Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1108 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1108 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26532/2019 R.G. proposto da:
DI NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo STUDIO RAGIONE_SOCIALE COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al ricorso;
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELL’ ECONOMIA E DELLE FINANZE, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende ex lege;
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al controricorso e ricorso incidentale; -controricorrente e ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n.2152/2018 depositata l’8.2.2019 .
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18.9.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Comando del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Bari contestava l’8.8.2007 a NOME COGNOME COGNOME in qualità di direttore generale e segretario del Consiglio di Amministrazione della Banca di Credito Cooperativo del Nord Barese Società Cooperativa RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi BCC), ramo di azienda poi ceduto nel 2006 alla Banca Popolare Pugliese Società Cooperativa per Azioni, (d’ora in poi BPP), ed a carico di quest’ultima, l’omessa segnalazione di operazioni sospette di cui all’art. 3 della L. n.197/1991 e successive modificazioni, avvenute nel periodo maggio 2003-novembre 2004 presso la filiale di Ruvo di Puglia, e la direzione V del Ministero dell’Economia irrogava in solido a carico dei predetti, col decreto n. 94398/A del 23.7.2012, la sanzione amministrativa di € 171.300,00, pari al doppio del minimo.
Avverso tale decreto proponevano separate opposizioni, poi riunite, sia COGNOME che la BPP al Tribunale di Trani, Sezione distaccata di Andria, che con sentenza n. 1031/2016 del 15.7.2016, accoglieva le opposizioni, annullando il decreto n. 94398/A del 23.7.2012 del Ministero dell’Economia e delle Finanze e compensando le spese processuali.
Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendo la conferma del decreto sanzionatorio n. 94398/A del 23.7.2012 per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 197/1991 e per contraddittorietà della motivazione; il Di COGNOME chiedeva che l’appello principale fosse respinto e la cessionaria del ramo di azienda, RAGIONE_SOCIALE proponeva appello incidentale, assumendo che per il principio dell’intrasmissibilità delle sanzioni amministrative agli eredi ex art. 7 L. n. 689/1981, la sanzione pecuniaria non potesse esserle ascritta per la responsabilità solidale col Di COGNOME della BCC.
La Corte d’Appello di Bari con la sentenza n. 2152/2018 del 18.12.2018/8.2.2019, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva in parte l’appello principale del Ministero, riducendo la sanzione pecuniaria annullata dal Tribunale da € 171.320,00 ad € 84.650,00 (5% del valore delle operazioni sospette non segnalate per € 1.693.000,00), respingeva l’appello incidentale della BPP, compensava per metà le spese processuali del doppio grado e condannava in solido quest’ultima e COGNOME Simone al pagamento in favore del Ministero della residua metà delle spese processuali per entrambi i gradi di giudizio.
In particolare, la Corte d’Appello di Bari riteneva che l’operazione per € 20.000,00 eseguita il 21.9.2004 da COGNOME NOME fosse oggettivamente priva di caratteristiche indicative di anomalia, e sanzionava le condotte degli appellati, basandosi sull’interpretazione data dalla Suprema Corte (Cass. n. 20647/2018) all’art. 3, comma 1 del D.L. n. 143 del 1991,
convertito dalla L. n. 197/1991, sostituito dall’art. 1 del D. Lgs. n.153/1997, ritenendo che il responsabile della dipendenza di Ruvo di Puglia, COGNOME fosse tenuto a segnalare al titolare della BCC ogni operazione che riteneva provenire da reati attinenti al riciclaggio sulla base di elementi oggettivi riferibili alle operazioni stesse o alla capacità economica ed all’attività dei clienti, senza potersi sottrarre all’obbligo di segnalazione in ragione della conoscenza dei soggetti coinvolti e della provenienza del denaro utilizzato, tanto più che la suddetta banca aveva iniziato ad operare nel giugno 2003, senza essere dotata del sistema Gianos di rilevazione automatica delle operazioni anomale, pur obbligatorio, acquistato poi nel gennaio 2005, ed attivato solo nell’agosto 2005, per cui il Di COGNOME avrebbe dovuto usare la massima cautela nella valutazione in ordine alle segnalazioni da effettuare ed a tale responsabilità era connessa quella della cessionaria dell’azienda RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso principale a questa Corte, notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed alla BPP, COGNOME COGNOME sulla base di due motivi; ha notificato alle altre parti controricorso e ricorso incidentale la BPP, affidato a cinque motivi; ha resistito il Ministero dell’Economia e della Finanze con controricorso.
Il ricorrente principale e la ricorrente incidentale hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.
Con ordinanza interlocutoria del 29.2/29.4.2024 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in quanto mancante la comunicazione dell’udienza camerale al controricorrente Ministero.
Eseguita la comunicazione alle parti il 27.5.2024, il 25.7.2024 la Procura Generale, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME concludeva per il rigetto del ricorso principale, l’accoglimento del quinto motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del quarto, e la reiezione degli altri motivi del
ricorso incidentale e la BPP depositava ulteriore memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 )Col primo motivo il ricorrente principale lamenta, in relazione all’art. 360, comma primo n. 3) c.p.c., la violazione dell’art. 3 del D.L. n. 143/1991, convertito nella L. n. 197/1991, ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, identificato nel fatto che all’epoca delle operazioni alle quali si riferiva la contestazione delle omesse segnalazioni del direttore della dipendenza al titolare della BCC, le fattispecie che costituivano riciclaggio erano qualitativamente e quantitativamente diverse da quelle introdotte dall’art. 2 del D. Lgs. n. 231/2007, e gli articoli 648 bis e 648 ter cod. pen. escludevano la responsabilità dell’autore del reato presupposto e del concorrente nello stesso reato, e quindi anche l’obbligo del responsabile della dipendenza della segnalazione delle operazioni bancarie poste in essere dal presunto autore del reato presupposto, o dal concorrente in tale reato, a differenza di quanto successivamente previsto.
Quanto alla violazione di legge, osserva il ricorrente principale che l’impugnata sentenza pur essendosi uniformata all’interpretazione dell’art. 3 del D.L. n.143/1991, convertito nella L. n. 197/1991, fornita dalla sentenza n.20647/2018 della Corte di Cassazione, non ha seguito quell’altro orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. 10.4.2007 n. 8699; Cass. n. 8699/2007), che sulla base del decalogo dettato nel 2001 dalla Banca d’Italia, individua le operazioni delle quali è obbligatoria la segnalazione, e che ritiene necessario tener conto della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui l’operazione è riferita.
Aggiunge ancora il ricorrente, oltre a riproporre le giustificazioni addotte sui sette rapporti bancari oggetto di rilievo non considerate
dall’impugnata sentenza, che la Corte d’Appello di Bari non aveva tenuto conto del fatto che il sistema operativo Gianos di rilevazione automatica delle operazioni anomale, anche se attivato solo nell’agosto 2005, era stato acquistato dalla banca a gennaio 2005, e che nel periodo compreso tra il 13.7.2005 ed il 30.8.2005 la BCC era stata sottoposta a verifica ispettiva della Banca d’Italia, che non aveva formulato a carico del direttore dell’unica sede della BCC Di Rella alcun rilievo in materia di ‘antiriclaggio’.
Col secondo motivo di ricorso incidentale, esaminabile per identità oggettiva insieme al primo motivo del ricorso principale, la BPP lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 3 del D.L. n.143/1991, convertito nella L. n.197/1991, ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, associandosi al primo motivo di ricorso principale.
Il primo motivo del ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale sono infondati.
La Suprema Corte (vedi Cass. n. 2129/2024; Cass. 8.8.2018 n. 20648; Cass. 30.10.2009 n. 23017; Cass. n. 8699/2007), infatti, ha evidenziato che lo scopo cui tende la normativa interessante la presente causa è quello, annunziato già nel titolo del più volte citato D.L. n. 143 del 1991, di contrastare i fenomeni criminali, limitando l’uso del denaro contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenendo ” l’utilizzazione dei sistema finanziario a scopo di riciclaggio “; a tal fine, il legislatore – recependo anche direttive europee (D.Lgs. n. 153 del 1997) – intende reprimere alcune condotte di pericolo (Cass. n.6647/2007) fra le quali, per quanto ora interessa, quelle operazioni che ” per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza, induca(no) a ritenere ” la possibile provenienza di denaro, beni o utilità, oggetto di dette operazioni, da taluno dei reati contemplati dagli artt. 648 bis e 648 ter c.p. (D.L. n. 143 del 1991, art. 3, comma 1, sostituito
dal D.Lgs. n. 153 del 1997, art. 1, entrato in vigore il 1.9.1997, per segnalazioni effettuate dopo tale data, come prescrive il successivo art. 2, quindi applicabile alla controversia in esame).
E’ necessario sottolineare, in proposito, che tenuto a segnalare simili operazioni è ” il responsabile della dipendenza “, il quale ne riferisce al ” titolare dell’attività ” e che è solo quest’ultimo, che esamina le segnalazioni pervenutegli e qualora le ritenga fondate tenendo conto dell’insieme degli elementi a sua disposizione, le trasmette senza ritardo all’Ufficio italiano cambi, che può disporne l’ulteriore eventuale comunicazione alla Guardia di Finanza, ed altrimenti le archivia.
Nelle ipotesi contemplate dall’art. 3 sopra citato, ossia nel caso di operazioni sospettabili di riciclaggio, la legge prevede dunque un duplice obbligo di segnalazione (Cass. n. 25134/2008), ugualmente sanzionato dal D.L. n. 143 del 1991, art. 5, comma 5: da parte del responsabile della dipendenza al titolare dell’attività, ossia all’organo direttivo della banca, e da parte di quest’ultimo all’Ufficio Italiano Cambi, che poi ove confermi i sospetti, ulteriormente trasmette le segnalazioni alla Guardia di Finanza.
È del tutto evidente che il potere di valutare le segnalazioni e di trasmetterle all’Ufficio Italiano Cambi solo se le ritenga fondate, in base all’insieme degli elementi a disposizione, spetta solo al titolare dell’attività, mentre il responsabile della dipendenza, come l’odierno ricorrente, ha un margine di discrezionalità più ridotto, dovendo segnalare al suo superiore “ogni” operazione che lo “induca a ritenere” che l’oggetto di essa “possa provenire” da reati attinenti al riciclaggio.
Nell’ambito di questo più ristretto margine di giudizio, il responsabile della dipendenza deve controllare, per vero, che sussistano elementi tali da far ritenere sospetta l’operazione; ma si tratta di elementi essenzialmente oggettivi stabiliti dalla stessa legge -caratteristiche, entità, natura o “qualsivoglia altra
circostanza” oggettivamente significativa -o ulteriormente specificati dalla Banca d’Italia; laddove gli elementi (pur sempre di carattere oggettivo) riferibili al cliente, che il responsabile della dipendenza è pure tenuto a considerare, sono la capacità economica e l’attività svolta, e ciò significa, evidentemente, che l’entità dell’operazione non può essere elevata a sospetto se risulta che il soggetto operante è dotato di alta capacità economica, mentre non possono di per sé portare ad escludere la segnalazione ” la conoscenza dei soggetti coinvolti e della provenienza del denaro utilizzato “.
