Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10409 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10409 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21944-2019 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME -CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA PER GLI INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI PROFESSIONISTI, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 247/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/01/2019 R.G.N. 4367/2017;
Oggetto
R.G.N. 21944/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 26/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
COGNOME NOME impugna la sentenza n. 247/2019 della Corte d’appello di Roma che, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale della medesima sede, lo ha condannato a pagare ad Inarcassa euro 49.868,89 per contributi e sanzioni per gli anni 2010, 2011, 2012 e 2012 oltre interessi successivi calcolati ai sensi dell’art. 10 del regolamento di Previdenza della Cassa del 2012.
Propone due motivi di ricorso.
Resiste Inarcassa con controricorso, illustrato da memoria.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 26 febbraio 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
COGNOME NOME censura la sentenza sulla base di due motivi: I)violazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 108/1996, degli artt. 1284 e 1815 cod. civ., dell’art. 112 cod. proc. civ., dell’art. 132 cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., tutti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., con proposizione in via subordinata di questione di legittimità costituzionale, per avere la Corte ritenuto che sanzioni ed interessi non sono cumulabili ai fini dell’applicabi lità della normativa antiusura, che ha giudicato, comunque, non applicabile al caso di specie.
II)violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n, 3 cod. proc. civ., per avere la Corte affermato che l’appellante non aveva provato il superamento del tasso usurario.
Il primo motivo è infondato e va respinto.
Il motivo presenta, in primis , profili d ‘ inammissibilità poiché, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di plurime norme di legge, tende, in realtà, a sovvertire la qualificazione data dalla Corte alle maggiorazioni ed agli interessi previsti dall’art. 10 del Regolamento Generale di Previdenza del 2012, nonché dall’art. 37 del previgente Statuto di Inarcassa, per il caso di omesso pagamento della contribuzione, riproducendo in questa sede le medesime doglianze già sollevate averso la pronuncia di prime cure.
L’art. 37 dello Statuto di Inarcassa, in relazione alle somme pretese sino all’anno 2011, prevedeva che ‘il ritardo nei pagamenti dei contributi dovuti ai sensi degli artt. 4 e 5 del presente Regolamento comporta una maggiorazione pari al 2% mensile, fino ad un massimo del 60%, dei contributi non corrisposti nei termini e l’obbligo del pagamento degli interessi decorrenti dalle rispettive date di scadenza. Gli interessi, applicati per il ritardato pagamento dei contributi dovuti e non corrisposti nei termini sono calcolati in base alla variazione del tasso BCE maggiorato di 4,5 punti’.
Quanto al periodo successivo, l’art. 10 del Regolamento, nella versione vigente ratione temporis , stabiliva che ‘il ritardo nei pagamenti dei contributi dovuti ai sensi degli artt. 4 e 5 del presente Regolamento comporta una maggiorazione pari al 2% mensile, fino ad un massimo del 60%, dei contributi non corrisposti nei termini e l’obbligo del pagamento degli interessi decorrenti dalle rispettive date di scadenza. Gli interessi, applicati per il ritardato pagamento dei contributi dovuti e non corrisposti nei termini sono calcolati in base alla variazione del tasso BCE maggiorato di 4,5 punti’.
Tanto premesso, nella sentenza impugnata non si riscontra alcun vizio motivazionale.
Sul punto, va richiamato il principio consolidato in forza del quale, «in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Cass. n.7090/2022 ex plurimis ).
Nel caso di specie, la doglianza proposta per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. non coglie nel segno, poiché dalla lettura della parte motiva si evincono con chiarezza la ratio decidendi ed il percorso motivazionale seguito dalla Corte che, con motivazione esauriente, ha correttamente evidenziato la diversità ontologica delle maggiorazioni e degli interessi moratori, ritenendoli non cumulabili, stanti le diverse funzioni delle une e degli altri: «gli interessi moratori hanno la funzione di risarcire il danno derivante dal ritardo nell’adempimento, senza bisogno che il creditore provi di averlo sofferto effettivamente, le maggiorazioni costituiscono una sanzione civile con funzione dissuasiva e di rafforzamento dell’obbligazione contributiva (v. Cass. n. 8644/2000) al fine di favorirne lo spontaneo adempimento. Non è dunque possibile, in ragione della diversità evidenziata, cumulare gli interessi
moratori e le sanzioni civili ai fini della sottoposizione alla medesima normativa».
Le pretese violazioni di legge qui denunciate poggiano sul presupposto preliminare di sovvertire la qualificazione delle maggiorazioni quali sanzioni civili e di considerarle alla stregua degli interessi moratori, di tal chè, dalla somma delle due voci, deriverebbe il superamento del tasso usurario.
Tale censura, presentata quale violazione, per disapplicazione, della normativa speciale antiusura di cui alla legge n. 108/1996 nonchè degli artt. 1284 e 1815 cod. civ., mira, in definitiva, a sollecitare un riesame del merito, laddove ci si duole che la Corte ‘non si è avveduta e non ha considerato che, in realtà, le maggiorazioni applicate da Inarcassa hanno le medesime caratteristiche quindi la medesima funzione degli interessi moratori, dovendo pertanto essere sottoposte alla medesima normativa di ques ti ultimi’, riesame che, non solo, non è stato correttamente veicolato ma che non sarebbe neppure sollecitabile quale vizio di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. in presenza, sul punto, di doppia conforme.
Il motivo non si confronta, poi, con il prosieguo della motivazione, laddove il Collegio capitolino spiega le ragioni che portano a non ritenere, comunque, applicabile alla fattispecie de qua (ove si discute di sanzioni e interessi conseguenti ad omissioni contributive) la disciplina speciale e codicistica invocate, evidenziandone la diversità e l’incomparabilità.
A carico del professionista che non versa regolarmente la contribuzione la disciplina delle previdenze categoriali prevede un’obbligazione ulteriore che consiste nel pagamento di somme aggiuntive; trattasi di discipline autonome ex art. 4, comma 6bis, del d.l. n. 79/1997, convertito nella legge n. 140/1997, in forza del quale «nell’ambito del potere di adozione di
provvedimenti, conferito dall’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, possono essere adottate dagli enti privatizzati di cui al medesimo decreto legislativo deliberazioni in materia di regime sanzionatorio e di condono per inadempienze contributive, da assoggettare ad approvazione ministeriale ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del citato decreto legislativo».
L’art. 10 del Regolamento Inarcassa 2012 e l’art. 37 del previgente Statuto si inseriscono in tale contesto, prevedendo l’obbligo di pagamento di somme aggiuntive che trovano la propria fonte genetica nell’inadempimento contributivo, di cui sono conseguenza automatica.
Infatti, la funzione giuridica delle somme aggiuntive previste per l’omesso o ritardato pagamento della contribuzione è pacificamente quella di rafforzare l’obbligazione contributiva a cui si assommano.
Si legge in Cass. n. 22395/2020, ex multis : «la natura accessoria della sanzione, affermata da costante giurisprudenza di questa Corte, conseguenza automatica dell’inadempimento o del ritardo, legalmente predeterminata, introdotta nell’ordinamento al fine di rafforzare l’obbligazione contributiva e risarcire, in misura predeterminata dalla legge, con presunzione juris et de jure, il danno cagionato all’istituto assicuratore (cfr., ex multis, Cass. n. 30363 del 2017; Cass. n. 14475 del 2009; Cass. n. 24358 del 2008; Cass. n. 8323 del 2000; sulla funzione essenzialmente risarcitoria v. Corte Cost. n. 254 del 2014; sull’identità di natura giuridica per inferirne il medesimo regime prescrizionale cfr. Cass. n. 8814 del 2008; Cass. n. 25906 del 2010; Cass. n. 2620 del 2012; Cass. n. 4050 del 2014 e, in precedenza, Cass. n. 9054 del 2004; Cass. n. 194 del 1986); 21. anche le Sezioni Unite della Corte, con la
decisione n.5076 del 2015, intervenendo in tema di estensione al credito per sanzioni civili degli effetti degli atti interruttivi posti in essere con riferimento al credito contributivo, hanno affermato che, sotto il profilo normativo, le somme aggiuntive appartengono alla categoria delle sanzioni civili, vengono applicate automaticamente in caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi assicurativi e consistono in una somma ex lege predeterminata il cui relativo credito sorge de iure alla scadenza del termine legale per il pagamento del debito contributivo, in relazione al periodo di contribuzione; 22. vi è, quindi, tra la sanzione civile di cui trattasi e l’omissione contributiva, cui la sanzione civile inerisce, un vincolo di dipendenza funzionale che, in quanto contrassegnato dall’automatismo della sanzione civile rispetto all’omesso o ritardato pagamento, incide non solo geneticamente sul rapporto dell’una rispetto all’altra ma conserva questo suo legame di automaticità funzionale anche dopo l’irrogazione della sanzione, sì che le vicende che attengono all’omesso o ritardato pagamento dei contributi non possono non riguardare, proprio per il rilevato legame di automaticità funzionale, anche le somme aggiuntive che, come detto, sorgendo automaticamente alla scadenza del termine legale per il pagamento del debito contributivo rimangono a questo debito continuativamente collegate in via giuridica» (così Cass., Sez.U., n. 5076 del 2015 cit.)».
Alla luce di quanto sopra, difetta di rilevanza la prospettata questione di legittimità costituzionale, ‘proposta, in relazione all’art. 3 della Costituzione, del d.lgs. n. 509/1994, anche in combinato disposto con l’art. 10 del Nuovo Regolamento Generale Previdenza e l’art. 37 del previgente Statuto Inarcassa, nella parte in cui tali disposizioni, nel conferire
autonomia normativa agli Enti previdenziali privatizzati e nel disciplinare le modalità di determinazione delle maggiorazioni applicate in caso di omissione contributiva, non stabiliscono che le suddette maggiorazioni di importo non possano essere complessivamente superiori al tasso soglia usurario previsto dalla L. n. 108/1996 e s.m.i.’, e ciò anche a voler sorvolare sul fatto che la questione, per come posta, non individua la/le norma/e del d.lgs. n. 509/1994 che, in combinato con le norme statutarie, sarebbero in contrasto con il parametro invocato e non si confronta con il dictum di Corte cost. n. 254/2016 in punto sottoponibilità al vaglio di costituzionalità dei Regolamenti delle Casse private, quali atti negoziali espressione di autonomia privata.
Considerato il rigetto del primo motivo e posto che non viene scalfita la prima ratio decidendi , il secondo motivo, che si appunta sulla ratio decidendi alternativa della mancanza di prova del superamento del tasso usurario, diviene inammissibile, in considerazione del fatto che, qualora la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza, o inammissibilità, delle censure mosse ad una delle ‘ rationes decidendi ‘ rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. n. 11493/2018; in senso analogo già Cass. Sez. Un., n. 7931/2013; n. 2108/2012).
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con condanna alle spese secondo soccombenza, come liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 3000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 26 febbraio