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Segnalazione insolvenza: quando è legittima?

Una società veniva dichiarata fallita su iniziativa del Pubblico Ministero, a seguito di una segnalazione di insolvenza proveniente da un giudice relatore in un precedente procedimento, conclusosi per desistenza del creditore. La società ha impugnato la decisione, sostenendo l’illegittimità della segnalazione. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 27560/2024, ha rigettato il ricorso, stabilendo che la segnalazione di insolvenza al P.M. è un atto legittimo e neutro, che non viola il principio di terzietà del giudice e può essere effettuato anche dopo la conclusione del procedimento originario.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Segnalazione di Insolvenza: Legittima anche dopo la Fine del Processo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27560/2024, ha affrontato un’importante questione procedurale in materia fallimentare. La pronuncia chiarisce i confini e la legittimità della segnalazione insolvenza che un giudice può inviare al Pubblico Ministero, anche quando il procedimento originario si è concluso. Questa decisione consolida un principio fondamentale: la lotta all’insolvenza è un interesse pubblico che prevale su alcuni formalismi procedurali, senza però ledere il diritto di difesa dell’imprenditore.

I Fatti di Causa

Una società editoriale digitale veniva dichiarata fallita dal Tribunale di Milano su richiesta del Pubblico Ministero (P.M.). L’azione del P.M. traeva origine da una segnalazione effettuata dal giudice relatore di un precedente procedimento prefallimentare intentato contro la stessa società da un’azienda creditrice. Quel primo procedimento si era concluso con un “non luogo a provvedere”, poiché la società creditrice aveva ritirato la propria istanza.

Nonostante la chiusura del caso, il giudice relatore, avendo rilevato elementi indicativi di una possibile insolvenza, aveva trasmesso gli atti al P.M. per le opportune valutazioni. La società dichiarata fallita ha quindi impugnato la decisione, prima davanti alla Corte d’Appello e poi in Cassazione, lamentando l’illegittimità di tale segnalazione.

Le obiezioni e la decisione della Cassazione sulla segnalazione insolvenza

La società ricorrente basava la sua difesa su quattro motivi principali, tutti respinti dalla Suprema Corte.

La presunta violazione della terzietà del giudice

Il primo e più rilevante motivo di ricorso riguardava la presunta violazione dei principi di terzietà e imparzialità del giudice. Secondo la difesa, la segnalazione, effettuata da un giudice monocratico dopo che il collegio aveva già archiviato il procedimento, sarebbe stata un atto anomalo e illegittimo.

La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che la segnalazione insolvenza non è un atto decisionale, ma un atto neutro. Il giudice che rileva indizi di insolvenza non esprime un giudizio, ma si limita a portare un fatto a conoscenza del P.M., il quale poi valuterà in piena autonomia se avviare o meno l’azione per la dichiarazione di fallimento. Le Sezioni Unite avevano già stabilito che non vi è alcuna violazione della terzietà se lo stesso tribunale è chiamato a decidere sul fallimento a seguito di un’iniziativa del P.M. innescata da una propria precedente segnalazione.

Inoltre, la Corte ha specificato che la segnalazione può essere compiuta in qualsiasi fase del procedimento civile e anche dopo la sua conclusione formale, se da esso sono emersi i presupposti. L’utilità della segnalazione, infatti, si apprezza proprio quando il giudizio si conclude senza una pronuncia nel merito sull’insolvenza.

Le altre censure respinte

La Corte ha rigettato anche gli altri motivi di ricorso:

* Violazione delle norme sulla prova (art. 115 c.p.c.): La società lamentava che la Corte d’Appello avesse deciso basandosi solo sulle dichiarazioni del curatore, senza considerare che le sue affermazioni non erano state contestate a causa della contumacia del P.M. e del Fallimento. La Cassazione ha ricordato che nel procedimento prefallimentare il principio dispositivo della prova non opera pienamente e che la contumacia in appello non rende automaticamente veritieri i fatti affermati dall’appellante.
* Omesso esame di un fatto decisivo: La ricorrente sosteneva che la corte non avesse considerato i documenti che provavano una situazione di mera crisi, superabile con piani di rateizzazione. La Corte ha ritenuto il motivo inammissibile, in quanto non indicava un “fatto storico” omesso, ma criticava la valutazione del materiale probatorio, attività riservata al giudice di merito.
* Errata applicazione della nozione di insolvenza: Infine, la società contestava che l’insolvenza fosse stata desunta dal mero inadempimento di un debito erariale. La Cassazione ha ribadito che, sebbene l’insolvenza sia uno “status” e non un singolo inadempimento, il mancato pagamento di debiti, specialmente se consistenti e risalenti, è un sintomo qualificato che può legittimamente fondare un giudizio di inidoneità strutturale a soddisfare le proprie obbligazioni.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una chiara distinzione tra l’atto di segnalazione e l’atto di iniziativa processuale. La legge (art. 7, l. fall.) conferisce al P.M. il potere di chiedere il fallimento quando l’insolvenza risulta “dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso del procedimento civile”. Questa norma, secondo la Corte, ha una portata ampia e non pone limiti temporali stringenti, né richiede che il procedimento sia ancora pendente. L’essenziale è che l’emersione degli indizi di insolvenza avvenga nell’ambito della funzione giurisdizionale. La segnalazione è dunque un dovere funzionale del giudice, un atto neutro che non lede il diritto di difesa del debitore, il quale potrà pienamente esercitarlo nel successivo procedimento per la dichiarazione di fallimento promosso dal P.M.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza gli strumenti a disposizione dell’ordinamento per l’emersione tempestiva delle crisi d’impresa. Stabilendo la piena legittimità della segnalazione insolvenza anche dopo la chiusura del procedimento da cui è scaturita, la Corte di Cassazione garantisce che preziose informazioni sulla salute di un’impresa non vadano perse a causa di eventi procedurali, come la desistenza del creditore. Viene così bilanciato l’interesse pubblico all’efficienza del sistema economico con il diritto di difesa dell’imprenditore, che rimane pienamente tutelato nella fase successiva e cruciale del procedimento fallimentare.

Un giudice può segnalare un’impresa al Pubblico Ministero per il fallimento anche dopo che il procedimento iniziale si è concluso?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che la segnalazione può essere effettuata anche dopo la conclusione del procedimento civile, ad esempio per desistenza del creditore, poiché l’utilità di tale segnalazione si apprezza proprio quando il giudizio si conclude senza una pronuncia nel merito sull’insolvenza.

La segnalazione di insolvenza fatta da un singolo giudice relatore, e non dal tribunale in composizione collegiale, è valida?
Sì, è valida. La segnalazione non è un atto decisionale riservato al collegio, ma un atto neutro di trasmissione di notizie. Pertanto, anche il singolo giudice relatore che ha trattato la causa è legittimato a procedere alla segnalazione al Pubblico Ministero.

La mancata partecipazione del fallimento e del P.M. al giudizio di reclamo (contumacia) rende automaticamente veri i fatti affermati dalla società reclamante?
No. La Corte ha specificato che nel procedimento prefallimentare e nel relativo reclamo non si applica pienamente il principio dispositivo della prova. La contumacia della controparte non è sufficiente a rendere incontestati i fatti allegati dalla parte reclamante, né altera l’onere probatorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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