Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20572 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20572 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
Oggetto
R.G.N. 12360/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 12/06/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 12360-2021 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 601/2020 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 29/10/2020 R.G.N. 753/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte.
RILEVATO che
1.La Corte di appello di Firenze, in riforma della decisione di primo grado, ha revocato il decreto ingiuntivo ottenuto da NOME COGNOME per l’importo di € 80.887,28 nei confronti di Poste Italiane s.p.a. e condannato la lavoratrice a restituire quanto eventualmente percepito in esecuzione del provvedimento monitorio,
La pretesa azionata in INDIRIZZO era fondata su precedente sentenza, confermata in appello, con la quale era stato dichiarato illegittimo, con le conseguenze ex art. 18 l. n. 300/1970 nel testo all’epoca vigente, il licenziamento intimato in data 16.11.2011 alla RAGIONE_SOCIALE dalla società RAGIONE_SOCIALE le somme richieste concernevano il trattamento economico dal licenziamento al 30.11.2015, detratto quanto già percepito in relazione a tale periodo.
La Corte di merito ha ritenuto, in sintesi, che il giudizio presupposto, avente ad oggetto la illegittimità del licenziamento intimato non avesse accertato con efficacia di giudicato – come invece sostenuto dalla COGNOME – l’insussistenza di fatti estintivi del rapporto di lavoro ed in particolare dell’estinzione
connessa al secondo licenziamento del giugno 2012, non impugnato dalla lavoratrice; ciò in quanto il secondo licenziamento, fondato su diversa causa o motivo, era del tutto autonomo dal primo e la verifica dell’effetto estintivo connesso al secondo recesso datoriale non costituiva il presupposto logico- giuridico ineludibile dell’accertamento giudiziale relativo al licenziamento del novembre 2011; tanto escludeva la configurabilità di un giudicato implicito sul punto con la conseguenza che il diritto della lavoratrice al risarcimento del danno doveva essere contenuto limitatamente al periodo di persistenza giuridica del rapporto e quindi al periodo intercorso fra il primo ed il secondo licenziamento divenuto definitivo per mancata impugnazione.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di un unico motivo; la parte intimata ha resistito con controricorso.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380-bis .1. cod. proc. civ..
CONSIDERATO che
Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. censurando la sentenza impugnata per violazione del giudicato implicito scaturente dalla errata interpretazione del giudicato esterno rappresentato dalla sentenza n. 1333/2013 del Tribunale di Firenze, così come confermata dalla sentenza n. 69/2015 della Corte di appello; sostiene, infatti, che la corretta interpretazione del comando giudiziale reso nel procedimento di impugnativa del licenziamento del novembre 2011 avrebbe dovuto indurre la Corte di merito a rilevare il giudicato implicito sulla prosecuzione, de iure, al momento della sentenza, del rapporto di lavoro con Poste Italiane, rappresentando tale prosecuzione l’imprescindibile presupposto logico giuridico della condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro adottata in quel giudizio e considerato che il giudicato copre il dedotto ed il deducibile; in altri termini, la condanna alla reintegrazione comportava l’accertamento, fino alla data della sentenza, dell’assenza di fatti estintivi del rapporto di lavoro, e quindi, in particolare, dell’effetto estintivo connesso al secondo licenziamento, la cui esistenza era stata allegata da Poste nei propri scritti difensivi, pur senza che venisse formulata un’eccezione di estinzione del rapporto.
2. Il motivo è infondato.
2.1. E’ noto che nella corrente interpretazione giurisprudenziale all’espressione “giudicato implicito” si ricorre per designare quella particolare efficacia della cosa giudicata, che copre sia il dedotto che il deducibile, non soltanto cioè le questioni espressamente fatte valere nel giudizio, in via di azione o di eccezione, ma anche quelle, in concreto non dedotte, costituenti tuttavia presupposto logico essenziale e indefettibile della decisione; il giudicato implicito richiede, per la sua formazione, che tra la questione decisa in modo espresso e quella che si deduce essere stata risolta implicitamente sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, tale da determinare l’assoluta inutilità di una decisione sulla seconda questione e, inoltre, che la questione decisa in modo espresso non sia stata impugnata ( Cass. 7115/2020).
Il giudicato non si estende quindi ad ogni proposizione contenuta in una sentenza con carattere di semplice affermazione incidentale ma esige che l’accertamento contenuto nella motivazione della sentenza attenga a questioni che ne costituiscono necessaria premessa ovvero presupposto logico indefettibile (Cass. 16824/ 2013); tale rapporto viene meno quando la questione che si vuole implicitamente risolta abbia
una propria autonomia ed individualità, per la diversità dei presupposti di fatto e di diritto (Cass. 10252/2002).
2.2. Nello specifico, è da escludere che la statuizione di reintegrazione nel posto di lavoro disposta in sede giudiziale quale conseguenza della accertata illegittimità del primo licenziamento abbia comportato, come prospetta parte ricorrente, quale suo indissolubile presupposto logico-giuridico, l’accertamento della giuridica persistenza del rapporto di lavoro e quindi della insussistenza di fatti idonei a determinarne l’estinzione; l’ordine di reintegrazione del lavoratore subordinato illegittimamente licenziato, emesso dal giudice ex art. 18 legge n. 300/70, costituisce, come ammette anche parte ricorrente, una condanna (generica) del datore di lavoro all’adempimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro (e quindi ad adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, rappresentata, senza identificarsi con essa, dalla riattivazione del normale presupposto dell’esecuzione del rapporto) ed altresì contiene l’accertamento dell’inidoneità del licenziamento ad estinguere il rapporto stesso al momento in cui è stato intimato. Tale accertamento però non si estende anche ad intervalli di tempo successivi, sicché l’ordine di reintegrazione e la condanna al pagamento delle retribuzioni per il periodo successivo al recesso datoriale restano condizionati alla permanenza del
rapporto dopo il licenziamento e alla possibile incidenza di ulteriori (e successivi) fatti o atti idonei a determinare la risoluzione del rapporto stesso.
Consegue che, ove sia intervenuto nelle more del giudizio e prima dell’ordine di reintegrazione, un secondo licenziamento intimato per ragioni diverse e per fatti successivi, la cui legittimità risulti successivamente accertata con sentenza passata in giudicato, il lavoratore non può far valere il giudicato formatosi in ordine all’illegittimità del primo licenziamento, assumendo che l’ordine di reintegrazione (emesso dopo il secondo licenziamento) contenga anche l’accertamento dell’attualità del rapporto e quindi travolga anche l’accertamento (definitivo in ragione del secondo giudicato) dell’idoneità del secondo licenziamento a risolvere il rapporto (Cass. 10628/2003, 10515/1997).
E’ inoltre da osservare che la natura di rapporto di durata del rapporto di lavoro rende intrinseco al comando giudiziale di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 18 legge n. 300/1970 che esso sia condizionato alla possibilità giuridica di riammissione in servizio all’atto della sua esecuzione e quindi, per quel che qui rileva, alla giuridica persistenza del rapporto medesimo; per altro profilo, risulta connaturale alla
natura di statuizione di condanna generica della reintegrazione nel posto di lavoro disposta ai sensi dell’art. 18 I. n. 300 del 1970 St. lav., che la determinazione successiva del quantum sia verificata nell’attualità, alla luce della concreta situazione esistente al momento della relativa richiesta.
Le considerazioni che precedono escludono che l’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro conseguente all’accertamento giudiziale della illegittimità del primo licenziamento, implichi l’imprescindibile accertamento della giuridica persistenza del rapporto al momento della emanazione della decisione, ricostruzione che è alla base della prospettazione fatta valere dall’odierna ricorrente (cfr., in questi termini, Cass. n. 27787 del 2021).
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.
6.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
6.2. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per i ricorsi, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13., se dovuto
Così deciso nella Adunanza camerale del 12 giugno 2025.
La Presidente
NOME COGNOME