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Scissione societaria: la responsabilità ambientale

Una società beneficiaria di una scissione è ritenuta solidalmente responsabile per il danno ambientale causato dalla società scissa prima dell’operazione. La Cassazione, applicando l’art. 2506-bis c.c. e il diritto UE, conferma che la responsabilità ambientale si estende anche a passività non ancora quantificate al momento della scissione, pur essendo limitata al valore del patrimonio netto trasferito. Tuttavia, censura l’uso di un ‘deposito fruttifero’ come metodo di liquidazione del danno, rinviando la causa per una nuova quantificazione.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Societario, Giurisprudenza Civile

Responsabilità Ambientale in caso di Scissione: la Cassazione fa Chiarezza

In un’epoca di crescente attenzione verso la sostenibilità, la questione della responsabilità ambientale nelle operazioni societarie straordinarie assume un’importanza cruciale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso complesso derivante da una scissione societaria, stabilendo principi fondamentali su chi debba farsi carico dei costi di bonifica per inquinamenti pregressi. La pronuncia chiarisce come la società beneficiaria di una scissione erediti la responsabilità per i danni ambientali causati dalla società scissa, sebbene con precisi limiti, e censura le forme atipiche di liquidazione del danno.

I Fatti: Una Scissione Societaria e un’Eredità Inquinata

Il caso trae origine dall’operazione di scissione di una grande società industriale, con una lunga storia di attività produttive che avevano causato un significativo inquinamento in diversi siti. Attraverso la scissione, il ramo d’azienda biomedicale fu trasferito a una nuova società beneficiaria. Successivamente, le Amministrazioni Pubbliche hanno agito in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni ambientali e la copertura dei costi di bonifica, chiamando a rispondere non solo la società originaria (scissa), ma anche la nuova società beneficiaria, in solido tra loro.

La Questione Giuridica: Chi Paga per il Danno Ambientale Pregresso?

Il cuore della controversia legale ruotava attorno a due questioni principali:
1. La società beneficiaria è corresponsabile per i danni ambientali causati dalla società scissa prima che l’operazione di scissione diventasse efficace?
2. Se sì, qual è l’estensione di tale responsabilità e come deve essere liquidato il danno?

La difesa della società beneficiaria sosteneva che la propria responsabilità dovesse essere limitata e che le passività ambientali, non essendo debiti certi e liquidi al momento della scissione, non potessero essere a essa imputate. La Corte d’Appello aveva riconosciuto una corresponsabilità, ma aveva liquidato il danno imponendo la costituzione di un “deposito fruttifero”, una soluzione finanziaria atipica volta a garantire la copertura dei costi futuri di bonifica.

La Decisione della Cassazione sulla responsabilità ambientale

La Suprema Corte, anche alla luce di un’importante pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha delineato in modo netto i contorni della responsabilità ambientale post-scissione.

L’Applicazione della Nuova Normativa sulla Scissione

Innanzitutto, la Corte ha confermato che la disciplina applicabile è quella successiva alla riforma del diritto societario del 2003 (in particolare l’art. 2506-bis c.c.), poiché la scissione aveva prodotto i suoi effetti dopo l’entrata in vigore della nuova legge. Questa norma prevede che, per gli elementi del passivo la cui destinazione non è desumibile dal progetto di scissione, rispondono in solido sia la società scissa che quella beneficiaria, ma quest’ultima solo entro i limiti del valore del patrimonio netto che le è stato trasferito.

L’Interpretazione Estensiva degli “Elementi del Passivo”

Il punto cruciale della decisione riguarda la nozione di “elementi del passivo”. La Cassazione, in linea con il diritto europeo, ha stabilito che tale concetto deve essere interpretato in senso ampio. Esso ricomprende non solo i debiti certi e liquidi, ma anche le passività potenziali e future, come gli oneri di bonifica per un danno ambientale, a condizione che il fatto generatore dell’illecito (l’inquinamento) si sia verificato prima della scissione. Il principio “chi inquina paga” non può essere eluso attraverso operazioni societarie.

La Censura sul Metodo di Liquidazione del Danno: Il “Deposito Fruttifero”

Nonostante abbia confermato la corresponsabilità della beneficiaria, la Cassazione ha accolto una delle doglianze della ricorrente, cassando la sentenza d’appello sulla modalità di liquidazione del danno. La Corte ha stabilito che la condanna a costituire un “deposito fruttifero” è una forma di condanna atipica, non prevista dall’ordinamento italiano, che ammette il risarcimento per equivalente (pagamento di una somma di denaro) o in forma specifica (ripristino della situazione preesistente). Il deposito fruttifero, secondo i giudici, non rappresenta una liquidazione del danno, ma una sorta di garanzia patrimoniale per un debito futuro e incerto, snaturando la funzione del processo di cognizione. La Corte ha inoltre ravvisato un vizio di ultrapetizione, avendo la sentenza d’appello incluso nel risarcimento i danni relativi a un sito non oggetto della domanda originaria.

Le motivazioni
La Corte ha motivato la sua decisione sulla base di una lettura combinata del diritto nazionale e di quello europeo. La ratio dell’art. 2506-bis c.c. e della Sesta Direttiva UE in materia di scissioni è quella di tutelare i terzi creditori (incluso lo Stato per il danno ambientale), evitando che operazioni societarie possano svuotare il patrimonio della società debitrice a loro danno. La responsabilità solidale, seppur limitata al patrimonio netto trasferito, serve proprio a questo scopo. La definizione ampia di “passività” è funzionale a garantire l’effettività di tale tutela, soprattutto in casi di illecito permanente come l’inquinamento, i cui effetti dannosi si protraggono nel tempo. Riguardo alla liquidazione del danno, la motivazione è stata di natura strettamente processuale: il giudice non può creare forme di condanna non previste dalla legge, trasformando una richiesta di risarcimento in una misura cautelare o di garanzia.

Le conclusioni
La sentenza rappresenta un punto fermo in materia di responsabilità ambientale e operazioni societarie. Le imprese devono essere consapevoli che una scissione non cancella le passività per danni ambientali pregressi, che vengono trasferite alla società beneficiaria nei limiti del patrimonio assegnatole. Questo principio rafforza la tutela dell’ambiente e la posizione dei creditori. Al contempo, la pronuncia ribadisce il rigore formale che deve guidare la liquidazione del danno, che deve avvenire secondo le modalità tipiche previste dal codice civile, senza ricorrere a strumenti finanziari atipici. Il caso è stato quindi rinviato alla Corte d’Appello per una nuova quantificazione del danno, che dovrà conformarsi a questi principi.

In caso di scissione, la società beneficiaria risponde dei danni ambientali causati dalla scissa prima dell’operazione?
Sì, la società beneficiaria risponde in solido con la società scissa per le passività ambientali relative a condotte inquinanti avvenute prima della scissione, anche se i costi di bonifica e i danni vengono quantificati solo in un momento successivo.

La responsabilità della società beneficiaria per il danno ambientale è illimitata?
No. Secondo l’art. 2506-bis del codice civile, la responsabilità solidale della società beneficiaria è limitata al valore effettivo del patrimonio netto che le è stato attribuito in sede di scissione.

È legittimo condannare una società a versare un “deposito fruttifero” per garantire i futuri costi di bonifica ambientale?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che questa è una forma di condanna atipica, non prevista dalla legge. Il risarcimento del danno deve avvenire nelle forme tradizionali del risarcimento per equivalente (pagamento di una somma) o in forma specifica, e non tramite la costituzione di una garanzia finanziaria per obbligazioni future.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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