Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20975 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20975 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9439/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocata COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 9128/2018 depositato il 10/09/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- NOME COGNOME ha proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso il decreto n. 9128/2018 del 10 settembre 2018, con il quale la Corte d’appello di Roma ha respinto l’opposizione ex art. 145 d.lgs. n. 385 del 1993 (T.U.B.) alla sanzione pecuniaria di € 387.300,00, irrogata dalla Banca d’Italia con provvedimento del 28 marzo 2013, in relazione alla qualità di componente del Comitato direttivo e responsabile della Direzione Finanza del Monte dei Paschi di Siena.
Resiste con controricorso la Banca d’Italia.
Le parti hanno depositato memorie.
2. -Le contestazioni mosse al COGNOME dalla Banca d’Italia derivavano dagli accertamenti ispettivi di vigilanza condotti fra il 27 settembre 2011 ed il 9 marzo 2012 ed attenevano a irregolarità riscontrate relativamente a profili di conformità della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (violazione dell’art. 53, comma 1, lett. b del d.lgs. n. 385/1993, del Tit. II, Cap. 4° e del Tit. V, Cap. 2° della Circolare Banca d’Italia n. 263/2006, nonché della Comunicazione della Banca d’Italia del 10 dicembre 2007 e dell’art. 144 del d.lgs. n. 385/1993). Nel provvedimento del 28 marzo 2013, al COGNOME fu attribuita la commissione di ‘ operazioni gravemente pregiudizievoli per l’equilibrio finanziario, economico patrimoniale nonché reputazionale dell’intermediario, alcune delle quali pure oggetto, da ultimo, di indagini penali’, con irrogazione della sanzione pari al triplo del massimo, ai sensi dell’art. 8 della legge n. 689 del 1981, in ragione “delle responsabilità allo stesso direttamente imputabili con riguardo sia alla gestione del portafoglio proprietario, sia al compimento di alcune operazioni che hanno cagionato grave pregiudizio alla banca” .
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Non ha rilievo la deduzione contenuta nella memoria depositata dal ricorrente in data 24 marzo 2025 circa la garanzia del diritto di difesa e del contraddittorio sugli eventuali ‘argomenti nuovi e … decisivi ‘ addotti nella memoria della controricorrente (peraltro, depositata il 21 marzo 2025 ed accettata il 22 marzo 2025, dunque prima ancora della scadenza del termine di dieci giorni prima dell’adunanza ex art. 380 -bis.1. c.p.c.). Le memorie ex artt. 378 o 380-bis.1, c.p.c. hanno soltanto la funzione di illustrare e chiarire le ragioni svolte in ricorso o in controricorso e di confutare le tesi avversarie, non di dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove questioni di dibattito.
-Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 145 del d.lgs. 385/1993 e del regolamento della Banca d’Italia del 25 giugno 2008, per non avere la Corte di appello di Roma riconosciuto che il provvedimento sanzionatorio era stato tardivamente emesso. La censura invoca il termine di 240 giorni di conclusione del procedimento sanzionatorio stabilito dal richiamato regolamento, termine decorrente a sua volta dalla scadenza del termine di trenta giorni -non prorogabile – per la presentazione delle controdeduzioni da parte del soggetto che ha ricevuto per ultimo la notifica della contestazione.
2.1. Il motivo è infondato. La Corte d’appello di Roma ha affermato che l’opponente aveva fruito ‘di una proroga temporale per presentare le proprie controdeduzioni in sede di istruttoria ispettiva, e che tale proroga scadeva in data 3 agosto 2013’.
La soluzione seguita dalla Corte d’appello è conforme al principio enunciato da Cass. n. 9385 del 2020, secondo cui nella procedura sanzionatoria ex art. 145 del d.lgs. n. 385 del 1993, il termine di duecentoquaranta giorni, previsto del regolamento della Banca
d’Italia del 25 giugno 2008 per la conclusione del procedimento, inizia a decorrere dalla scadenza del termine per la presentazione delle controdeduzioni da parte del soggetto che ha ricevuto per ultimo la notifica della contestazione, sicché, ove tale termine sia stato prorogato, il termine finale di conclusione del procedimento decorre dallo scadere del nuovo termine come prorogato.
Il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia l’apparenza della motivazione sulla triplicazione della sanzione.
Il terzo motivo di ricorso deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione alla triplicazione della sanzione.
Il quarto motivo di ricorso deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione al ‘ragionamento giuridico che ha portato il Giudice alla decisione’, circa la sussistenza del ‘presupposti per l’irrogazione della sanzione’, la ricostruzione dei fatti e l’indicazione degli elementi probatori.
3.1. -I motivi dal secondo al quarto di ricorso possono esaminarsi congiuntamente, in quanto connessi, e si rivelano infondati.
Il decreto impugnato contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, e non è perciò affatto ‘apparente’, consentendo un «effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice» (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 8053 del 2014; n. 22232 del 2016; n. 2767 del 2023).
In particolare, a pagina quattro del decreto si indica, a fondamento dell’applicabilità del regime del concorso formale di cui all’art. 8 della legge 24 novembre 1981, n. 689, la configurabilità di plurime violazioni di disposizioni di vigilanza in materia di contenimento dei
rischi finanziari, riconducibili ad un’azione strategica e manageriale unitaria.
Nelle pagine da cinque a otto del provvedimento impugnato sono poi addotti gli argomenti circa la sussistenza delle contestate violazioni della legge bancaria, l’effettiva gravità dei fatti concreti, globalmente desunta dagli elementi oggettivi e soggettivi, la valutazione dei dati acquisiti.
E’ da considerare che il giudizio di opposizione a sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia non configura un’impugnazione dell’atto, ed introduce, piuttosto, un ordinario giudizio sul fondamento della pretesa dell’autorità amministrativa, devolvendo comunque al giudice adito la piena cognizione circa la legittimità e la fondatezza della stessa, con l’ulteriore conseguenza che il giudice ha il potere – dovere di esaminare l’intero rapporto, con cognizione non limitata alla verifica della legittimità formale del provvedimento, ma estesa – nell’ambito delle deduzioni delle parti all’esame completo nel merito della fondatezza dell’ingiunzione, ivi compresa la determinazione dell’entità della sanzione, sulla base di un apprezzamento discrezionale, insindacabile, pertanto, in sede di legittimità se congruamente motivato e immune da errori logici o giuridici.
A ciò consegue che il ricorso per cassazione proposto nei confronti della decisione di merito sulla opposizione a sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia, ove siano dedotti, come nella specie, vizi di motivazione consistenti nella inadeguata giustificazione del rigetto delle ragioni di impugnazione dell’ordinanza-ingiunzione, non può limitarsi ad una generica censura, ma deve specificare quali ragioni fossero state addotte in sede amministrativa per contestare l’illecito e quali argomentazioni siano state indicate in sede di opposizione giurisdizionale.
4. – Con la memoria depositata in data 5 aprile 2024, per l’adunanza del 17 aprile 2024, il ricorrente ha prodotto:
‘sentenza n. 3340/2022 di assoluzione perché il fatto non sussiste pronunciata in data 6 maggio 2022 dalla Corte d’Appello di Milano’ in relazione alle imputazioni di ‘falso in bilancio, aggiotaggio informativo e ostacolo alla vigilanza’;
‘sentenza n. 4813/2024 pronunciata in data 11 ottobre 2023 dalla Corte di cassazione nei confronti del dott. COGNOME imputato dei reati di falso in bilancio, aggiotaggio informativo e ostacolo alla vigilanza’;
‘sentenza n. 2998/2022 di assoluzione perché il fatto non sussiste pronunciata in data 15 luglio 2022 dalla Corte d’Appello di Firenze nei confronti del dott. COGNOME imputato del reato di ostacolo alla vigilanza’.
Con ordinanza interlocutoria n. 19630 del 2024 era stato così disposto il rinvio a nuovo ruolo della causa.
Il ricorrente ha depositato nuova memoria il 24 marzo 2025.
Con riguardo alle sentenze penali di assoluzione ‘ perché il fatto non sussiste ‘ in relazione ai reati di falso in bilancio, aggiotaggio informativo e ostacolo alla vigilanza, il medesimo ricorrente invoca il venir meno ‘ del fondamento storico e giuridico sulla base del quale Banca d’Italia aveva comminato all’odierno ricorrente la sanzione pecuniaria di importo pari a € 387.330,00 ‘, desumendone ‘ la totale inattendibilità degli accertamenti ispettivi di vigilanza condotti da Banca d’Italia, tra il 27 settemb re 2011 e il 9 marzo 2012, nei confronti di Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. ‘, ‘ viziati a causa dalle gravi e inequivocabili negligenze degli ispettori ‘. Dal giudicato penale si trarrebbe che sono rimaste prive di ‘ efficacia le risultanze ispettive di Banca d’Italia nella loro interezza, le quali, quindi, non possono logicamente essere assunte come valido presupposto (non
solo per qualsivoglia responsabilità penale, ma neanche) per l’irrogazione della contestata sanzione pecuniaria ‘.
Ora, non può non ribadirsi che, qualora un procedimento amministrativo sanzionatorio concerna i medesimi fatti oggetto di un procedimento penale definito con sentenza passata in giudicato di assoluzione “perché il fatto non sussiste”, il divieto del ” ne bis in idem ” preclude la possibilità di continuare nell’accertamento dell’illecito amministrativo e nell’eventuale successivo giudizio di opposizione, con conseguente non applicazione della disposizione sanzionatoria (Cass. n. n. 31632 del 2018).
4.1. -Sennonché, il tenore delle censure proposte dal ricorrente, come visto, non ha rimesso a questa Corte l’esame specifico del contenuto delle infrazioni contestate ovvero degli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione.
Le sanzioni amministrative irrogate al COGNOME concernono la violazione dell’art. 53, comma 1, lett. b del d.lgs. n. 385/1993, del Tit. II, Cap. 4° e del Tit. V, Cap. 2° della Circolare Banca d’Italia n. 263/2006, nonché della Comunicazione della Banca d’Italia del 10 dicembre 2007 e dell’art. 144 del d.lgs. n. 385/1993. Le contestazioni oggetto del presente giudizio erano, cioè, inerenti alla inosservanza delle disposizioni di carattere generale emanate dalla Banca d’Italia aventi ad oggetto il contenimento del rischio creditizio nelle sue diverse configurazioni, le quali sanciscono doveri di particolare pregnanza in capo al consiglio di amministrazione delle società bancarie, che riguardano l’intero organo collegiale, essendo tutti i consiglieri tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicché rispondono del mancato utile attivarsi, spettando loro, in presenza di oggettivi segnali di allarme, di provare di avere tenuto la condotta mirante a scongiurare il danno.
Non vi era dunque una perfetta coincidenza fra le fattispecie delittuose, oggetto degli invocati giudicati penali, e le condotte sanzionate nel provvedimento del 28 marzo 2013, qui oggetto di opposizione. Tanto meno, peraltro, nel verificare la legittimità delle irrogate sanzioni amministrative, sussiste un vincolo circa la valutazione degli elementi istruttori compiuta in sede penale, elementi la cui rilevanza va vagliata nell’ambito specifico delle contestate violazioni in tema di contenimento del rischio creditizio.
Invero, il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all’art. 372 c.p.c., non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., unicamente al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza (o insussistenza) dei fatti, non assumendo in tali casi alcuna valenza enunciativa della “regula iuris” alla quale il giudice civile ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, e non essendo utilmente deducibili nel giudizio di legittimità valutazioni di stretto merito (tra le tante, Cass. n. 9900 del 2024; n. 22376 del 2017; n. 23483 del 2010).
4.2. -Va considerato che analoghe contestazioni per violazione dell’art. 53, comma 1, lett. b del d.lgs. n. 385/1993 rivolte ad altri esponenti aziendali del Monte dei Paschi di Siena sono state decise da questa Corte con le pronunce: n. 7141 del 2025; n. 7135 del 2025; n. 6035 del 2025; n. 29844 del 2024; n. 28325 del 2024; n. 26548 del 2024; n. 12295 del 2024 ed altre precedenti.
-Il quinto motivo di ricorso deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e del d.m. 10 marzo 2014, n. 55, in
relazione all’ammontare della condanna alle spese giudizio, liquidata in € 15,000,00 sentenza tener conto che ‘il procedimento di opposizione rientra nell’ambito di quelli di volontaria giurisdizione’ (tant’è che era stato iscritto dalla cancelleria nel ruolo generale volontaria giurisdizione), sicché dovevano calcolarsi i parametri sulla base della Tabella n. 7 allegata al detto d.m.
5.1. -Il quinto motivo è manifestamente infondato.
Il giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 145 del d.lgs. n. 385 del 1993, anche prima delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 72 del 2015, allorché si prevedevano le forme del rito camerale, è volto a risolvere una controversia su contrapposte posizioni di diritto soggettivo che si svolge in pieno contraddittorio tra le parti e si conclude con un provvedimento suscettibile di acquistare autorità di giudicato. Ne consegue che trovano applicazione analogica le disposizioni degli artt. 91 ss. c.p.c. in tema di spese processuali e che la relativa liquidazione va effettuata non già in base alla tabella n. 7 del d.m. n. 55 del 2014 del Ministero della Giustizia, concernente i procedimenti di volontaria giurisdizione, bensì a quella n. 12 del medesimo d.m. sui giudizi ordinari innanzi alla corte d’appello. In tema di individuazione della natura contenziosa o di volontaria giurisdizione di un procedimento civile ai fini della liquidazione delle spese di lite, sono, del resto, irrilevanti sia la registrazione del fascicolo presso la cancelleria come procedimento di volontaria giurisdizione sia l’avvenuta trattazione della causa in camera di consiglio, trattandosi di dati meramente formali che non possono prevalere sull’effettiva sostanza e natura del procedimento (Cass. n. 10750 del 2019).
6. – Il ricorso va perciò rigettato.
Segue la condanna del ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 1 0 .200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile