Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4118 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 4118 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16874-2023 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE E DEL MERITO, in persona del Ministro pro tempore, UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL VENETO, ISTITUTO TECNICO COMMECIALE P.F. COGNOME, UFFICIO SCOLASTICO PROVINCIALE DI PADOVA, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 709/2022 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 10/02/2023 R.G.N. 54/2018;
Oggetto
SANZIONI DISCIPLINARI PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N. 16874/2023
COGNOME
Rep.
Ud.20/11/2024
CC
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udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO
che, con sentenza del 10 febbraio 2023, la Corte d’Appello di Venezia confermava la decisione resa da Tribunale di Padova e rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti dell’Istituto Tecnico Commerciale P.F. COGNOME, il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, l’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto e l’Ufficio Scolastico Provinciale di Padova avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità delle quattro sanzioni disciplinari comminate a carico dell’istante, app artenente al personale ATA con mansioni di assistente tecnico/informatico, in servizio presso l’Istituto Tecnico Commerciale P. F. COGNOME, dal Dirigente Scolastico dell’Istituto o la loro riduzione nella misura coerente con la fondatezza delle giustificazio ni opposte nonché l’accertamento della natura persecutoria di tali procedimenti, in particolare con riguardo a quello trasferito per competenza alla Direzione Generale Regionale di Venezia ed il conseguente risarcimento del danno subito, avendo il COGNOME chiesto il trasferimento adducendo a motivo il fumus persecutionis della Dirigente nei propri confronti;
che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto non priva di rilevanza disciplinare la condotta concretatasi nell’inosservanza dell’orario di servizio fissato per il personale ATA dal Dirigente Scolastico, cessata la materia del contendere con riguardo all’ulteriore procedimento disciplinare definito von un verbale di conciliazione sottoscritto dal rappresentante sindacale delegato dal lavoratore e non impugnato tempestivamente, sussistente la mancanza relativa ai plurimi ritardi contestati nel mese di giugno 2015 e proporzionata la sanzione irrogata, inconfigurabile il denunciato
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atteggiamento vessatorio del Dirigente Scolastico anche in relazione alla nota inviata all’Ufficio Scolastico Regionale per l’avvio di altro procedimento disciplinare di competenza di quell’ufficio, trattandosi di istruttoria doverosa risultando semmai ril evante in senso contrario l’essersi il procedimento concluso con l’archiviazione;
che per la cassazione di tale decisione ricorre il COGNOME, affidando l’impugnazione a cinque motivi, cui resistono, con unico controricorso, il Ministero oggi dell’Istruzione e del Merito e tutti gli altri originari convenuti in questa sede intimati;
CONSIDERATO
che, con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 24 Cost., 113 c.p.c., 51 e 54 CCNL per il Comparto Scuola relativo al quadriennio 2006/2009, imputa alla Corte territoriale di aver erroneamente ritenuto non rimessa alla contrattazione integrativa e perciò estranea alla disciplina collettiva la materia della flessibilità dell’orario di lavoro, così erroneamente interpretando l’art. 51 del CCNL in relazione al quale, avrebbe dovuto rilevarsi l’inadempimento a carico dell’amministrazione e non l’inosservanza dell’orario a carico del ricorrente, comunque, a detta del ricorrente, già fatta oggetto di sanzione disciplinare, in tal modo dovendosi intendere la trattenuta sullo stipendio ex art. 54 del CCNL già operata a suo carico per i ritardi effettuati;
che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 113 c.p.c. e 2113 c.c., il ricorrente lamenta la non conformità a diritto della pronunzia resa dalla Corte territoriale in ordine alla dichiarata cessazione della materia del contendere circa la seconda sanzione per essere intervenuta a riguardo una conciliazione in sede amministrativa per recare il relativo verbale la firma del rappresentante
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sindacale delegato dal ricorrente ma non la sua firma, facendone discendere la nullità dell’atto e la validità dell’impugnazione della sanzione da ritenersi illegittima per i motivi di cui sopra relativi alla mancata previsione in sede collettiva della fle ssibilità dell’orario e per la già applicata sanzione della trattenuta sullo stipendio;
che con il terzo motivo, posto sotto una triplice rubrica, la prima riferita alla violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 115 c.p.c. 2106 c.c., la seconda alla violazione e falsa applicazione degli artt. 1135 c.p.c. e 2106 c.c. nonché 112 c.p.c e 24 Cost. 115 c.p.c. e 2106 c.c. e 257-bis c.p.c, la terza alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 356 c.p.c., il ricorrente imputa alla Corte di aver valutato con riguardo alla terza contestazione disciplinare riferita a due distinti episodi la proporzionalità della sanzione tenendo conto di uno solo di essi, così relegando nell’irrilevanza le difese opposte con riguardo all’altro episodio che, ove ritenute valide, avrebbero inciso in senso riduttivo sulla sanzione irrogata e ledendo, pertanto, il diritto di difesa e di contro, valorizzando anche oltre quanto ritenuto dal primo giudice la dichiarazioni scritte a suo carico rese da colleghi nel corso dell’istruttoria dell’ufficio, di conseguenza eccedendo i lim iti di intervento del giudice d’appello sulla motivazione del primo giudice e prescindendo dalla conferma delle dichiarazioni medesime attraverso l’assunzione a testimoni degli interessati peraltro richiesta e illegittimamente, per quanto detto, disattesa;
che, con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 115 c.p.c. lamentando a carico della Corte territoriale l’omessa considerazione di specifiche allegazioni e prove offerte dal ricorrente in sede di valutazione del carattere vessatorio e persecutorio della
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reiterata promozione di procedimenti disciplinari a carico del ricorrente da parte del Dirigente Scolastico;
che nel quinto motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c. è prospettata in relazione alla statuizione sulle spese di lite resa dal primo giudice senza dar conto dell’applicazione della riduzione del 20% dell’importo liquidato previsto dall’invocata norma nel caso in cui l’amministrazione fosse stata assistita in primo grado da propri funzionari;
che il primo motivo deve ritenersi inammissibile non misurandosi le censure sollevate dal ricorrente con la ratio decidendi sottesa alla pronunzia della Corte territoriale che, preso atto dell’assenza di una disciplina contrattuale integrativa che ammettesse nell’ambito dell’Istituto di assegnazione un orario flessibile, a prescindere dall’esistenza di una previsione del contratto collettivo nazionale che ne rimettesse la definizione in sede decentrata, ha ritenuto, sulla scorta delle stesse ammissioni del ricorrente circa l’aver autonomamente modificato l’orario di servizio fissato per il personale ATA dal Dirigente Scolastico e con valutazione del tutto plausibile sul piano logico e giuridico la sussistenza della reiterata inosservanza dell’orario di lavor o integrante, sulla base della regolamentazione in atto ed indipendentemente dalla mancata applicazione dell’orario flessibile non concordato in sede di contrattazione decentrata, un inadempimento degli obblighi contrattuali rilevante sul piano disciplinare e tale da legittimare di per sé l’irrogazione della sanzione, a prescindere dalla trattenuta sullo stipendio operante sul diverso piano della corrispettività delle obbligazioni, per cui alla mancata prestazione lavorativa consegue il mancato riconoscimento della controprestazione retributiva;
che il secondo motivo si rivela viceversa infondato, atteso che l’atto sottoscritto innanzi alla commissione di conciliazione
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anche solo dal rappresentante sindacale delegato dal ricorrente deve ritenersi validamente concluso, presupponendosi la volontà adesiva dell’interessato ed il consenso alla sottoscrizione da parte del delegato, e pertanto soggetto alla disciplina di cui al l’art. 2113 c.c. che, a pena di decadenza, ne ammette l’impugnazione entro i sei mesi successivi alla sottoscrizione;
che, di contro, inammissibile, risulta il terzo motivo, atteso che la Corte territoriale ha dato in motivazione ampiamente conto di aver considerato entrambi gli episodi ai fini della valutazione della sussistenza delle mancanze addebitate, il cui accertamento ben poteva essere operato con riferimento alla prova documentale offerta, l’apprezzamento della cui rilevanza è rimessa alla discrezionalità del giudice del merito, e della proporzionalità della sanzione rispetto ad entrambe le condotte, proporzionalità correttamente valutata in termini complessivi e non con riferimento al singolo episodio ed anche in una prospettiva di favor per il lavoratore, tenuto conto che per le mancanze addebitate, nella specie sanzionate con una sospensione di tre giorni, il codice disciplinare prevedeva la sospensione per un massimo di dieci giorni;
che parimenti inammissibile deve ritenersi il quarto motivo, essendo le censure sollevate volte a contestare la selezione operata dalla Corte territoriale con riguardo agli elementi di fatto ritenuti rilevanti ai fini del decidere, selezione viceversa rime ssa all’apprezzamento discrezionale del giudice del merito, insindacabile in questa sede;
che ancora inammissibile si appalesa il quinto motivo, stante la novità della censura, qui proposta per la prima volta, atteso che, in grado di appello, l’odierno ricorrente aveva formulato un motivo di gravame teso a sostenere non essere dovute le spese d i lite all’amministrazione difesasi in primo grado con i propri
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funzionari, cui deve aggiungersi la genericità della censura, non risultando ivi indicato il valore della causa e, dunque, lo scaglione tariffario applicabile rispetto al quale il giudice di primo grado avrebbe dovuto operare la riduzione del 20% e l’incon sistenza della censura, dal momento che, stando a quanto asseverato dalla Corte territoriale circa il valore indeterminato della causa, il giudice di prime cure avrebbe liquidato le spese al di sotto dei minimi di tariffa superando abbondantemente la riduzione prevista;
che il ricorso va, dunque, rigettato; che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi oltre spese generali al 15 % ed altri accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte suprema di cassazione il 20 novembre 2024.
La Presidente (NOME COGNOME)