Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3311 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3311 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2024
sul ricorso 30279/2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che lo rappresenta e difende -controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 1863/2019 depositata il 19/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/10/2023 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza che si riporta in epigrafe, la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto la domanda risarcitoria proposta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, rappresentata nel giudizio da RAGIONE_SOCIALE, per l’illegittima segnalazione della propria posizione di sofferenza alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia.
Il decidente ha inizialmente disatteso il motivo di gravame inteso a far valere il difetto di legittimazione processuale di NOME, richiamando le ragioni a tale riguardo ostese dal primo giudice -che aveva considerato come l’ampiezza dei poteri conferitigli dal mandato legittimasse NOME a resistere nel giudizio -e quindi osservando che, poiché il giudizio aveva ad oggetto la sussistenza o meno del credito e la susseguente valutazione della sua sofferenza, questo insieme di aspetti non potevano che essere esaminati congiuntamente, con la conseguenza che la loro gestione processuale non poteva che far capo al mandatario, dato che la procura rilasciata allo stesso comprendeva anche «il potere di partecipare a qualsiasi azione legale in qualsiasi stato e grado anche con riferimento ai diritti collegati a creduti ceduti». Quanto poi all’infondatezza nel merito della pretesa, il giudice territoriale, preso atto che la sofferenza era ascrivibile ad un credito accertato in via definitiva, in quanto nascente da un decreto ingiuntivo passato in giudicato, e dell’esistenza di esso al momento della segnalazione, ha osservato che «il consolidato inadempimento (che trovava ormai sanzione definitiva nella sentenza della Corte di appello di Napoli emessa ben sei anni dopo l’emissione del decreto ingiuntivo del gennaio 1997) e il lungo lasso di tempo intercorso dall’emergere dello scoperto di conto corrente (che aveva fatto maturare interessi
convenzionali al tasso del 13% annuo) non poteva essere non valutato dalla banca creditrice come grave sintomo di sofferenza ed insolvenza per doverlo segnalare dalla centrale rischi, atteso che ai fini di tale segnalazione, la nozione di insolvenza non si identifica con quella propria fallimentare, ma si concretizza in una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come “deficitaria” ovvero come di “grave difficoltà economica”, senza quindi alcun riferimento al concetto di incapienza o irrecuperabilità e senza che assuma rilievo la manifestazione di volontà di non adempiere, che sia giustificata da una seria contestazione sull’esistenza del credito».
Ricorre ora per la cassazione di questa sentenza il COGNOME con cinque motivi seguiti da memoria, ai quali resiste con controricorso e memoria l’intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso, mediante il quale si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli art. 77 cod. proc. civ. e 1364 cod. civ., sul rilievo che il giudice d’appello non avrebbe debitamente focalizzato che i poteri conferiti a NOME inerissero esclusivamente all’esercizio dei diritti di credito, si ché ne era esclusa la responsabilità da fatto illecito, tanto più che si sarebbe dovuta interpretare in senso restrittivo l’ampia formula adottata per il conferimento delle facoltà rappresentative, è inammissibile.
Per vero, come è reso chiaro dalla doglianza esternata con riferimento alla violazione del canone ermeneutico fissato dall’art. 1364 cod. civ., il ricorrente si duole qui dell’errore interpretativo in cui sarebbe caduto il giudice d’appello nell’aver ritenuto, procura alla mano, che RAGIONE_SOCIALE fosse legittimato a partecipare all’odierno giudizio, attesa l’ampiezza dei poteri conferitigli dalla mandante,
comprensivi non solo della gestione dei crediti, ma anche dei diritti ad essi collegati. L’allegazione così operata, tuttavia, non è scrutinabile. considerato, nell’ordine, che l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito (Cass., Sez. III, 14/07/2016, n. 14355); la censurabilità per cassazione dell’errore ermeneutico postula che sia esattamente specificato il canone che in concreto si assume violato, ed, in particolare, il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass., Sez. III, 28/11/2017, n. 28319); la relativa denuncia deve essere declinata in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, sicché deve essere accompagnate dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti (Cass., Sez. III, 08/03/2019, n. 6735).
Poichè nel nostro caso l’illustrazione del motivo non soddisfa nessuna di queste condizioni, ciò è ragione per dichiararne l’inammissibilità.
3. Il secondo motivo di ricorso, mediante il quale si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ. sul rilievo che il giudice d’appello aveva divisato la legittimità dell’impugnata segnalazione sulla base di un ammontare del credito in sofferenza non veritiero (euro 201.088,00) essendo il credito acclarato di minore ammontare (euro 13.117,00), ed il terzo motivo di ricorso, mediante il quale si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. e dei diritti costituzionali a presidio dei diritti della personalità sul rilievo che l’ingiustizia della segnalazione si rende configurabile anche nel caso di discrepanza grave tra importo segnalato e debito reale, esaminabili
congiuntamente, stante l’unitarietà della censura che vi è svolta, sono entrambi inammissibili.
Per vero, tramite le doglianze in disamina, il ricorrente si duole qui dell’apprezzamento in fatto operato dal giudice d’appello e si propone di sollecitarne la rivalutazione chiedendo che, al giudizio espresso da questo, la Corte sostituisca il proprio, in spregio, però, al potere esclusivo che l’ordinamento assegna in parte qua al giudice di merito ed ai limiti propri dello scrutinio di legittimità che non costituisce un terzo grado di giudizio, in cui, dopo i due sfavorevolmente svoltisi in linea di merito, sia consentito porre rimedio alla pretesa ingiustizia della decisione impugnata.
4. Il quarto motivo di ricorso, mediante il quale si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 sul rilievo che la mancata attribuzione di rilevanza alla questione dell’esattezza o meno dell’importo indicato nell’appostazione della sofferenza urta contro l’obbligo dell’esattezza, dell’attualità e completezza dei dati personali trattati, ed il quinto motivo di ricorso, mediante il quale si lamenta la violazione e/o falsa applicazione delle norme contenute nel d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 sul rilievo che l’estrema esattezza dei dati trasmessi dagli intermediari è il presupposto indefettibile e ineludibile per una corretta valutazione della situazione finanziaria del cliente, esaminabili congiuntamente, in quanto evidenzianti censure analoghe, sono entrambi inammissibile.
Per vero, tramite le doglianze in disamina il ricorrente sollecita il giudizio di questa Corte su profili, che al di la della loro irrituale deduzione per le ragioni già più ampiamente illustrate altrove (Cass., Sez. I. 29/11/2016, 24298), non hanno alcuna afferenza con quanto statuito dal giudice d’appello (Cass., Sez. I, 7/11/2005, n. 21490), si ché esse si risolvono in una prospettazione del tutto astratta in
violazione del principio secondo cui i motivi di ricorso per cassazione non possono che attenere alle questioni ricomprese nel thema decidendum oggetto del confronto processuale (Cass., Sez. II,, 9/08/2018, n. 20694), consegnandosi diversamente ad un’inevitabile declaratoria di inammissibilità.
D’altro canto, la decisione impugnata è perfettamente in linea con l’indirizzo di questa Corte, secondo cui il prolungato inadempimento del correntista all’obbligo di rientrare dell’esposizione debitoria legittima la banca alla segnalazione alla Centrale Rischi (Cass. 31921/2019; 26361/2014).
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in euro 7200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il giorno 27.10.2023.
Il Presidente
AVV_NOTAIO NOME COGNOME