Onde ridurre i margini di incertezza connessi con valutazioni soggettive o con comportamenti discrezionali ed evitare forme di ” arbitraggio normativo dirette a eludere gli obblighi di legge “, e per assicurare la ” omogeneità di comportamento del personale degli intermediari” , la Banca d’Italia (vedi in tal senso Cass. n.8699/2007), in applicazione dell’art. 4 comma 3° lett. c) del D.L. n. 143 del 1991, ha emanato nel febbraio 1993 delle “Istruzioni operative per l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio (cosiddetto decalogo), aggiornate nel novembre 1994 e rinnovate il 12 gennaio 2001, ai sensi del D.L. n. 143 del 1991, art. 3 – bis, comma 4, (aggiunto dal D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 153), dirette a superare la genericità della disciplina applicativa della dir. n.91/308/CEE. Con tali istruzioni l’Istituto di vigilanza ha introdotto, tra l’altro, una casistica esemplificativa delle anomalie attinenti alla forma oggettiva delle operazioni bancarie, in esse ricomprendendo anche l’insieme di movimentazioni tra loro funzionalmente ed economicamente collegate, in presenza delle quali delle operazioni pur di per sé neutre, potendo dissimulare un’attività di riciclaggio, vanno rapportate alla capacità economica od all’attività del cliente, ed impongono all’operatore dell’intermediario l’effettuazione di specifiche indagini per valutare,
in base alle altre notizie di cui dispone in virtù delle propria attività, la loro effettiva natura sostanziale.
Detta valutazione, anche se costituisce il risultato di un apprezzamento soggettivo, deve avere natura impersonale, come evidenziato dalla necessità e sufficienza che essa ” induca a ritenere … che il denaro, i beni o le utilità … possano provenire ” da delitto e, conseguentemente, la nozione di sospetto, nel quale essa si deve concretizzare per imporre l’adempimento all’obbligo di segnalazione dell’operazione, va individuata tenendo conto che la segnalazione ha la funzione di mero filtro, attraversato il quale l’Ufficio italiano dei cambi esercita sul fatto un’ulteriore attività di approfondimento, che può concludersi, a norma del D.L. n. 143 del 1991, art. 3, comma 4, lett. f), anche con una archiviazione in via amministrativa che precede qualsiasi indagine di polizia giudiziaria. La segnalazione delle operazioni recanti anomalie formali non è subordinata, dunque, all’evidenziazione dalle indagini dell’operatore degli intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio, e neppure all’esclusione in base ad un personale convincimento dello stesso dell’estraneità dell’operazione ad una attività delittuosa, ma ad un giudizio puramente tecnico sulla idoneità di esse, valutati gli elementi oggettivi e soggettivi che le caratterizzano, ad essere strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire la conversione, il trasferimento, l’occultamento, la dissimulazione, l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni provenienti da una attività criminosa o da una partecipazione a tale attività.
Nella specie, l’impugnata sentenza, correggendo l’errore nell’interpretazione della normativa commesso in primo grado, ha tenuto conto che le operazioni oggetto di contestazione corrispondevano pacificamente al decalogo delle operazioni sospette elaborato dalla Banca d’Italia, per cui il Di COGNOME quale responsabile della dipendenza di Ruvo di Puglia della BCC e non titolare della stessa, non avrebbe potuto omettere le segnalazioni
relative al titolare della BCC sulla base della semplice conoscenza dei soggetti operanti e della valutazione della presumibile provenienza del denaro, tanto più che come rilevato in secondo grado, la dipendenza non era dotata del sistema Gianos di rilevazione automatica delle operazioni anomale, che pure all’epoca già risultava obbligatorio, ed avrebbe perciò dovuto usare particolare prudenza nel vagliare sul piano oggettivo se operazioni presuntivamente sospette per corrispondenza al decalogo della Banca d’Italia, perché svolte con denaro contante o con cambio di assegni in denaro volti a contrastare la tracciabilità dei movimenti finanziari, in realtà fossero certamente da escludere dal novero delle operazioni sospette.
La giurisprudenza della Suprema Corte richiamata dal ricorrente principale (Cass. n. 23017/2009; Cass. n. 9089/2007; Cass. n. 8699/2007) o si riferisce alla ben più penetrante valutazione che compete al titolare, o legale rappresentante di una banca e non di una dipendenza, o quando è relativa a tale ultima figura, nega la possibilità di evitare la segnalazione delle operazioni sospette corrispondenti al decalogo della Banca d’Italia sulla base della mera conoscenza dei soggetti coinvolti e della provenienza del denaro.
Vanno quindi esaminati congiuntamente il secondo motivo del ricorso principale ed il quinto motivo del ricorso incidentale della BPP.
Col secondo motivo il ricorrente principale lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione dell’art. 5 del D.L. n. 143/1991 (che prevede che la violazione dell’obbligo di segnalazione in questione sia punita con la sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10% dell’importo dell’operazione), convertito nella L. n. 197/1991, del D. Lgs. n. 231/2007 e dell’art. 11 della L. n. 689/1981 (che prevede che nell’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un minimo ed un massimo si deve aver riguardo alla gravità della violazione,
all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso, ed alle sue condizioni economiche), ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, individuato nella pubblicazione in data 22.8.1997 della Circolare dell’Ufficio Italiano Cambi, recante le istruzioni per la produzione delle segnalazioni di operazioni da parte degli intermediari finanziari e creditizi, che indica che ‘ è considerata operazione sia una singola transazione sia un insieme di transazioni che appaiano tra loro funzionalmente ed economicamente collegate ‘.
Sostiene il ricorrente principale che l’impugnata sentenza pur avendo rideterminato la sanzione applicata nel 5% anziché nel 10% dell’importo complessivo delle operazioni, abbia erroneamente individuato la base di calcolo della sanzione amministrativa nell’importo di € 1.693.000,00, non considerando che più operazioni tra loro funzionalmente ed economicamente collegate, non meglio individuate, si sarebbero dovute considerare, in base alla circolare sopra citata, come un’unica operazione, evitando improprie duplicazioni di importi.
Col quinto motivo del ricorso incidentale la BPP lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della L. n. 689/1981 e degli articoli 58 e 69 del D. Lgs. n. 90 del 2017 ed invoca l’applicazione del principio del favor rei, introdotto espressamente nell’art. 69 del D. Lgs. n. 231/2007 dall’art. 58 del D. Lgs. n.90/2017, valevole anche per i procedimenti di opposizione a sanzione amministrativa in materia di antiriciclaggio ancora pendenti al momento dell’entrata in vigore della riforma normativa. Anche se il secondo motivo del ricorso principale risulta meno preciso nella formulazione della doglianza quanto alla individuazione delle operazioni che sarebbero state duplicate e all’indicazione degli atti in cui le deduzioni sarebbero state
sollevate, sia tale censura che il quinto motivo del ricorso incidentale della BPP involgono la questione della mancata applicazione del regime sanzionatorio sopravvenuto alla mancata segnalazione delle operazioni sospette di violazione della normativa antiriciclaggio in questione più favorevole.
Un orientamento più che consolidato della Suprema Corte (Cass. n.22016/2020; Cass. n. 13509/2019; Cass. n. 11774/2019; Cass. n.28888/2018; Cass. n. 23518/2018; Cass. n. 20697/2018; Cass. n.20648/2018; Cass. n. 20647/2018; Cass. n. 19617/2018) ha riconosciuto che in materia di sanzioni amministrative, le norme sopravvenute nella pendenza del giudizio di legittimità che dispongano retroattivamente un trattamento sanzionatorio più favorevole devono essere applicate anche d’ufficio dalla Corte di cassazione (ciò vale per il ricorrente principale COGNOME che ha sollevato un motivo comunque relativo alla misura della sanzione applicatagli), ed a maggior ragione quando, come nel caso della ricorrente incidentale BPP, vi sia uno specifico motivo d’impugnazione, atteso che la natura e lo scopo squisitamente pubblicistici del principio del favor rei devono prevalere sulle preclusioni derivanti dalle ordinarie regole in tema d’impugnazione; né tale conclusione contrasta con i principi in materia di rapporto fra jus superveniens e cosa giudicata, perché la statuizione sulla misura della sanzione è dipendente dalla statuizione sulla responsabilità del sanzionato e pertanto, ai sensi dell’art . 336 c.p.c., è destinata ad essere travolta dall’eventuale caducazione di quest’ultima, cosicché essa non può passare in giudicato fino a quando l’accertamento della responsabilità del sanzionato non sia a propria volta passata in giudicato (Cass. n. 20697 del 2018).
Ciò posto, la necessità di valutare, anche in relazione al superamento della nozione utilizzata di ‘operazioni’ , quale sia il regime sanzionatorio che in concreto può risultare più favorevole ai soggetti sanzionati, all’esito degli apprezzamenti di fatto di cui
all’art. 67 del D. Lgs. n. 231 del 2007, come modificato dal D.Lgs. n. 90 del 2017, impone la cassazione della sentenza gravata ed il rinvio alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, affinché valuti se, in relazione alle condotte di omessa segnalazione contestate al Di COGNOME, che hanno comportato la responsabilità solidale della RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria del ramo di azienda di Ruvo di Puglia della BCC, debba ritenersi in concreto più favorevole il regime sanzionatorio di cui al D.L. n. 143 del 1991, o quello di cui al D.Lgs. n. 231 del 2007, come modificato dal D.Lgs. n. 90 del 2017 e, in questa seconda ipotesi, ridetermini il trattamento sanzionatorio a carico dei coobbligati alla stregua della normativa sopravvenuta.
Col primo motivo del ricorso incidentale la BPP lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, 6 e 7 della L. n. 689/1981, nonché degli artt. 58 del D. Lgs. n. 385/1983 e 2560 comma 2° cod. civ.
Il motivo è infondato, in quanto nel settore specifico della cessione di aziende bancarie trova applicazione, non l’invocato art. 7 della L. n. 689/1981, che si riferisce all’intrasmissibilità agli eredi delle sanzioni amministrative, né l’art. 2560 comma 2° cod. civ., che regola la cessione di azienda in generale prevedendo un meccanismo di responsabilità solidale della cessionaria con la cedente purché si tratti di obbligazioni risultanti dai libri contabili obbligatori, bensì l’art. 58 del D. Lgs. n. 385/1993, che prevede decorsi tre mesi dagli adempimenti pubblicitari relativi alla cessione la responsabilità della sola cessionaria per le obbligazioni (anche da illecito amministrativo) che siano sorte prima della cessione senza richiedere che risultino dai libri contabili obbligatori (vedi in tal senso Cass. n. 2523/2017).
Col terzo motivo di ricorso incidentale, pedissequamente ripetuto dal quarto, la BPP lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione dell’art. 5 del D.L. n. 143/1991,
convertito nella L. n. 197/1991, dell’art. 1 del D. Lgs. n. 231/2007 e dell’art. 11 della L. n. 689/1981 in ordine alla determinazione dell’ammontare dell’operazione, ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, identificato nel fatto che non sarebbe stato considerato che non tutti i movimenti contabili rilevati dalla Guardia di Finanza estrapolandoli dall’Archivio Unico Informatico costituivano un’operazione, e che pertanto per alcuni di essi, non meglio identificati, vi era stata una duplicazione di operazioni in realtà uniche, per cui era stata determinata una base di calcolo della sanzione amministrativa in percentuale applicata esagerata di €1.693.000,00.
Il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale devono ritenersi assorbiti per effetto dell’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale e del, quinto motivo del ricorso incidentale inerenti alla necessaria individuazione preliminare del trattamento sanzionatorio più favorevole.
Il giudice di rinvio provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il secondo motivo del ricorso principale di COGNOME ed il quinto motivo del ricorso incidentale della Banca Popolare Pugliese Società Cooperativa per Azioni nei termini di cui in motivazione, rigetta il primo motivo del ricorso principale, nonché il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbiti il terzo e quarto motivo del ricorso incidentale; cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda