Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32082 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 32082 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso 17667-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE del foro di Bergamo ed elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– ricorrente –
Contro
COMUNE di CAPONAGO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE del foro di Milano Bergamo ed elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– controricorrente –
avverso la sentenza di Corte d’appello di Milano n. 479/2022 depositata il 28 aprile 2022;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11 giugno 2024 dalla Presidente NOME COGNOME
udito il P.G., in persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME il quale ha il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME per parte ricorrente, e l’avvocato NOME COGNOMEcon delega dell’avvocato NOME COGNOME per parte controricorrente.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Monza, con sentenza n. 389 del 2019, respingeva l’opposizione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza ingiunzione n. 9 del 07.05.2018 notificata dal Comune di Caponago per l’esecuzione di escavazione non autorizzata all’interno del perimetro di cava ATEg36, in località INDIRIZZO ai sensi dell’art. 29 della legge regionale n. 14 del 1998, annullata nei confronti di NOME COGNOME.
In virtù di gravame interposto dalla RAGIONE_SOCIALE, la Corte di appello di Milano, nella resistenza del Comune appellato, rimasto contumace NOME COGNOME, rigettava l’impugnazione confermando la decisione del giudice di prime cure.
A sostegno della decisione adottata, per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte distrettuale respingeva il motivo di appello con il quale era stata dedotta l’incompetenza del responsabile dell’area tecnica del Comune, che aveva emanato l’ordinanza ingiunzione, osservando che la L. n. 14/1998 della Regione Lombardia delegava ai Comuni le funzioni di vigilanza sulle cave e l’art. 7 bis del d.lgs n. 267/2000 prevedeva che per l’adozione delle sanzioni amministrative per le violazioni di leggi o regolamenti fosse competente il sindaco, inoltre che l’organo competente ad irrogare la sanzione amministrativa fosse individuato ai sensi dell’art. 17 della legge 24 novembre 1981 n. 689.
Nel merito, rilevava che i prelievi erano stati effettuati nel contraddittorio delle parti e che non si era proceduto ad ulteriori sondaggi, necessità dei quali si era dato atto nel verbale di contestazione, per giungere ad una precisa determinazione di quanto scavato, trattandosi di scavo abusivo i cui calcoli erano stati effettuati per difetto e quindi per economia e razionalizzazione delle risorse pubbliche.
Quanto poi alla dedotta circostanza della riferibilità alla TEM degli scavi doveva essere disattesa, oltre ad essere rimasta priva di prova, non avendo detta società operato oltre i 10 metri di profondità.
Né poteva accedersi alla riduzione della sanzione nella misura del 50% che riguardava fattispecie in cui l’escavazione di materiale avveniva in eccedenza e non certo per le ipotesi al di fuori dell’ambito autorizzato.
Avverso la citata sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, la RAGIONE_SOCIALE, cui ha resistito il Comune con controricorso.
Il ricorso è stato inizialmente avviato per la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380bis .1 c.p.c. e all’esito dell’adunanza camerale fissata al 29 novembre 2023, con ordinanza interlocutoria n. 33960 del 2023, depositata il 05.12.2023, il Collegio rilevava la rilevanza nomofilattica della questione di diritto posta con il primo motivo, riguardante la riserva di legge in relazione all’organo competente all’irrogazione della sanzione amministrativa in materia di cave, per cui veniva disposta la rimessione del processo alla pubblica udienza.
Posto nuovamente in discussione il ricorso all’udienza pubblica dell’11 giugno 2024, il sostituto procuratore generale, dott. NOME COGNOME ha depositato memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso del rigetto del primo motive di ricorso.
