Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25929 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25929 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24338/2022 R.G. proposto da: LABORATORIO DI ANALISI DOTT.SSA NOME COGNOME, in persona del legale rappresentante p.t., NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale e legale rappresentante p.t., NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), pec: EMAIL;
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 450/2022, depositata il 22/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
Con decreto n. 1874/2014 veniva ingiunto alla RAGIONE_SOCIALE di pagare al RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 195.575,17, oltre ad interessi e spese, quale credito derivante dalla decurtazione del 20% di quanto spettava al laboratorio per prestazioni erogate nel periodo giugno 2010 -giugno 2013.
Il decreto ingiuntivo veniva revocato dal Tribunale di Trani, con sentenza n. 1945/2018, che riteneva che la fonte della decurtazione era l’accordo delle parti che avevano concordato di applicare la riduzione prevista dall’art. 1 comma 796 lett. o) della l. finanziaria 2007 e dall’art. 33, comma 2, della l. r. n. 10/2007 anche per gli anni 2010-2013, che il testo normativo richiamato era diventato parte integrante dell’accordo mediante la tecnica del rinvio fisso comportante l’inefficacia delle sorti dell’atto normativo evocato sui patti contrattuali, che nel caso di specie era irrilevante che la Corte costituzionale avesse ritenuto la disciplina richiamata di carattere temporalmente limitato.
Con sentenza n. 450/2022, il gravame del RAGIONE_SOCIALE è stato rigettato dalla Corte territoriale di Bari.
Con detta pronuncia, la Corte d’appello ha confermato che le parti avevano concordato l’abbattimento del corrispettivo per le prestazioni rese dal laboratorio, quantificandolo per relationem , ossia mediante riferimento alla l. 296/2006, che nulla impediva alle parti, venuta meno l’efficacia normativa della suddetta legge, di stabilire uno sconto, determinandolo nella stessa misura prevista da una norma non più efficace, che la struttura privata non era
obbligata a sottoscrivere la convenzione, essendo il contratto stipulato con la RAGIONE_SOCIALE di natura privatistica e che ciò non implicava, pur essendo una delle parti un ente pubblico, che quest’ultimo avesse il potere di imporre la disciplina contrattuale se non limitatamente alle tariffe, che il contratto era vincolante tra le parti, anche per la parte in cui aveva applicato lo sconto del 20% sul corrispettivo spettante all’appellante, non avendo la RAGIONE_SOCIALE obbligato il laboratorio a sottoscriverlo.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza formulando un unico complesso motivo.
La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI COGNOMEA DECISIONE
RAGIONE_SOCIALE deduce: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 796 lettera o) della legge 27 dicembre 2006, n. 296 in relazione dall’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ.; b) violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1362, 1370, 1419 cod.civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ.; c) Violazione dell’art. 8 del d.l. n. 248 del 2007 convertito in legge 31 del 2008 nonché dell’art. 79 del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ.; d) violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del D.leg.vo n. 502 del 1992, in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Le censure mosse alla sentenza impugnata, molteplici e sviluppate in maniera oltremodo disorganica, possono essere così riassunte:
I contratti facevano un generico all’applicazione di quanto disposto dalla norma della legge finanziaria 2007, senza null’altro specificare.
La sottoscrizione dei contratti non comportava l’accettazione della scontistica in essi contenuta, ricorrendo i presupposti di una predisposizione unilaterale da parte della PA delle clausole contrattuali.
Lo sconto era stato normativamente introdotto per garantire il rispetto degli obblighi comunitari, la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nonché il ripianamento del servizio RAGIONE_SOCIALE per il triennio 2007- 2009 e non poteva trovare applicazione per un periodo ulteriore rispetto a quello previsto.
Le disposizioni prevedenti la scontistica avevano pacificamente un ambito di applicazione temporalmente limitato, come confermato dalla Consulta con le sentenze n. 94/2009 e n. 243/2010 e dalla giurisprudenza amministrativa e di legittimità in numerose occasioni
Le parti versavano in posizione di assoluta disparità, non avendo le strutture private la possibilità di contribuire alla determinazione del contenuto negoziale, perché ove non avessero stipulato il contratto con la RAGIONE_SOCIALE avrebbero perduto l’accreditamento. Le strutture private convenzionate hanno un evidente interesse (con ripercussioni pure costituzionali) a che i fruitori delle prestazioni ricevano le stesse a tutela della loro salute e sono vincolate, al pari delle strutture pubbliche, a rendere le prestazioni sanitarie richieste e necessarie, in forza del principio della parità tra sistema RAGIONE_SOCIALE pubblico e sistema privato. Trattandosi di contratto di adesione, la Corte d’appello avrebbe dovuto avvalersi dell’art. 1370 cod.civ. interpretando le clausole imposte in maniera favorevole alla parte che non aveva contribuito alla formazione del contenuto del contratto stesso (c.d. interpretatio contra proferentem ).
La Corte d’appello non si sarebbe pronunciata sulla natura fissa ovvero mobile del rinvio, nonostante avesse l’obbligo di interpretare il contratto ed accertare la natura del rinvio.
Se la Corte d’appello avesse considerato che, a decorrere dall’1.6.2013, era prevista l’applicazione del nuovo tariffario regionale approvato con DGR n. 951/2013, avrebbe dovuto ritenere il rinvio mobile e non fisso. Peraltro, il mero rinvio ad una norma di legge non avrebbe dovuto in alcun modo essere reputato concludente al fine di ritenere la natura ‘fissa’ del rinvio , soprattutto in considerazione della peculiarità dei contratti in parola in ordine ai quali il ricorrente non ha di certo concorso alla determinazione del contenuto degli stessi.
Sarebbero stati violati i canoni di ermeneutica contrattuale; in particolare non sarebbe stato considerato il comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto: in particolare, sarebbe stata trascurata l’apposizione di una clausola di riserva con riferimento alle azioni da intraprendere nei confronti di specifiche previsioni contenute nel contratto.
Le clausole contrattuali che rinviano alla scontistica prevista dalla legge finanziari 2007 erano affette da nullità per violazione di legge -considerata la natura pacificamente transitoria delle predette disposizioni e per violazione dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale secondo cui le leggi ‘che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati’. – e dovevano pertanto essere sostituite di diritto ai sensi dell’art. 1419, 2° comma, cod.civ. con le tariffe in vigore r atione temporis .
La decisione impugnata si porrebbe in contrasto con i principi enunciati da Cass. 2/07/2021, n. 18790 (seguita dalla giurisprudenza successiva: Cass. 12/01/2021, n. 297; Cass. 13/02/2020, n. 27366; Cass. 15/09/2020, n. 22317; Cass. 1°/03/2020, n. 7465) che, decidendo un caso analogo a quello che per cui è causa, ha annullato la sentenza d’appello che aveva ritenuto che il contratto stipulato con la struttura privata che richiamava la legge finanziaria per il 2007, imponendo la scontistica
del 20%, fosse vincolante e che inoltre fosse inderogabile il tetto di spesa, in quanto ‘in tema di remunerazione delle prestazioni rese per conto del RAGIONE_SOCIALE dalle strutture private accreditate, lo sconto da praticare, ai sensi della l. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. o), è limitato al solo triennio 2007-2009, escludendo che il richiamo alla disciplina di cui all’art. 1, comma 796, lett. o), l. 296/2006 nei contratti, senza alcuna previsione specifica di applicazione dello sconto anche oltre i limiti temporali di vigenza, consentisse di ritenerlo applicabile anche in un periodo successivo al suddetto triennio per volontà contrattuale, in assenza di una chiara, precisa e specifica previsione contrattuale relativamente alla valenza temporale della scontistica oltre il triennio 2007-2009 e che la giurisprudenza costituzionale, che aveva escluso l’illegittimità costituzionale della l. 296/2006, autorizzasse a ritenere che la transitorietà della norma possa ritenersi prorogata sine die , sino, cioè, ad un termine altrimenti imprecisato.
Il motivo è infondato.
Va premesso che merita incondizionata adesione la giurisprudenza di questa Corte che in molteplici occasioni -tra le pronunce più recenti cfr. Cass. 03/05/2024, n. 11880 -ha affermato che lo sconto da praticare, ai sensi della l n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. o), è limitato al triennio 20072009, ciononostante le censure di parte ricorrente sono prime di pregio.
Le clausole contrattuali che conterrebbero un rinvio alla legge finanziaria 2007, che sarebbero state erroneamente interpretate, che sarebbero nulle, che conterrebbero un rinvio per relationem alla l. 296/2006, così come la clausola di riserva di cui la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto non sono state riprodotte né sono stati localizzati in questo giudizio di legittimità i contratti di cui si discute, siccome impone la consolidata giurisprudenza di questa
Corte. Anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c/ Italia, la quale ha ribadito che il fine legittimo del principio di autosufficienza del ricorso è la semplificazione dell’attività del giudice di legittimità unitamente alla garanzia della certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia (p.ti 74 e 75 in motivazione) e che ha investito questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (p.to 81 in motivazione), esso (il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950, la quale ha ritenuto soddisfatte le prescrizioni di cui all’art. 366 comma 1°, n. 6 cod.proc.civ., perché parte ricorrente nell’enucleare i motivi di ricorso, aveva ‘fatto specifico riferimento ai diversi atti e documenti allegati nel giudizio innanzi al Tsap, individuandoli in modo sufficientemente chiaro e nei termini in cui già erano stati richiamati nella sentenza di merito, nonché riportandone alcuni estratti’): requisito che può essere concretamente soddisfatto ‘anche’ fornendo nel ricorso, in ottemperanza dell’art. 369, comma 2°, n. 4 cod.proc.civ., i riferimenti idonei ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati rispettivamente, i documenti e gli atti processuali su cui il ricorso si fonda’ (Cass. 19/04/2022, n. 12481).
Non basta che parte ricorrente affermi (pp. 67): ‘secondo la Corte d’Appello di Bari il richiamo dell’art. 1, co. 796, lett. o, l. 296/06 nei singoli accordi stipulati dalla RAGIONE_SOCIALE con il RAGIONE_SOCIALE andrebbe inteso come recepimento del contenuto della norma, a prescindere, quindi, dalla persistente o meno vincolatività della stessa, di talché l’accettazione espressa dello sconto del 20%
da parte della struttura sanitaria privata la vincolerebbe all’osservanza della suddetta condizione contrattuale’ .
A maggior ragione in considerazione dello spessore contenutistico delle sue censure: ‘Al riguardo giova osservare che per come sono formulate le clausole contrattuali non può in alcun modo ritenersi sussistente una chiara volontà negoziale di praticare lo sconto di cui trattasi anche alle prestazioni sanitarie da erogarsi dal 2010 in poi. Nella fattispecie tale volontà non si desume da una semplice lettura dei contratti de quibus nei quali come si vedrà in prosieguo si fa solo un generico richiamo all’applicazione di quanto disposto dalla norma della legge finanziaria 2007, senza null’altro specificare’ (p. 7 del ricorso).
In aggiunta, la tecnica di redazione del ricorso viola i caratteri di specificità che devono connotare il motivo di ricorso. Costituisce ius receptum che il motivo che abdichi alla funzione che gli è propria, quella di criticare e, quindi, di indicare che cosa si critichi e su che cosa la critichi si fondi, delegando queste operazioni alla Suprema Corte, si risolve in un non motivo, perché contravviene proprio alla finalità primaria della prescrizione di rito, che è quella di rendere agevole la comprensione della questione controversa, e dei profili di censura formulati, in immediato coordinamento con il contenuto della sentenza impugnata. Un motivo formulato in termini così generici si risolve nella proposizione di un “non motivo’, espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (Cass. 27/02/2024, n. 5193; Cass. 15/04/2021, n. 9951; Cass., Sez. Un., 20/03/2017, n. 7074, in motivazione, non massimata sul punto;). Come si è già anticipato il motivo di ricorso articola una pluralità di censure piuttosto scoordinate che spesso non sono neppure sviluppate, sul piano sostanziale, individuando l’eventuale error iuris denunciato, cioè fa difetto l’enucleazione esatta e precisa, nel corpo del motivo e con correlata e specifica argomentazione, delle affermazioni in
diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass., Sez. Un., 05/05/2006, n. 10313), non essendo in alcun modo ammissibile che una tale stringente impostazione sia surrogata questa Corte.
Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte che il laboratorio richiama a supporto delle sue argomentazioni non è confacente. È sufficiente rilevare specificamente che non lo è Cass. 18790/2021 su cui in misura prevalente si incentra l’apparato difensivo del ricorrente, perché la sentenza della Corte d’appello di Napoli era stata annullata con rinvio pin quanto essa aveva conferito rilievo ‘alla vigenza e all’efficacia della norma di legge , quale norma primaria volta a perseguire la riduzione della spesa pubblica sanitaria e il bilanciamento di contrastanti esigenze, ossia il diritto alla salute e il contenimento della spesa pubblica, giudicata conforme a Costituzione e insensibile alla caducazione del d.m. 22/7/1996 alla stregua del vaglio operato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 190 del 2004’.
Non più pertinente è Cass. n. 298/2021 , giacché anche nella fattispecie sottoposta al suo esame, il contratto con la struttura privata era stato stipulato muovendo dall’erroneo presupposto della perdurante operatività della legge finanziaria del 2007. E lo stesso è a dirsi per la restante giurisprudenza amministrativa e di legittimità evocata nel ricorso, perché le pronunce richiamate esprimono un principio pacifico -la inestensibilità per via contrattuale della disciplina transitoria di cui art.1, comma 796, lettera o) della l. 296/2006 -che la Corte d’appello nella impugnata sentenza non ha messo in discussione, avendo rilevato che le parti nel contratto avevano rinviato con rinvio fisso allo sconto, così come determinato dalla suddetta legge non più vigore, ma non
avevano inteso, per così dire, forzare la transitorietà né l’eccezionalità di detta disciplina; la sentenza sul punto è chiara e non si presta ad equivoci: ‘non si tratta di estendere la norma prevista dalla finanziaria 2006 come applicabile fino all’introduzione delle nuove tariffe … cessata l’efficacia normativa, nulla impediva alle parti in via pattizia di applicare uno sconto nella misura di quello già previsto nella norma, nel senso che nulla vietava alle parti di stabilire uno sconto già previsto da una legge non più efficace’.
Quanto ai margini di autonomia delle strutture private accreditate, oltre a doversi ribadire quanto enunciato da questa Corte a Sezioni unite, con la pronuncia n. 16336 del 18/06/2019, e cioè che, pur dovendosi riconoscere che il soggetto privato accreditato contribuisce alla “realizzazione dell’interesse pubblico, di rango costituzionale, alla salute dei cittadini e che l’attività sanitaria esercitata dalla struttura o dal professionista accreditati si concreti nell’erogazione di un servizio pubblico” ha confermato la sussistenza di un limite oggettivo: “il suo esercizio è sottoposto al potere di direzione e di controllo dell’amministrazione ed è remunerato con risorse pubbliche …”. In altri termini, se è innegabile che “l’instaurazione del rapporto concessorio di accreditamento comporta, in buona sostanza, l’inserimento dell’accreditato, in modo continuativo e sistematico, nell’organizzazione della P.A. relativamente al settore dell’assistenza sanitaria …”, la natura di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate al di fuori degli accordi assunti (sulla procedimentalizzazione che precede la stipulazione degli accordi tra i soggetti privati accreditati e le RAGIONE_SOCIALE (cfr. altresì Cass., Sez. Un., 14/12/2023, n. 35092), vale quanto già rilevato con le pronunce 05/04/2024, n.9100, Cass. 22/02/2024, n. 4757 in ordine ai limiti
entro cui il privato può esprimere doglianze in merito al contenuto del contratto intercorso con la RAGIONE_SOCIALE. La Corte d’appello, del resto, ha chiarito che le strutture private sono libere di accettare o meno il contratto e che quindi il tal senso il contratto non è imposto, ma non ha mai messo in dubbio il fatto che una parte del contratto, quello relativo al corrispettivo spettante per le prestazioni che la PA acquisita dalle strutture private accreditate non è rimessa alla negoziazione privata.
Deve inoltre aggiungersi che la Corte d’appello, a differenza di quanto sostenuto dal laboratorio ricorrente, si è espressa sulla natura del rinvio all’art.1, comma 796, lettera o) della legge 296 del 2006, definendolo fisso. Detta qualificazione è il frutto dell’attività interpretativa spettante al giudice a quo che il ricorrente non ha confutato efficacemente. Oltre a far riferimento ad una clausola di riserva, la cui apposizione è dedotta in maniera del tutto assertiva -né, invero, la presenza di detta clausola risulta essere stata sottoposta al vaglio della Corte d’appello – il ricorrente si è limitato a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. cod.civ., non soddisfacendo l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 09/04/2021, n. 9461).
Per le ragioni esposte, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione a favore della RAGIONE_SOCIALE, controricorrente, seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese giudizio di cassazione, liquidandole in complessivi euro 9.200,00, di cui euro 9.000,00 per compensi, oltre a spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a favore dell’ufficio di merito competente, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile