pronunciata in grado di appello né una sentenza pronunciata in unico grado (atteso che è, sia pure per motivi limitati, appellabile e, dunque, è sentenza di primo grado), appare evidente che essa non è sottoponibile a ricorso per cassazione per i vizi diversi da quelli indicati dal terzo comma dell’art. 339 e particolarmente per quello di cui al n. 5 dell’art. 360. Né, d’altro canto è ipotizzabile la configurabilità del ricorso per cassazione per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 sulla base dell’ultimo comma del nuovo testo dello stesso art. 360, che ammette il ricorso per cassazione contro le sentenze ed i provvedimenti
diversi dalla sentenza per i quali – a norma del settimo comma dell’art. 111 Cost. – è ammesso il ricorso in cassazione per violazione di legge per tutti i motivi di cui al primo comma e, quindi, nelle intenzioni del legislatore, anche per quello di cui al n. 5 citato. Invero, la sentenza del giudice di pace pronunciata nell’ambito della giurisdizione equitativa, essendo appellabile, sia pure per motivi limitati, sfugge all’ambito di applicazione del suddetto settimo comma, che pertiene alle sentenze ed ai provvedimenti aventi natura di sentenza in senso c.d. sostanziale, per cui non sia previsto alcun mezzo di impugnazione e non riguarda i casi nei quali un mezzo di impugnazione vi sia, ma limitato a taluni motivi e la decisione riguardo ad esso possa poi essere assoggettata a ricorso per cassazione (com’è quella resa dal giudice d’appello sulle sentenze del giudice di pace ai sensi del terzo comma dell’art. 339, la quale, naturalmente, lo sarà con adattamento dei motivi di ricorso all’ambito di quelli devolvibili al giudice d’appello stesso) ‘ (v. Cass. 13019/2007 cit.; da ultima Cass. 11 aprile 2024, n. 9870).
2.5. Considerato che la sentenza impugnata è stata resa su domanda tesa alla dichiarazione dell’intervenuta prescrizione del credito di euro 808, oggetto della fattura inviata, e che il ricorrente in violazione del principio di specificità non ha comprovato l’essere intervenuta la sentenza nell’ambito di un rapporto giuridico relativo a contratti conclusi mediante moduli o formulari di cui all’art. 1342 cod. civ., deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto poiché, come già detto, l’ appello a motivi limitati, previsto dall’art. 339, comma terzo, cod. proc. civ., costituisce l’unico rimedio impugnatorio ammesso (oltre alla revocazione per motivi ordinari) avverso le sentenze pronunciate dal giudice di pace nell’ambito della sua giurisdizione equitativa necessaria.
Non è a farsi lugo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione , non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti
per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della