Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8015 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8015 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24682/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME; -ricorrente- contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 1736/2019 depositata il 18/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2023 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
La presente controversia trae origine da un decreto ingiuntivo con cui NOME COGNOME otteneva il pagamento della somma di Lire 31.666.666 da parte del fratello NOME nell’ambito della definizione di rapporti patrimoniali attinente alla società RAGIONE_SOCIALE. Il credito trovava fondamento in una scrittura privata con cui NOME COGNOME, nell’ambito della regolamentazione de i rapporti patrimoniali scaturenti dalla gestione dell’impresa, dichiarava di essere debitore nei confronti del fratello NOME.
NOME COGNOME proponeva opposizione disconoscendo la sottoscrizione della scrittura ricognitiva e contestandone il contenuto: a) per non aver mai avuto debiti nei confronti del fratello NOME; b) rilevando anomalie formali della scrittura perché priva di data, apparentemente sottoscritta anche dal fratello NOME; c) perché il testo scritto iniziava da metà foglio.
Nel corso del giudizio, a causa di un furto avvenuto nei locali del Tribunale, il fascicolo veniva smarrito e le parti vanivano autorizzate alla ricostruzione dello stesso.
Il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 198/2014, dopo aver revocato l’ordinanza di ammissione della RAGIONE_SOCIALE.T.U grafologica, accoglieva l’opposizione annullando il decreto ingiuntivo perché non era stata depositata la scrittura originale necessaria per poter procedere alla verificazione ex art. 216 c.p.c., non essendo possibile effettuarla sulla copia versata in atti.
La Corte di Appello di Salerno, con la sentenza n. 1736/2019, del 18 dicembre 2019, espletata la CTU grafologica, confermava la sentenza impugnata.
Avverso detta pronuncia NOME COGNOME propone ricorso per Cassazione, sulla base di sei motivi.
3.1. Resiste con controricorso NOME COGNOME. Ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
Considerato che:
4.1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo (risultanze della Ctu grafologica, rilevante ex art. 360 n. 5 c.p.c.).
Il giudice d’appello ha disatteso la c.t.u. omettendo di considerare che il consulente ha affermato che il confronto tra le firme del periziando pone delle analogie tali da ricondurre la firma oggetto di verificazione alla mano del debitore; per tale via la Corte ha disatteso le conclusioni del c.t.u. che, nel rispondere al quesito sottopostogli, aveva affermato che la firma in verifica era con alta probabilità attribuibile alla mano del debitore.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (sulla sottrazione del documento in originale), rilevante ex art. 360 n. 5 c.p.c.. La Corte d’Appello ha affermato che l’esame calligrafico potesse svolgersi soltanto sull’originale della scrittura, omettendo di considerare che, nel caso di specie, il suddetto atto era stato depositato in originale dall’appellante il quale ne ha in seguito prodotto copia solo dopo che il fascicolo era stato sottratto da ignoti presso la cancelleria del Tribunale e ne era stata autorizzata la ricostruzione; la Corte d’Appello si sarebbe contraddetta avendo affermato l’impossibilità di utilizzo della copia dopo aver ammesso la c.t.u. al fine di verificare la firma apposta sulla copia medesima, attesa l’incolpevole indisponibilità dell’originale.
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole violazione degli artt. 115, 113 c.p.c., 72 e 74 disp. Att. C.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c..
La Corte d’appello ha errato nel ritenere che la perizia grafologica, da essa disposta, potesse concludersi con un giudizio attendibile
solo ove svolta sull’originale dell’atto. Il giudice di merito, in particolare, non ha considerato che, a seguito dell’autorizzazione da parte del Tribunale alla ricostruzione del fascicolo ed al deposito in copia della scrittura smarrita dalla cancelleria, quest’ultima ha acquistato lo stesso valore dell’originale mancante costituente oggetto di contestazione solo in ordine alla paternità della firma e non sul contenuto della scrittura in calce alla quale essa è stata posta.
4.4. Con il quarto, quinto e sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112, 115, 194 e 195 c.p.c., c.p.c., e degli artt. 2702 c.c. e 216 e 221 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 4
Sostiene il ricorrente che la nullità della c.t.u. (e di conseguenza della sentenza che l’ha recepita) nella parte in cui il consulente, nell’affermare che la natura in copia del documento non permettesse di escludere la contraffazione del contenuto intesa quale teorica possibilità di copia della firma in calce a scrittura diversa da quella ove essa fosse stata in origine apposta, è andato oltre il quesito posto dalla corte, limitato alla verifica della paternità della sottoscrizione. In tal modo il c.t.u. si è sostituito all’appellato , il quale non aveva eccepito di aver apposto la firma su una scrittura avente tenore diverso da quello oggetto di causa, limitandosi, invece, a disconoscere la firma apposta in calce alla scrittura.
Il giudice dell’appello a fronte dell’esito positivo della verificazione, ha ritenuto rilevante la mera affermazione della possibilità di falsificazione del documento (non della firma) in difetto di eccezioni del debitore.
I primi due motivi sono inammissibili ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.
Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n.
5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5947/2023; Cass. 7724/2022).
Ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice.
5.1. I motivi dal terzo al sesto sono infondati.
Il ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza. Il giudice dell’appello ha ritenuto che non è provata la riferibilità della sottoscrizione al NOME COGNOME sulla base di due principi.
Il primo. Ha ritenuto che solo sull’originale dell’atto , che nel caso di specie è andato ‘smarrito’ , possono rinvenirsi gli elementi che consentono di risalire con elevato grado di probabilità al reale autore della sottoscrizione (così Cass. n. 711/2018).
Il secondo. Il giudice ha ritenuto irrilevante la prova orale. L’avvenuto disconoscimento della scrittura privata non preclude alla parte interessata di provare diversamente l’esistenza del diritto fatto valere, e, quindi, anche attraverso prova testimoniale, salvo che la legge richieda la forma scritta, “ad substabtiam” o “ad probationem”, del relativo fatto costitutivo (Cass. n. 24390/2006). Nel caso di specie la prova orale è stata ritenuta non decisiva.
Per il resto le censure sollevate mirano esclusivamente ad accreditare una ricostruzione della vicenda e, soprattutto, un apprezzamento delle prove raccolte del tutto divergente da quello compiuto dai giudici di merito.
E’ noto, infatti, che nel giudizio di legittimità non sono proponibili censure dirette a provocare una nuova valutazione delle risultanze processuali, diversa da quella espressa dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti.
6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 2.000 oltre 200 per esborsi, accessori di legge e spese generali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza