Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30415 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30415 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO (c/o studio RAGIONE_SOCIALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n.3280/2020, pubblicata il 7.7.2020 e notificata in pari data.
Oggetto: danni da segnalazione alla centrale rischi
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13.11.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
─ Il ricorrente aveva convenuto RAGIONE_SOCIALE dinanzi al Tribunale di Roma deducendo di aver acceso due conti correnti presso la RAGIONE_SOCIALE e di aver maturato un saldo negativo nei confronti dell’Istituto a causa dell’illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, dell’applicazione della clausola di rinvio degli interessi agli «usi piazza» e della illegittima applicazione della commissione di massimo scoperto, essendo stata la propria posizione debitoria addirittura indebitamente incrementata al momento della cessione delle posizioni da RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE, con illegittima segnalazione della propria posizione alla Centrale Rischi; aveva, quindi, chiesto dichiararsi la nullità parziale dei contratti ed al contempo condannarsi la Banca al risarcimento del danno da illegittima segnalazione, anche ai sensi del d.lgs. n. 196/2003, in misura pari ad € 50.000, ovvero in via equitativa.
─ Con ordinanza del 5.6.2008 la causa veniva sospesa -in attesa della definizione del giudizio di appello avverso la sentenza pronunciata nell’ambito dei giudizi riuniti di opposizione ai decreti ingiuntivi emessi a carico dell’attore ed a favore delle convenute, al fine di verificare l’esatto ammontare del debito e quindi la legittimità della segnalazione -e con ricorso depositato il 25.11.2015 la causa veniva riassunta a seguito del passaggio in giudicato della sentenza 1220/2015 della Corte d’Appello di Roma.
3.─ Il Tribunale di Viterbo ha innanzitutto dato atto del venir meno «di ogni questione» in ordine alla nullità delle clausole contrattuali dei due contratti di conto corrente, trattandosi di profili ormai coperti dal giudicato; ed in relazione all’unica domanda residuata (di risarcimento danni per la illegittima segnalazione) ha
condannato la parte convenuta al versamento in favore dell’attore dell’importo complessivo di € 49.000, oltre lucro cessante da determinarsi come in motivazione ed interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo, condannando altresì la convenuta alla rifusione delle spese del giudizio.
4.RAGIONE_SOCIALE ha proposto gravame, dinanzi alla Corte di Appello di Roma che, con la sentenza qui impugnata, ha accolto l’appello , respingendo la domanda di risarcimento del danno formulata dall’attuale ricorrente nei confronti dell’appellante .
Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha precisato che:
la distinzione tra i vari criteri di classificazione delle esposizioni debitorie tra debiti «in sofferenza» e debiti «in contestazione» era stata introdotta dalla Banca d’Italia soltanto nel 2010 e al momento della segnalazione e per tutta la sua durata (la segnalazione è stata annullata nel 2008) era vigente la Circolare n. 139/1991 che non prevedeva alcun distinguo tra le diverse classificazioni; pertanto l’apposizione dell’esposizione debitoria «in sofferenza» era legittima;
il giudicato formatosi per effetto della sentenza n.914/2007 del Tribunale di Viterbo, poi confermata in appello, non faceva emergere l’inesistenza originaria del credito vantato dalla Banca, ma unicamente la mancata sua precisa dimostrazione, poiché la Banca non aveva prodotto gli estratti integrali dei rapporti bancari in contestazione, ed il CTU incaricato non aveva potuto rideterminare le rispettive ragioni del dare-avere e, pertanto, il decreto ingiuntivo opposto non era relativo ad un credito liquido, certo ed esigibile;
lo stesso Tribunale di Viterbo aveva precisato che era salva la facoltà della Banca debitrice di «azionare una nuova pretesa di pagamento» che tenesse conto delle nullità contrattuali accertate «ove riuscisse ad assolvere all’onere della prova su di essa
gravante», ed aveva ritenuto che la eventuale classificazione del credito come «in contestazione» fosse stata legittima;
«da altro punto di vista» la segnalazione non poteva essere considerata illecita per due concorrenti ragioni:
per tutta la durata della segnalazione il giudicato non si era formato e la Banca segnalante non aveva cognizione che il decreto ingiuntivo sarebbe stato revocato e la legittimità della segnalazione non postula un accertamento giudiziale sull’esistenza ed entità del credito vantato;
dalla stessa sentenza del Tribunale emergeva una dettagliatissima esposizione sulla innegabile situazione debitoria del cliente in considerazione delle due aperture di credito concesse ed anche espungendo gli addebiti relativi alle clausole ritenute nulle la situazione debitoria era indubbiamente esistente.
─ COGNOME NOME ha presentato ricorso per cassazione con cinque motivi ed anche memoria.
RAGIONE_SOCIALE ha presentato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
─ Con il primo motivo: Violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 51, comma 1,53, comma 1, lett. b), 120, comma 2, lett. a e 124 bis d.lgs. n. 385/1993 (TUB), della delibera CICR del 29.3.1994 , della circolare n. 139/1991 della Banca d’Italia, dell’art. 15 d.lgs. n. 196/2003, degli artt. 1175,1375, 2043 e 2050 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; motivazione apparente e contrastante, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.; nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.
La corte di merito non avrebbe colto che la ratio decidendi posta dal Tribunale di Viterbo a fondamento della sentenza di primo
grado, risiedeva non nella illegittimità della segnalazione in Centrale sotto la voce «in sofferenza» anziché «in contestazione», ma nell’esistenza di un giudicato esterno, del Tribunale di Viterbo, del 2007, relativo alla causa di opposizione a decreto ingiuntivo, e di accertamento negativo dell’esistenza del debito (confermato dalla Corte d’Appello di Roma nel 2015) che attestava l’inesistenza della posizione debitoria del COGNOME.
Infatti il Tribunale di Viterbo, a pag. 4 della sentenza di primo grado aveva precisato che «…deve dichiararsi l’illegittimità della segnalazione effettuata dal convenuto, attesa l’esistenza di un giudicato in ordine all’assenza di posizione debitoria del COGNOME».
Allo stesso modo, a pag. 3 il Giudice aveva affermato che «…in mancanza di prove e di un giudicato di senso contrario e all’esistenza di una esposizione debitoria dell’odierno opponente deve ritenersi l’illegittimità della segnalazione effettuata dalla RAGIONE_SOCIALE soprattutto perché inserita “in sofferenza” piuttosto che ‘ in con testazione’».
7. -Con il secondo motivo: Violazione e falsa applicazione degli artt. 2909, 2697 c.c. e dell’art. 324 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1813,1823 e 1842, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 , c.p.c.; nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c. p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. e per illogicità/apparenza/perplessità della motivazione; omesso esame di fatto storico per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
La Corte avrebbe errato nel considerare che il giudicato esterno non riguardasse l’accertamento dell’inesistenza della posizione debitoria del ricorrente, ritenendo che riguardasse esclusivamente una statuizione giudiziale sulla mancata prova della stessa da parte
della Banca. La Corte avrebbe, inoltre, confuso il funzionamento dei finanziamenti con quello dei conti corrente, poiché ha specificato che risulterebbe una mancata restituzione di finanziamenti in relazione ad aperture di credito in conto corrente.
8. -Con il terzo motivo: Violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.; nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n.4, c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; motivazione apparente, contrastante e perplessa, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
La Corte di merito avrebbe ritenuto che la statuizione contenuta nella sentenza del Tribunale di Viterbo (n.914/2007) fosse generale e astratta, anziché specificamente riferita al procedimento esaminato. In altri termini, la Corte territoriale avrebbe ritenuto che il Tribunale avesse affermato che ove mai – in futuro – la banca fosse riuscita a dimostrare il proprio credito, avrebbe potuto sempre azionare la propria pretesa verso il COGNOME.
Così facendo, tuttavia, la Corte territoriale avrebbe violato i principi costitutivi della cosa giudicata, dal momento che -come noto -il giudicato copre il dedotto e il deducibile, sicché l’accertamento contenuto in sentenza passata in giudicato (ai sensi dell’art. 2909 c.c.) preclude una eventuale proposizione della medesima domanda creditoria fondata sui medesimi presupposti e tra le medesime parti. Altrimenti se così non fosse, non si comprenderebbe quale sarebbe la portata del giudicato formatosi nel procedimento di accertamento negativo del debito.
La statuizione contenuta nella sentenza n.914/2007 doveva dunque correttamente interpretarsi nel contesto in cui essa è stata emessa, cioè il giudizio di primo grado della causa di accertamento negativo del debito e opposizione a decreto ingiuntivo: in quel
contesto -e solo in esso -poteva eventualmente ritenersi legittima la statuizione in esame, dal momento che il giudicato (trattandosi di una sentenza di primo grado) non si era ancora formato e la sentenza avrebbe potuto ancora essere ribaltata in appello.
-Con il quarto motivo: Violazione e falsa applicazione degli artt.163, 645 e 324 c.p.c., nonché degli artt. 1813, 1823,1842 e 2909 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 51,comma 1, 53, comma 1, lett.b), 120, comma 2, lett. a) e 124 bis d.lgs. n. 385/1993, della delibera CICR del 29.3.1994, della circolare n. 139/1991 della Banca d’Italia, dell’art. 15 d.lgs. n. 196/2003, degli artt. 1175,1375, 2043 e 2050 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
La Corte avrebbe errato nel ritenere che il ricorrente non avesse mai contestato l’esistenza della sua esposizione debitoria e si fosse limitato a contestarne la sola entità. Nei conti correnti la situazione è dinamica e mutevole, con possibilità per il correntista di essere a debito o a credito verso la banca in base alle operazioni eseguite (in entrata e in uscita).
9.1 Il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo sono correlati e possono essere esaminati insieme.
Essi sono nel complesso inammissibili.
Le censure si fondano su una lettura della sentenza di primo grado, di cui sono riportati dei meri stralci non inseriti nel contesto generale della motivazione, che propone una interpretazione della motivazione, posta a fondamento del giudicato, diversa da quella
accolta dalla Corte di Appello, e sulla quale si formulano specificamente motivi di dissenso nei diversi motivi.
La lettura effettuata dalla Corte d’appello del dato probatorio che la parte ricorrente assume essere dirimente per i fini dell’accertamento della responsabilità per la segnalazione, dato probatorio costituito dalla sentenza di primo grado, passata in giudicato, resa in altro giudizio dal Tribunale di Viterbo, si riassume in ciò, che, per la Corte di merito, tale sentenza non aveva invece un valore decisivo, in ragione di una pluralità di considerazioni:
( i ) nella menzionata sentenza di Viterbo si dava infatti espressamente atto che la Banca avrebbe operato legittimamente se avesse effettuato la segnalazione con la dicitura «in contestazione», senza tener tuttavia conto che la diversificazione tra questa dicitura e quella «in sofferenza» era un distinguo introdotto dalla Banca d’Italia soltanto nel 2010 con la circolare n.13/2010 che aveva aggiornato la precedente circolare vigente al momento della segnalazione in questione, cancellata nel 2008;
( ii ) l’inesistenza del credito della Banca era stata affermata sulla base del mero difetto di prova di esso, per non aver prodotto la banca tutti gli estratti conto, impedendo così al CTU, in quel giudizio, la ricostruzione del saldo , tant’è che, secondo quanto risultante dalla sentenza di Viterbo, il d.i. era stato revocato «per l’impossibilità di accertare la posizione debitoria dello stesso» e che nel medesimo atto di citazione il cliente aveva «riconosciuto l’esistenza di un passivo sebbene contestato e di importo inferiore»;
( iii ). la stessa sentenza in discorso, proprio perché fondata sul difetto di prova del credito, e non sul l’accertamento in positivo della sua insussistenza, aveva fatta salva la facoltà della Banca di «azionare una nuova pretesa» «ove riesca ad assolvere all’onere della prova su di essa gravante».
All’esito di detta valutazione del quadro istruttorio, l a Corte ha concluso per la presenza di elementi tali da consentire di accertare l’esistenza comunque di un passivo, anche se non determinato nella sua entità nel giudicato di opposizione ai d.i. revocati, che giustificava la segnalazione.
A fronte di ciò le censure evocano più volte la violazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c. sulla correttezza della motivazione trascurando che la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Cass., S.U., n. 8053/2014; Cass., n. 9253/2017; Cass., n. 27415/2018). Vizi motivazionali che, nel caso di specie, sono evidentemente assenti, non ricorrendo alcuna delle quattro ipotesi indicate.
È indubitabile, allora, che, sotto la prospettazione del vizio motivazionale, così come delle plurime violazioni di legge, formulate non già in relazione al significato ed alla portata applicativa delle norme richiamate in rubrica, bensì della concreta decisione adottata dal giudice, si pretenda in sede di legittimità una
diversa valutazione degli esiti istruttori del giudizio e non il mero controllo della sussistenza e coerenza delle argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata. Difattia denuncia di violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., anche formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr., anche Cass., n. 15235/2022; Cass., n. 9352/2022; Cass., n. 6000/2022; Cass., n. 25915/2021), «non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative» (letteralmente Cass., n. 15235/2022; cfr. Cass., S.U., n. 34476/2019; Cass., n. 8758/ 2017; Cass., n. 32026/2021; Cass., n. 9352/2022; Cass. n. 9021/2023; Cass. n. 6073/2023; Cass. n. 2415/ 2023; ancora recentemente cfr., pure nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 9014/2023; Cass. n. 7993/2023; Cass. n. 4784/2023; Cass. n. 1015/2023).
10. -Con il quinto motivo: Violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c.,1175 e 1375 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.; nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per illogicità della motivazione e violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.; motivazione apparente, perplessa e con contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, in relazione all’art. 3 60, comma 1, n.5, c.p.c. La Corte ha errato quando ha ritenuto rilevante la circostanza che al momento della segnalazione non vi era ancora alcun accertamento giudiziale sull’esistenza o meno dell’esposizione debitoria. La Banca quando effettua la segnalazione deve fare accertamenti concreti sulla esposizione debitoria segnalata e deve essere
necessariamente chiamata a rispondere dei danni se ha cagionato un danno al soggetto indebitamente segnalato. La Corte ha anche erroneamente ritenuto che la segnalazione fosse divenuta illegittima con decorrenza dal momento in cui si è formato il giudicato esterno che ha dichiarato l’inesistenza della posizione debitoria del ricorrente
10.1 -Il motivo è assorbito dall’inammissibilità dei primi quattro mezzi, con conseguente consolidarsi della ratio decidendi posta a sostegno della decisione impugnata.
-Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte, dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 5.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima