Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8845 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8845 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22630/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e COGNOME NOME, presso l ‘ indirizzo di posta elettronica certificata dei quali è domiciliata per legge
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME NOME, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliato per legge
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D ‘ APPELLO di RAGIONE_SOCIALE n. 3230/2020 depositata il 06/07/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2024 dal Consigliere COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, nel giudizio n. 7333/2017, pronunciava ordinanza con la quale (compensate le spese) dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in relazione ad una domanda di pagamento per euro 158.703,26 ed accessori, proposta dal RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE (di seguito rispettivamente il RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE), concernente l’illegittima detrazione tariffaria operata in base alla legge finanziaria 2007, che prevedeva uno sconto tariffario (del 2 o del 20% a seconda delle prestazioni erogate) per il triennio 2007/2009 e – con domanda subordinata ex art. 2041 c.c. – nonostante le prestazioni di specialistica ambulatoriale fossero state rese successivamente al detto triennio.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 3230/2020, affermata la giurisdizione del giudice ordinario: da un lato, accogliendo l’impugnazione principale proposta avverso detta ordinanza dal RAGIONE_SOCIALE, condannava l’RAGIONE_SOCIALE a corrispondere al RAGIONE_SOCIALE l’importo di euro 158,703,26, oltre interessi di cui al d.lgs. n. 231/2002, dalla domanda al soddisfo; e, dall’altro, rigettando l’appello incidentale proposto dall’RAGIONE_SOCIALE, disattendeva sia l’eccezione in merito al difetto di legittimazione passiva sia l’eccezione in ordine alla mancata pronuncia del Tribunale sull’istanza di mutamento del rito.
L’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte territoriale.
Ha resistito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE.
Per l’odierna adunanza camerale il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, mentre i Difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria a sostegno delle rispettive ragioni.
Il Collegio si è riservato il deposito della motivazione della decisione entro il termine di sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
LRAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE articola in ricorso cinque motivi.
Con il primo motivo, l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario in luogo del giudice amministrativo.
Sostiene che la corte di merito, tanto affermando, non ha considerato che la convenzione di accreditamento della Struttura erogatrice di prestazioni di specialistica ambulatoriale, rese per conto del RAGIONE_SOCIALE, si inserisce nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica (facendo seguito ad un provvedimento di natura autoritativa) che, a sua volta, deve mantenersi nel perimetro delle scelte programmatorie a monte effettuate in merito allo svolgimento dell’attività sanitaria, ivi inclusa la decurtazione tariffaria lamentata da controparte.
Osserva che, di conseguenza, la controversia, pur formalmente rivolta ad ottenere il pagamento di corrispettivi asseritamente spettanti, investe, nella sostanza, la valenza dei budget assegnati e, in quest’ambito, le determinazioni dell’Amministrazione regionale (unico soggetto passivamente legittimato nella specie), ex art. 32, co. 8, L. n. 449/97, conseguenti alla sussistenza di un tetto massimo di spesa espresso da ultimo con il DCA NUMERO_DOCUMENTO n.° NUMERO_DOCUMENTO del 4 luglio 2013 – che rientra, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c), cod. proc. amm., nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto riguarda l’esplicazione del potere autoritativo della stessa in materia di fissazione dei citati tetti di spesa sanitaria.
Si duole inoltre che la corte territoriale abbia, di fatto, disapplicato ex art. 5 L. n. 2258/1865, Allegato ‘E’, testi normativi mai preventivamente rimossi dall’ordinamento positivo. Precisamente: a) l’art. 1, comma 796, lett. ‘o’, L. n. 296/2016 (che richiama l’art. 170, quarto periodo, L. n. 311/2004; b) il D.M. Salute del 18.09.2012; c) il DCA NUMERO_DOCUMENTO n.° NUMERO_DOCUMENTO/2013.
Il motivo, inammissibile nella parte in cui opera un’impropria commistione tra una censura attinente la giurisdizione ed altra di violazione di legge quanto al merito della controversia, è, comunque, nel merito infondato.
Invero, le Sezioni Unite di questa Corte con la recente sentenza n 11680/2023 hanno affermato in subiecta materia la giurisdizione del giudice ordinario sulla base delle seguenti argomentazioni, alle quali il Collegio fa integrale richiamo:
<<Occorre, anzitutto, rammentare che, secondo consolidato orientamento di questa Corte (Cass., Sez. Un., n. 603/2005), posto che i rapporti fra le RAGIONE_SOCIALE e le strutture private, anche a seguito del passaggio dal regime di convenzionamento al regime dell ' accreditamento, hanno conservato immutata la propria natura di concessione di pubblico servizio, le controversie ad essi relative appartengano, in forza dell ' art. 133, comma 1, lett. c), d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo, ad eccezione di ' quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi ' che restano invece soggette alla giurisdizione del giudice ordinario.
<<Sono tali le controversie contrassegnate da un contenuto meramente patrimoniale, attinente al rapporto interno tra la pubblica amministrazione concedente e il concessionario del bene o del servizio pubblico, contenuto in ordine al quale la contrapposizione tra le parti si presta ad essere schematizzata secondo il binomio «obbligopretesa», senza che assuma rilievo un potere d ' intervento riservato alla pubblica amministrazione per la tutela d ' interessi generali. Al contrario,
laddove la controversia esuli da tali limiti, coinvolgendo la verifica dell ' azione autoritativa della pubblica amministrazione sull ' intera economia del rapporto concessorio, il conflitto tra pubblica amministrazione e concessionario si configura secondo il binomio «potere-interesse» e viene attratto nella sfera della competenza giurisdizionale del giudice amministrativo (Cass., Sez. Un., n. 10149/2012).
<<Si è inoltre precisato, sulla scorta della ripartizione introdotta dall ' art.133 d.lgs. 104/2010, che le controversie concernenti indennità, canoni e altri corrispettivi rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario ove non coinvolgano l ' accertamento dell ' esistenza o del contenuto della concessione, né la verifica dell ' azione autoritativa della pubblica amministrazione sul rapporto concessorio sottostante, ovvero investano l ' esercizio di poteri discrezionali -valutativi nella determinazione delle indennità o canoni stessi, involgendo, quindi, l ' accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-RAGIONE_SOCIALEli sia sull ' «an», sia sul «quantum» del corrispettivo (Cass., Sez. Un., n. 411/2007).
<<Ora, con riguardo a domanda, sempre in tema di attività sanitaria esercitata in regime di c.d. accreditamento, di condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento del corrispettivo per le prestazioni eccedenti il limite di spesa, proposta dalla società accreditata sul presupposto dell ' annullamento in via giurisdizionale dei provvedimenti amministrativi che avevano stabilito i ccdd. ' tetti di spesa ' e della conseguente invalidità, inefficacia o inoperatività parziale dell ' accordo stipulato tra le parti limitatamente alle clausole che prevedevano la non remunerabilità delle predette prestazioni, queste Sezioni Unite hanno chiarito che la controversia «rientra, ai sensi dell ' art. 133, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 104 del 2010, nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di controversia il cui "petitum" sostanziale investe unicamente la verifica dell ' esatto adempimento di una
obbligazione correlata ad una pretesa del privato riconducibile nell ' alveo dei diritti soggettivi, senza coinvolgere il controllo di legittimit à dell ' azione autoritativa della RAGIONE_SOCIALE sul rapporto concessorio» (Cass., Sez. Un., n. 26200/2019).
<>.
In definitiva, avuto riguardo al disposto di cui all’art. 374 primo comma secondo periodo c.p.c., il Collegio scrutina il motivo di ricorso in esame e, avuto riguardo alle condivisibili argomentazioni svolte dalle Sezioni Unite e sopra richiamate, lo dichiara infondato.
Con il secondo motivo l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia <> nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto la legittimazione passiva di essa ricorrente in ordine alla debenza dei corrispettivi richiesti per le prestazioni svolte da controparte in ambito RAGIONE_SOCIALE, quale soggetto accreditato con la Regione Lazio.
In senso contrario osserva che, a mente dell’art. 1, co. 10, D.L. 27 agosto 1993, n. 325, conv. con modiff. in L. 27 ottobre 1993, n. 423, tutti i soggetti che erogano prestazioni sanitarie in regime di convenzione con la Regione (come per l’appunto nel caso di specie il RAGIONE_SOCIALE) debbono avanzare le proprie pretese nei confronti dell’ente ‘incaricato del pagamento’, da intendersi come ente finanziatore delle aziende sanitarie. Ciò in quanto l’autorizzazione della prestazione sanitaria costituisce (non la fonte dell’obbligazione dell’unità che l’autorizza, ma) la condizione del pagamento da parte
dell’ente obbligato per legge, nel qual caso la Regione Lazio ovvero il Presidente della Regione Lazio.
Sostiene che soggetto legittimato passivo per le obbligazioni di pagamento di prestazioni rese da soggetti convenzionati con il SRAGIONE_SOCIALES.N. e autorizzate dall’RAGIONE_SOCIALE sanitaria locale, va individuato nella Regione Lazio (alla luce del combinato disposto del D.L. 27 agosto 1993, n. 324, n. 1, comma 10, conv., con modiff., in L. 27 ottobre 1993, n. 423, D.Lgs. n. 592 del 1992, art. 2 e L.R. n. 18 del 1994, art. 2, comma 2, lett. c), ovvero nella persona del Presidente della Regione Lazio, nella qualità di Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro dai disavanzi sanitari della Regione Lazio, ex DPCM 21.03.13.
Aggiunge che l’obbligo di individuazione del soggetto passivamente legittimato grava sul creditore che agisce in giudizio per la soddisfazione del proprio credito (costituendone condizione dell’azione) e che, nel caso di specie, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territoriale, tale onere probatorio non risulta essere stato assolto da controparte.
Il motivo non è fondato.
In proposito va ribadito il principio che, tenuto conto anche della concreta evoluzione fatta registrare dalla legislazione in materia a seguito dell’introduzione ad opera del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, della nozione d’integrazione socio-sanitaria -comprendente tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione – ogni potere d’intervento diretto in materia di assistenza socio-sanitaria compete alle RAGIONE_SOCIALE, ivi compresa l’instaurazione di rapporti contrattuali con le strutture pubbliche e private chiamate a rendere le relative prestazioni in regime di accreditamento, mentre alla Regione sono riservati esclusivamente
compiti di programmazione, coordinamento e vigilanza, tra i quali è compresa anche la ripartizione tra le A.S.P. delle risorse economiche necessarie per l’effettuazione dei predetti interventi (Cass., 28 febbraio 2019, n. 5982).
Tale conclusione trova conferma, come puntualizzato di recente da questa Corte (Cass. n. 18604/2020), anche in relazione ai principi affermati in merito alle fattispecie dei corrispettivi dovuti alle farmacie per le prestazioni rese in favore degli assistiti dal Servizio RAGIONE_SOCIALE e alla successione delle A.S.L. nei rapporti già facenti capo alle vecchie U.S.L., dove <<a seguito della soppressione delle Usl e dell'istituzione delle RAGIONE_SOCIALE, disposta dal 9 d.lgs. n. 502 del 1992, il legislatore ha imposto alle regioni il divieto di far gravare sulle neocostituite RAGIONE_SOCIALE i debiti delle gestioni pregresse; donde, per vincere la conseguente situazione di incertezza riguardo all'individuazione del soggetto tenuto a rispondere dei debiti suddetti, la stessa legge ha poi individuato giustappunto nelle regioni il soggetto obbligato, ritenendo con ciò le regioni come aventi causa ex lege delle disciolte Usl (art. 2, comma quattordicesimo, della legge 28 dicembre 1995, n. 549) mediante la costituzione di apposite gestioni a stralcio; gestioni poi trasformate in gestioni liquidatorie, affidate ai direttori generali delle nuove aziende e facenti capo, in ultima analisi, proprio alle regioni ( ex aliis Cass. n. 1532-10, Cass. n. 20412- 06); se ne deduce che una simile consequenzialità di ordine patrimoniale ha postulato (e postula in casi analoghi) un esplicito intervento normativo, che nel caso concreto manca del tutto».
Va, quindi, data continuità al principio statuito da questa Corte, nella richiamata sentenza n. 18604 del 2020, secondo cui, al di fuori dei casi in cui sia la stessa legge a prevedere l'instaurazione di rapporti con i terzi, in virtù dell'inerenza dell'atto all'esercizio di funzioni proprie o all'intervento diretto nelle vicende di enti dipendenti, la regione rimane normalmente estranea alla concreta gestione dei servizi socio-
sanitari, essendo titolare di competenze riguardanti esclusivamente la sfera della programmazione, del coordinamento e della vigilanza sugli enti operanti nel settore; con la conseguenza che, in mancanza di un'espressa disposizione di legge che lo consenta, non sono a essa riferibili in via diretta gli effetti degli atti posti in essere dai predetti enti nell'esercizio delle rispettive funzioni; pertanto, in mancanza di una disposizione in tal senso rintracciabile, in base all'art. 13 della legge regionale n. 24 del 2008 (che attribuisce alle RAGIONE_SOCIALE la competenza in ordine alla stipulazione dei contratti con le strutture accreditate), i contratti di cui nella specie si discute non svolgono alcun effetto nella sfera giuridica e patrimoniale della regione (Cass., 7 settembre 2020, n. 18604).
Tale posizione è stata di recente ribadita da Cas. n. 13037/2022, che ha dato atto dell'esistenza di un'unica decisione dissonante (Cass. n. 11258/2020), <>.
Il Collegio fa proprie tali ultime ragioni di non condivisione del precedente dissonante del 2020, del resto rimasto isolato, non offrendo il ricorso convincenti argomenti per discostarsi da quanto da ultimo puntualizzato; sicché, dando applicazione ai principi ribaditi da Cass. 13037/2022 al caso di specie, nel quale manca un qualsivoglia provvedimento indicante l’asserita legittimazione passiva della Regione
Lazio, risulta corretta la pronuncia della corte territoriale che ha individuato la legittimazione passiva in capo all’RAGIONE_SOCIALE, sulla scorta, del resto, degli accordi contrattuali come in concreto intercorsi, posti alla base della domanda di inadempimento contrattuale azionata dalla struttura, sottoscritti unicamente dal RAGIONE_SOCIALE e dall’RAGIONE_SOCIALE.
4. Con il terzo motivo l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia <> nella parte in cui la corte territoriale non ha dato conto della circostanza per cui la RAGIONE_SOCIALE abbia interesse a pretendere la corresponsione delle somme richieste. Ciò in ragione delle pattuizioni contenute negli accordi stipulati tra le parti ed aventi ad oggetto il rapporto obbligatorio dedotto in giudizio che hanno determinato la cessazione della materia del contendere (in ragione della ‘transazione necessitata’, intervenuta tra le parti con cui la Struttura accreditata avversaria ha accettato la pretesa ‘ultrattività’ delle norme nazionali in contestazione, ivi inclusa la previsione dell’art. 1, c. 796, lett. o, L. 27.12.2006, n. 296 per il periodo 2010/2013).
Si duole che la corte territoriale, benché richiesta, non abbia reso alcuna pronuncia sul punto, incorrendo nel vizio denunciato.
Con il quarto motivo, correlato a quello precedente, l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale non ha esaminato le pattuizioni intercorse tra le parti con gli accordi 2010-2013, in base alle quali la RAGIONE_SOCIALE aveva accettato l”ultrattività’ delle norme nazionali, ivi inclusa la previsione dell’art. 1, c. 796, lett. o), L. 27.12.2006, n. 296.
Osserva che la corte territoriale, se avesse esaminato dette pattuizioni – come essa RAGIONE_SOCIALE ricorrente aveva richiesto in sede di comparsa di costituzione e risposta sia nel giudizio di primo grado che in quello di appello – avrebbe dichiarato cessata la materia del contendere tra le parti.
I motivi in esame – che, in quanto connessi, si trattano congiuntamente – non sono fondati, sebbene occorra adeguatamente integrare sul punto la motivazione: risultando conforme a diritto la conclusione cui al riguardo perviene la Corte territoriale.
Invero, contrariamente a quanto sostiene l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente, la corte territoriale non ha omesso di esaminare i contratti ed il loro contenuto, in quanto: a) è proprio sulla base dei contratti, non contenenti alcuna clausola riportante l’applicazione dello sconto, che la domanda di condanna dell’RAGIONE_SOCIALE per inadempimento contrattuale è stata accolta; b) i contratti sono stati richiamati in sentenza con riguardo alla decisione sulla giurisdizione, a quella sulla legittimazione passiva ed anche, implicitamente, laddove la corte territoriale ha fatto riferimento alla mancata prova da parte dell’RAGIONE_SOCIALE circa un presunto sforamento del budget .
Occorre comunque aggiungere che le disposizioni contrattuali, di cui parte ricorrente lamenta il mancato esame, non possono qualificarsi decisive ai fini della decisione (nel senso che, se esaminate, avrebbero portato con certezza ad una decisione favorevole al ricorrente, rimasto soccombente nel giudizio di merito: Cass. n. 17536/2020). Invero, dette clausole fanno riferimento al diverso argomento del budget , ma nulla dicono in ordine all’applicazione dello sconto, con la conseguenza non può affermarsi che la sottoscrizione dei contratti avrebbe comportato anche l’ultrattività dello sconto. Pertanto, il loro esame, ancorché pretermesso, non avrebbe comunque modificato il fatto su cui la Corte d’appello ha fondato la decisione, ovverosia l’assenza nei contratti di clausole indicanti l’applicazione dello sconto.
Infine, occorre rilevare che è indubbio l’interesse ad agire del RAGIONE_SOCIALE, in quanto lo stesso ha agito asserendo di non aver ricevuto l’integrale remunerazione dell’attività erogata negli anni 2010-primo semestre 2013, per comportamento dell’RAGIONE_SOCIALE (che aveva applicato lo sconto oltre i limiti della sua vigenza e decurtato le tariffe in assenza di una previsione pattizia in tal senso), della quale ha chiesto la condanna per inadempimento contrattuale. D’altra parte, l’RAGIONE_SOCIALE ha sostenuto che il RAGIONE_SOCIALE, sottoscrivendo gli accordi 2010-2013, ha accettato la pretesa ultrattività delle norme nazionali (inclusa la previsione dell’art. 1 comma 796, lettera o della legge n. 296/2006) senza neppure riportare il testo della clausola decisiva, di cui sarebbe stato omesso l’esame. La corte territoriale, nell’accogliere la domanda di inadempimento contrattuale dell’RAGIONE_SOCIALE, ha implicitamente escluso che le parti avessero concordato la ultrattività delle norme nazionali. Tale interpretazione, benché implicita, non è implausibile, sicché resta qui incensurabile.
Con il quinto motivo l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto, in aderenza con il principio espresso da Cass. n. 10582/2018, che lo sconto che le strutture private accreditate (ai fini della remunerazione delle prestazioni rese per conto del S.S.N.) devono praticare ai sensi dell’art. 1, co. 796, lett. o), della L. n. 296 del 2006, è limitato al triennio 2007 – 2009.
Osserva tuttavia che una più approfondita esegesi della norma, nonché la interpretazione coordinata della stessa con le altre disposizioni, conduca a ritenere che la ‘scontistica’, di cui si discute, abbia portata, sì temporanea (in aderenza con quanto prescritto dalla Corte costituzionale con sent. n. 94/2009 e ord. n. 243/2010), ma oltre il triennio 2007-2009, e precisamente sino al 29.01.2013 (data di
entrata in vigore del D.M. 18.12.2012, che ha introdotto le nuove tariffe e che ha espressamente richiamato, nelle premesse, lo sconto di cui all’art. 1, co. 796, lett. o) della L. 296/2006, assunto come vigente a quella data), e che fosse da assorbire alle nuove tariffe in esso contenute).
Il motivo non è fondato.
Come di recente ribadito da questa Corte (Cass. n. 10311/2023, n. 13367/2018 e n. 25845/2017), con orientamento cui va assicurata continuità per l’intrinseca coerenza tra le premesse e le conclusioni e la piena condivisibilità dell’impostazione ermeneutica, la disciplina dettata dall’art. 1, comma 796, lett. o) della legge n. 296/2006 va interpretata nel senso che la potestà tariffaria delle regioni si esercita nell’ambito delle tariffe massime fissate dell’autorità ministeriale, il cui superamento comporta che l’eventuale eccedenza resta a carico dei bilanci regionali, con la conseguenza che lo sconto trova applicazione sulla tariffa fissata in concreto dalla regione nell’ambito della soglia massima determinata dal decreto ministeriale.
Ed è stato altresì precisato (cfr. Cass. n. 17014/2022; n. 27366 e n. 3676/2020; n. 10582/2018) che la predetta disposizione non può trovare applicazione oltre il triennio 2007-2009, rilevando che:
la sua vigenza non ha costituito oggetto di proroga da parte del d.l. n.248/2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 31/2008;
b) il legislatore con l’art. 79 del d.l. n. 112/2008, convertito con modificazioni dalla legge n.133/2008, ha introdotto l’obbligo di adeguamento delle tariffe secondo i costi standard delle prestazioni, in tal modo manifestando la volontà di superare definitivamente la disciplina transitoria e sommaria della tariffazione forfetaria, in quanto inadeguata a garantire una efficiente ed imparziale allocazione delle risorse.
D’altra parte, il carattere transitorio della disciplina in materia di sconti tariffari, risultante dall’art. 1, comma 796, lett. o), 1. 296/2006, trova conferma in quanto statuito successivamente dal Giudice delle leggi, che, nel confutare le riserve esternate in ordine alla ragionevolezza della norma (cfr. Corte cost. n. 94/2009 e n. 243/2010), ha fatto notare come nel relativo scrutinio «assuma rilievo il carattere transitorio della norma», senza rimarcare alcun elemento argomentativo che possa porsi a fondamento della tesi per cui la transitorietà della norma debba ritenersi prorogata sine die , sino, cioè, ad un termine altrimenti imprecisato, piuttosto che essere ancorata all’ incipit di essa che ne fissa chiaramente la durata nell’arco di un triennio.
A fronte di tale univoco e consolidato orientamento, il ricorso non offre nuovi elementi validi per un suo eventuale mutamento, in quanto riporta argomentazioni già vagliate ed analizzate da questa Corte nell’ambito degli altri giudizi aventi ad oggetto l’interpretazione dell’art. 1, comma 796, lettera o), della Legge n. 296 del 2006.
In definitiva, dando applicazione a detto orientamento, la corte territoriale ha correttamente affermato che lo sconto previsto dalla legge n. 296/2006, non essendo applicabile dopo il triennio 2007/2009, non è applicabile nel caso di specie, nel quale era in discussione l’esistenza o meno dello sconto rispetto a prestazioni di specialistica ambulatoriale rese successivamente al triennio di cui sopra.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente e tenuto conto della relativa nota prodotta, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida come richiesto in euro 7655 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, il 27 marzo 2024, nella camera di consiglio