In prossimità della pubblica udienza ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. anche la società ricorrente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente, nel denunciare errores in iudicando ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., lamenta la violazione dell’art. 4, commi 1 e 2 della legge regionale Lombardia n. 14 del 1998 relativamente alla delega delle funzioni, nonché la violazione e la falsa applicazione della Disposizione Dirigenziale n. 949/2013 del 28.03.2013, lettere l) e m), del Direttore Settore Ambiente e Agricoltura della Provincia di Monza e della Brianza per incompetenza dell’organo ovvero dell’Ufficio, postulando la violazione di una riserva di legge, con conseguente carenza di potere del Responsabile del settore tecnico per essere competente il Sindaco del Comune in materia, nonché sviamento, violazione della Delega, nullità del Verbale di contestazione e della Ordinanza Ingiunzione -per difetto di istruttoria da cui conseguiva la illogicità e contraddittorietà della motivazione e la violazione del principio della riserva di legge.
Ad avviso della ricorrente, con la sentenza gravata la Corte di appello, nel confermare la statuizione sul punto del Tribunale di Monza, ha rigettato il motivo relative alla eccepita incompetenza dell’organo, avallando la altrettanto erronea ed illogica motivazione resa dal giudice di prime cure secondo il quale il Sindaco (che dunque si ammette essere l’organo competente) sarebbe stato coinvolto comunque nel processo decisionale con la nota richiamata dal Responsabile dell’Area Tecnica in sede di emissione dell’Ordinanza. E ciò in palese violazione del principio della riserva di legge, avendo la Corte di merito ritenuto di poter superare la chiara e manifesta incompetenza funzionale dell’organo da cui promana l’Ordinanza Ingiunzione opposta, quest’ultima, invece, di competenza esclusiva del Sindaco del Comune di Caponago.
Obliterando incredibilmente la stessa indicazione dell’Ente contenuta nel Verbale di contestazione che rimette al Sindaco del Comune la competenza alla emissione della Ordinanza Ingiunzione, tanto bastava all’annullamento dell’Ordinanza.
Tanto è vero che, paradossalmente, nello stesso Verbale di contestazione, nelle avvertenze sulle modalità di presentazione del Ricorso (pag. 3.3), è espressamente e testualmente previsto ed indicato il Sindaco del Comune quale Autorità competente, sia alla istruttoria della pratica, che alla emissione della Ordinanza Ingiunzione.
Tanto il Verbale di contestazione, quanto l’Ordinanza Ingiunzione, sono viziati da nullità insanabile perché promanano da organo/ufficio incompetente, non avendo nessun potere in materia il Responsabile dell’Area Tecnica e la delega provinciale, ai sensi dell’art. 4 legge Regionale n. 14/1998.
Il motivo è infondato.
La Corte costituzione con la sentenza n. 66 del 30.03.2018 ha ricostruito la evoluzione della disciplina in materia di cave e torbiere riconducendola alla Legge Regionale laddove ha chiarito che: a) la disciplina generale di tali attività si trova nel regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443 (Norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere nel Regno) che, in considerazione della situazione esistente alla data della sua emanazione, era volto a favorire lo sviluppo edilizio e infrastrutturale di un Paese in larga parte ancora rurale e, perciò, meno attento ai valori ambientali e paesaggistici implicati nell’attività estrattiva; b) il r.d. n. 1443 del 1927, accanto agli artt. 826 ed 840 del codice civile, identifica i principi generali di una materia che, anteriormente alla riforma del Titolo V, della Parte II della Costituzione, spettava alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. Queste ultime potevano intervenire a disciplinare le attività estrattive, mancando specifiche leggi-quadro,
sulla base dei principi desumibili dalle vigenti norme statali. Il cosiddetto “primo trasferimento di funzioni amministrative” (art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 12 gennaio 1972, n. 2, recante «Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di acque minerali e termali, di cave e torbiere e di artigianato e del relativo personale») conferì, alle Regioni a statuto ordinario, le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato in materia di cave e torbiere, conferimento poi completato dal cosiddetto “secondo trasferimento” (art. 62 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, recante «Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382»); c) con la riforma del Titolo V della Costituzione, la mancata menzione della materia «cave e torbiere» nei cataloghi del novellato art. 117 Cost., ne ha imposto la riconduzione -affermata dalla Corte – alla competenza residuale delle Regioni (sentenze n. 210 del 2016 e n. 246 del 2013).
Per la Regione Lombardia la legge regionale di riferimento è la l. n. 14 del 1998, che all’art. 4 contiene l’elenco delle materie delegate alle Provincie, e per tramite di queste, ai Comuni territorialmente competenti, tra le quali rientra, alla lettera h) comma 1 ed e) comma 2, la determinazione e l’ irrogazione delle sanzioni amministrative per le funzioni delegate, tra cui quelle delle cave e torbiere.
Con la Disposizione Dirigenziale del Direttore Settore Ambiente e Territorio della Provincia di Monza e della Brianza, Raccolta Generale n. 949/2013 del 28.03.2013, alla lettera l) è stata, per quanto qui di interesse, demandata ai sensi dell’art. 4 della stessa legge n. 14/1998, al Sindaco del Comune di Caponago la vigilanza sull’attività della ditta affinché la stessa avvenga nel rispetto delle modalità, dei tempi, dei limiti e delle prescrizioni indicate nel provvedimento autorizzativo, sia per quanto riguarda
l’attività estrattiva sia per quanto concerne il recupero ambientale durante ed al termine della coltivazione. La lettera m) incarica, altresì, il Sindaco del Comune di Caponago di verificare, con periodicità almeno trimestrale, lo stato e la posizione dei punti fissi indicati nella planimetria n. 1.a ‘Planimetria dello stato di fatto e ubicazione punti fissi e delimitazione dell’area di scavo’ nonché dei picchetti di delimitazione dell’area di scavo.
Tanto chiarito, questa Corte (Cass. n. 337 del 2017) ha già avuto occasione di affermare che la previsione contenuta nell’art. 4 della legge regionale n. 14/1998 (secondo cui ai Comuni sono delegate, tra l’altro, la determinazione e l’irrogazione delle sanzioni amministrative per le funzioni delegate) vada correlata con l’art. 29, comma 4 della medesima legge che, relativamente alle sanzioni, prevede che ove l’attività estrattiva si svolga in territori compresi in parchi regionali, restano ferme le sanzioni e le relative competenze sanzionatorie previste dalle leggi regionali vigenti.
La disposizione deve essere poi interpretata alla luce del successivo art. 30, il quale, al primo comma, prevede che la vigilanza sull’attività nell’ambito territoriale estrattivo, la determinazione e l’irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 29 spettino, per delega della Regione, al Comune territorialmente competente, mentre al secondo comma dispone che nelle zone comprese negli ambiti territoriali delle Comunità montane e dei parchi l’ente gestore del parco e le Comunità montane rispettivamente collaborano all’ attività di vigilanza di cui al presente articolo, sulla base di accordi con i Comuni interessati.
Peraltro la legge del 1998, in relazione all’illecito contestato (esercizio dell’attività di cava in assenza o oltre i limiti autorizzati) si pone come legge speciale, destinata quindi a prevalere sulle previsioni più generali dettate in tema di tutela delle aree regionali protette.
Ritiene il Collegio che la tesi sostenuta in ricorso contrasti apertamente con la corretta interpretazione che deve essere fornita delle previsioni normative de quibus .
E’ indubbio che, relativamente all’attività di sfruttamento delle cave, debba ritenersi speciale la legge del 1998, destinata in ogni caso a prevalere su eventuali previsioni di segno contrario.
In tal senso, e quanto all’individuazione dell’autorità competente ad irrogare le sanzioni amministrative per l’attività di estrazione in assenza ovvero oltre i limiti del provvedimento autorizzatorio, appare del tutto esaustiva ed inidonea a creare dubbi di sorta la previsione di cui all’art. 4, anche in relazione all’art. 30 della legge n. 14/98, la quale ribadisce la competenza dei Comuni per le sanzioni di cui all’art. 29, premurandosi di chiarire in che rapporti si ponga tale potere con quello degli enti gestori del parco, i quali, proprio in relazione all’attività estrattiva, sono chiamati a collaborare con i Comuni nell’attività di vigilanza.
La norma indica, dunque, i Comuni quali enti destinatari delle funzioni delegate. L’art. 50 del TUEL (d.lgs. n. 267/2000) definisce, poi, unitariamente le competenze del Sindaco quale organo responsabile dell’amministrazione del Comune, assieme a quelle del Presidente della Provincia: «1. Il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili dell’amministrazione del comune e della provincia.
2. Il sindaco e il presidente della provincia rappresentano l’ente, convocano e presiedono la giunta, nonché il consiglio quando non è previsto il presidente del consiglio, e sovrintendono al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti.
3. Salvo quanto previsto dall’articolo 107 essi esercitano le funzioni loro attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintendono altresì all’espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia.
Il sindaco esercita altresì le altre funzioni attribuitegli quale autorità locale nelle materie previste da specifiche disposizioni di legge.».
L’art. 107 del TUEL, inoltre, stabilisce: « 1. Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.
Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108.».
Da siffatte disposizioni deve desumersi che l’impostazione contenuta nel TUEL è nel senso che il Sindaco e il Presidente di Provincia sono responsabili e rappresentanti dell’ente, ma spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti che impegnano l’ente all’esterno, che non rientrino ‘tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente’.
E’ stato già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 21631 del 2006; Cass. n. 8560 del 2009; Cass. n. 20864 del 2009; più di recente, Cass. n. 1951 del 2022)) che, nello svolgimento dell’attività degli enti locali, e in particolare dei comuni, le responsabilità penali e le responsabilità di ordine sanzionatorio amministrativo connesse alla violazione delle norme che l’ente è tenuto a osservare nello svolgimento della sua attività, sono
ripartite tra gli organi elettivi e quelli burocratici sulla base del principio della separazione delle funzioni (legge n. 142 del 1990, art. 51, comma 2, poi novellato dalla legge 15 maggio 1997, n. 127, art. 6, e quindi trasfuso nel Testo Unico degli enti locali approvato con d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 107, comma 3) e in correlazione alle rispettive attribuzioni, desumibili dalla disciplina di settore.
Non si può, pertanto, automaticamente ascrivere al Sindaco di un Comune, ancorché di modeste dimensioni, qualsiasi compito nell’ambito dell’attività dell’ente, allorché sussista una apposita articolazione burocratica preposta allo svolgimento dell’attività medesima, con relativo dirigente dotato di autonomia decisionale e di spesa, e ciò vale, senza alcun dubbio, per le sanzioni amministrative, la cui irrogazione è espressione di un provvedimento amministrativo che impegna l’Amministrazione verso l’esterno, ai sensi dell’art. 107, comma 2 TUEL.
La conclusione trova, peraltro, esplicita conferma nell’art. 7 bis, comma 2 TUEL, secondo il quale ‘L’organo competente ad irrogare la sanzione amministrativa è individuato ai sensi dell’art. 17 della legge 24 novembre 1981 n. 689’, ultima norma la quale stabilisce al primo comma che ‘il funzionario o l’agente che ha accertato la violazione, salvo che ricorra l’ipotesi prevista nell’articolo 24, deve presentare rapporto, con la prova delle eseguite contestazioni o notificazioni, all’ufficio periferico cui sono demandati attribuzioni e compiti del Ministero nella cui competenza rientra la materia alla quale si riferisce la violazione o, in mancanza, al prefetto’.
Da siffatte disposizione deve desumersi che l’impostazione contenuta nel TUEL è nel senso che il Sindaco e il Presidente di Provincia sono responsabili e rappresentanti dell’ente, ma spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti che impegnano l’ente all’esterno, che non rientrino ‘tra le funzioni di
indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente’.
Va, dunque, affermato il principio di diritto secondo cui «l’interpretazione sistematica del quadro normativo di cui agli artt. 4, 29 e 30 legge regione Lombardia n. 14/1998, degli artt. 50, 7 bis, comma 2 e 107 TUEL, dell’art. 17 legge n. 689/1981 è nel senso che al Sindaco e al Presidente di Provincia non spetta qualsiasi compito nell’ambito dell’attività dell’ente, allorché sussista un’apposita articolazione burocratica preposta allo svolgimento di attività che non sia di indirizzo e controllo politico-amministrativo, per cui i dirigenti dotati di autonomia decisionale e di spesa hanno tutti i compiti connessi alle loro funzioni, compresa l’adozione degli atti che impegnano l’ente all’esterno» e questo principio di diritto fonda la pronuncia di infondatezza della censura.
Con il secondo motivo la ricorrente, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., denuncia la violazione e la falsa applicazione degli art. 1, 10, 11 e 14 legge n. 689/1981, per inosservanza del principio di legalità della contestazione e conseguente nullità, invalidità e inefficacia del verbale di contestazione AT/2016 per assenza assoluta della contestazione nei confronti della società obbligata in solido non riportando l’ordinanza ingiunzione il contenuto del verbale di contestazione ma solo il dispositivo dello stesso e ciò senza l’esposizione degli elementi relativi all’accertamento della violazione e alla quantificazione della sanzione.
La censura è manifestamente infondata.
Premesso che l’ordinanza ingiunzione contiene l’indicazione della condotta abusiva contestata (escavazione fuori area in assenza di autorizzazione), della disposizione normativa violata (art. 29 legge regionale n. 14/1998), dando atto degli accertamenti tecnici eseguiti, anche ai fini della sanzione irrogata, bisogna sottolineare
che la citata norma regionale sanzionatoria di cui all’art. 29, nel prevedere che nel caso di coltivazione di sostanze minerali di cava effettuata senza autorizzazione o concessione è irrogata una sanzione amministrativa di entità variabile tra trenta e sessanta volte la somma di cui alla lett. a), comma 1 dell’art. 15, circoscrive la cornice di riferimento, ma solo sul piano della concreta quantificazione, a criteri tariffari approvati dal Consiglio regionale in rapporto al tipo ed alla quantità di materiale estratto nell’anno, ragione per cui deve ritenersi che detti criteri hanno solo funzione attuativa e determinativa della sanzione, il cui quadro normativo generale di riferimento risulta compiutamente presente nella fonte legislativa regionale.
La legge regionale n. 14/1998, infatti, prevede, per la violazione di cui trattasi, una sanzione graduata fra un minimo e un massimo (da “trenta e sessanta volte”), indicando il parametro per la sua determinazione nel valore del volume (computato a metri cubi) del materiale illecitamente estratto, in relazione al quale periodicamente il Consiglio regionale determina solo il “quantum” dovuto a titolo di diritto di escavazione, da intendersi, perciò, solo come criterio di computo di mero riferimento per la determinazione della sanzione in concreto entro l’ambito della “forbice” predeterminata dalla suddetta legge regionale.
Pertanto sulla definizione degli ambiti della fattispecie sanzionata, già prestabilita in un’entità variabile tra un minimo ed un massimo, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro tali limiti, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi (v. Cass. n. 4844 del 2021).
Del resto, la Corte costituzionale (v. sentenza n. 134/2019) anche di recente ha rimarcato come le leggi regionali che prevedono mere sanzioni amministrative ben possono rinviare – nel rispetto dei principi desumibili dall’art. 23 Cost., meno stringenti di quelli di cui
all’art. 25, comma 2, Cost. – anche ad atti sublegislativi, ai fini dell’integrazione del precetto (amministrativamente) sanzionato in forza della stessa legge regionale, la quale deve, comunque, garantire ai propri destinatari la conoscibilità del precetto e la prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie (requisito, questo, certamente riconoscibile alla L.R. Lombardia n. 14/1998).
Con il terzo motivo la ricorrente densura la violazione degli artt. 13 e 15 legge n. 689/1981, degli artt. 4 e 31 della legge Regione Lombardia n. 14/1998, dell’art. 7/8 del regolamento di organizzazione del Comitato di controllo della cava, per essere stato l’accertamento compiuto con analisi di campioni senza contraddittorio, in difetto di istruttoria e in mancanza di motivazione.
La censura è inammissibile, prima che infondata, per avere la stessa ricorrente riconosciuto al punto 3.1 dello medesimo motivo (v. pag. 20 del ricorso) che erano state depositate delle controdeduzioni del geologo COGNOME in data 07.03.2016, riproposte anche rispetto alla nota del Comune del 27.04.2017 e in risposta alle Osservazioni tecniche della COGNOME affidate alla Relazione di perizia del dott. COGNOME del 02.03.2016.
Dunque, a parte la dubbia riferibilità al caso di specie delle norme invocate, il rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE ha preso parte ai rilievi effettuali in loco nell’immediatezza dell’accertamento, sondaggi che peraltro sono stati allegati al verbale di contestazione, per cui non è chiara la doglianza; né sono stati eseguiti ulteriori prelievi, circostanza nota alla ricorrente.
Con il quarto mezzo la ricorrente nel denunciare la violazione dell’art. 14 legge n. 689/1981, dell’art. 2697 c.c., dell’art. 116 c.p.c., nella sostanza lamenta che il Comune non ha dimostrato l’esistenza di uno scavo abusivo ovvero la qualità e la quantità del materiale estratto.
Appare al Collegio che lo stesso, ancorchè denunzi formalmente la violazione di legge, si risolva in una sostanziale, e non consentita in sede di legittimità, richiesta di rivalutazione dei fatti di causa, così come operata da parte del giudice del merito.
Correttamente la Corte del merito ha rilevato che nel caso lo scavo era avvenuto all’esterno ed oltre lo spazio autorizzato previsto, eccedendo dallo stesso e al di fuori dell’area autorizzata.
Il Giudice del merito si è posto in linea con l’orientamento espresso da questa Corte nella pronuncia n. 5757/2007, che richiama le precedenti sentenze n. 11464/03, n. 7918/90, (e si veda anche la successiva n. 6701/19), che, pronunciando in una fattispecie soggetta proprio alla legislazione regionale della Lombardia, seppure relativa a normativa antecedente, si è espressa nel senso che in tema di sanzioni amministrative per coltivazione di sostanze minerali di cava effettuata senza autorizzazione o concessione o in eccedenza rispetto ai quantitativi autorizzati, sia dalla disciplina della legge della regione Lombardia 30 marzo 1982, n. 18 (artt. 15 e 34), sia da quella della successiva legge reg., abrogatrice della precedente, 8 agosto 1998, n. 14 (artt. 13 e 29), si evince chiaramente che l’autorizzazione per la coltivazione della cava è rilasciata con preciso riferimento ad un’area ben determinata nelle sue delimitazioni spaziali, rappresentate dalla superficie (estensione) e dall’altezza (profondità) e non già con generico riguardo alla cava considerata nella sua entità oggettiva. Ne consegue che, se il materiale viene estratto all’esterno del perimetro di detta area od oltre la profondità consentita, l’attività deve considerarsi effettuata in mancanza di autorizzazione indipendentemente dal rispetto dei quantitativi consentiti, risolvendosi lo sconfinamento orizzontale o verticale dello scavo nello svolgimento di una attività estrattiva diversa da quella autorizzata.
Analoghe considerazioni devono farsi per quanto attiene alla contestazione circa la consistenza e natura del materiale asportato, atteso che il convincimento del giudice di merito risulta supportato dal richiamo alla relazione di servizio richiamata nel verbale di contestazione, con illustrazione della relativa situazione fattuale, in cui viene dato conto della preventiva attività istruttoria svolta (v. pag. 6 e ss. punto 17 della sentenza impugnata).
Dalla lettura del verbale emerge che il primo sopralluogo era stato effettuato il 14.05.2015, cui era seguito quello del 21.05.2015 alla presenza dell’ing. NOME COGNOME direttore responsabile della RAGIONE_SOCIALE, ed ulteriore il 29.05.2015 dal geologo del Comune, dott. COGNOME sempre in contraddittorio con la società, sopralluoghi che davano luogo a numerose riunioni del comitato di controllo nel giugno 2015. Altri sopralluoghi alla presenza dell’ing. COGNOME erano stati effettuali il 18 e 19.11.2015, cui seguivano sondaggi in data 26.11.2015.
Pertanto una volta pervenuta a tale conclusione in fatto, ed avendo ritenuto che fosse stata dimostrata la asportazione di materiale al di fuori della zona autorizzata, appare corretta la qualificazione ai sensi dell’art. 29 della legge n. 14/98, dell’attività posta in essere dalla ricorrente, potendosi a tal fine richiamare quanto già affermato da questa Corte (cfr. Cass. 29 ottobre 2012 n. 18592), secondo cui, anche laddove il soggetto sia stato autorizzato ad effettuare lavori di bonifica con asportazione di materiali, ai sensi della legislazione speciale in materia introdotta dalla Regione Lombardia, ove tuttavia effettui escavazioni al di sotto della fascia di terreno coinvolta, incidenti stabilmente e durevolmente sullo stato dell’area sia sotto il profilo ambientale e paesistico, sia sotto il profilo geofisico ed idrogeologico, si dà luogo all’apertura di una cava, che necessita della relativa autorizzazione, ponendo in essere un quid novi rispetto all’attività già autorizzata. Trattasi di considerazioni che appunto si fondano sull’accertamento di
un’attività di scavo, così come avvenuto nel caso in esame, è da ritenere di merito e come tale non censurabile in sede di legittimità.
Quanto infine alla doglianza concernente la mancata ripetizione dei sondaggi, occorre ribadire che la valutazione delle prove e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di formare il suo convincimento utilizzando gli elementi che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cfr. Cass. n. 11511 del 23 maggio 2014; Cass. n. 42 del 7 gennaio 2009; Cass. n. 2404 del 3 marzo 2000).
Ne consegue che non appare censurabile in questa sede la valutazione espressa sul punto dalla Corte distrettale che ha esplicitamente affermato che la prova dello scavo abusivo emergeva chiaramente dai sopralluoghi effettuati dal personale di vigilanza.
Con il quinto ed ultimo motive la ricorrente nel denunciare la violazione e la falsa applicazione dell’art. 29, comma 2 legge regionale n. 14/1998, dell’art. 8 bis della legge n. 689/1981, censura la decisione laddove ha ritenuto di non applicare la riduzione del 50% e corretta l’applicazione della maggiorazione per asserita recidiva.
Anche l’ultima censura è in parte infondata e in parte inammissibile.
La Corte di appello ha ritenuto correttamente legittima la sanzione inflitta in relazione all’applicabilità del criterio principale indicato nell’art. 29, comma 1, della L.R. n. 14/1998, così ravvisando l’inapplicabilità delle condizioni per l’irrogazione dell’entità ridotta al
50% come prevista dal successivo comma 2, nonché quelle stabilite dal comma terzo, il cui illecito, oltretutto, si identifica con altro tipo di condotta rispetto a quello contestato alla società ricorrente.
Ed infatti a quest’ultima risulta essere stata legittimamente contestata la violazione consistita nell’esecuzione di un’attività di scavo senza autorizzazione e non una violazione riconducibile alla mancata osservanza degli obblighi imposti da un già esistente provvedimento autorizzativo, ed è per questo che la Corte di appello ha escluso la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità della sanzione più lieve prevista dal citato art. 29, comma 3, ritenendo, quindi, la legittimità dell’irrogazione della sanzione più grave contemplata dal comma 1 del medesimo articolo.
Quanto, infine, alla dedotta applicazione di una maggiorazione per recidiva, dalla sentenza impugnata non risulta che la critica abbia formato oggetto di uno specifico motivo di appello, né la ricorrente precisa dove e con quale atto avrebbe denunciato detto vizio, per cui ne va ritenuta l’inammissibilità
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese processuali, liquidate come in disposivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore del Comune resistente, che vengono liquidate in complessivi euro 8.500,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1 comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda