Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5749 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5749 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22212/2023 R.G. proposto da:
DA NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 2537/2023, depositata il 06/04/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOMEDirettori pro tempore della filiale di Genova Fiasella di Unicredit s.p.a.) e Unicredit s.p.a. (quest’ultima obbligata in solido) propo sero opposizione innanzi al Tribunale di Roma avverso il decreto dirigenziale del Ministero dell’Economia e delle Finanze (‘MEF’) che irrogava agli opponenti le sanzioni amministrative pecuniarie rispettivamente di €. 29.585,00, €. 2 .498.871,00 , €. 173.390,00 (pari al 10% degli importi addebitabili pro quota sulle operazioni contestate) per violazione degli obblighi di segnalazione di operazioni sospette previsti dall’art. 3, comma 2, legge n. 197 del 1991 e dall’art. 41 d.lgs. n. 231 del 2007.
1.1. La contestazione prendeva avvio dagli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza su un conto corrente acceso da RAGIONE_SOCIALE presso la Filiale Genovese Fiasella della banca Unicredit s.p.a. al fine di effettuare attività di investimento sul mercato delle valute nell’interesse dei propri clienti, i quali conferivano su detto conto somme poi detenute presso un broker estero fino alla richiesta di disinvestimento da parte di ciascun cliente; richiesta che spesso veniva onorata utilizzando nuove somme appena investite da altri clienti.
Gli elementi di sospetto nella gestione del conto corrente che dovevano essere segnalati erano costituiti dal fatto che su un unico conto (c.d. omnibus , o calderone ) venissero fatti confluire i versamenti di tutti i clienti della GForex s.p.a., realizzando una confusione di patrimoni che rendeva difficile accertare la provenienza e l’impiego del denaro versato; dall’elevato numero di operazioni di accredito provenienti da soggetti diversi e con la medesima causale (‘ conferimento’ ); dall’ingente importo comp lessivo delle operazioni effettuate (oltre 27 ml di euro nel periodo in contestazione: 26.06.2006 -22.03.2011).
1.2. Il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento dell’opposizione, applicando l’art. 58, comma 1, del d.lgs. n. 231 del 2007 sul presupposto che la condotta dei trasgressori dovesse ritenersi ontologicamente unica, rideterminò le sanzioni nella misura di €. 3.000,00 per ciascun trasgressore.
La pronuncia venne impugnata dal MEF innanzi alla Corte d’Appello di Roma che, in parziale riforma della pronuncia di prime cure e in applicazione del secondo comma dell’art. 58 d.lgs. n. 231/2007, con sentenza n. 2537/2023 rideterminò le sanzioni a carico di: NOME COGNOME e della Banca obbligata in solido nella misura di €. 29.585,00; di NOME COGNOME e della Banca nella misura di €. 100.000,00; di NOME COGNOME e della Banca nella misura di €. 40.000,00.
Per quel che qui ancora rileva, rigettando il motivo dell’appello incidentale formulato dagli appellati con riferimento all’eccezione di decadenza ai sensi dell’art. 14 della legge n. 689/1981, osserv ò la Corte:
che alla luce dei principi espressi dalla Corte di legittimità, il termine dei 90 giorni previsto dall’art.14 legge n. 689/1981 decorre dal nulla osta emesso dall’Autorità Giudiziaria all’utilizzo degli atti rilevanti, confluiti nel fascicolo del PM, presuppos to sia dell’attività investigativa che di quella accertativa. Qualora, infatti, fosse consentito agli agenti accertatori contestare immediatamente all’indagato la violazione amministrativa, l’A.G. non sarebbe messa in condizione di valutare se ricorra o meno la vis attractiva della fattispecie penale e, nel contempo, sarebbe frustrato il segreto istruttorio imposto dall’art. 329 cod. proc. pen.;
che nel caso di specie, la tempestività della contestazione (notificata ai trasgressori obbligati principali tra il 13 e il 19.12.2011)
-a prescindere dalla particolare complessità dell’accertamento
dell’illecito dipende dalla sua connessione probatoria con i fatti di rilevanza penale, sì che il termine di 90 giorni deve ritenersi rispettato avuto riguardo alla data in cui è stato rilasciato il nulla-osta del PM (26.10.2011).
Avverso la suddetta pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME COGNOME e Unicredit s.p.a., affidandolo a due motivi illustrati da memoria.
Resiste il Ministero dell’E conomia e delle Finanze.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., in relazione all’art. 14, ultimo comma, legge n. 689/1981. I ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di valutare un fatto storico decisivo consistente nell’autonomia dell’accertamento amministrativo rispetto alle indagini penali. Osservano che la raccolta dei dati necessari per la redazione del processo verbale di contestazione era avvenuta prima e al di fuori del procedimento penale: una volta conclusa l’attività ispettiva a cura della G uardia di Finanza, infatti, l’autorità amministrativa aveva informato la Procura della Repubblica di Milano, per le valutazioni di competenza. Il MEF, prosegue il ricorso, non ha utilizzato alcun dato di natura probatoria rilevato nel corso delle indagini preliminari penali per procedere alla notifica della contestazione amministrativa per omessa segnalazione di operazioni sospette. Ne deriva, concludono i ricorrenti, che il momento dal quale far decorrere il termine di 90 giorni di cui all’art. 14 della legge n. 689/1981 doveva essere anticipato al luglio 2010 -quando la GdF aveva acquisito dalla banca tutte le informazioni necessarie per elevare
la contestazione -essendo del tutto irrilevante l’emissione del nulla osta (risalente al 26.10.2011), a cura della Procura Generale, oltretutto ingiustificatamente richiesto dall’autorità amministrativa 17 mesi dopo la conclusione delle verifiche amministrative (avvenuta il 16.07.2010) senza che il MEF abbia mai motivato perché nel luglio 2010 non fosse stato possibile procedere alla contestazione della violazione.
Il motivo è infondato.
E’ opportuno ricordare , innanzitutto, il principio costantemente espresso da questa Corte in virtù del quale in tema di sanzioni amministrative, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata della violazione, il momento dell’accertamento – in relazione al quale collocare il dies a quo del termine previsto dall’art. 14, comma 2, della legge n. 689 del 1981, per la notifica degli estremi di tale violazione non coincide con quello in cui viene acquisito il «fatto» nella sua materialità da parte dell’autorità cui è stato trasmesso il rapporto, ma va individuato nel momento in cui detta autorità abbia acquisito e valutato tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell’esistenza della violazione segnalata, ovvero in quello in cui il tempo decorso non risulti ulteriormente giustificato dalla necessità di tale acquisizione e valutazione, dovendosi tener conto anche del tempo necessario per la valutazione dell’idoneità di tale fatto a integrare gli estremi (oggettivi e soggettivi) di comportamenti sanzionati come illeciti amministrativi, compreso quello occorrente per apprezzare e ponderare adeguatamente gli elementi acquisiti e gli atti preliminari ( ex multis : Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 24401 del 2024; Sez. 2, Ordinanza n. 30206 del 31.10.2023 Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27702 del 29/10/2019, Rv. 655683 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26734 del 13/12/2011, Rv. 620263 -01).
Applicando il principio al caso di specie, l’acquisizione del «fatto nella sua materialità» è avvenuta il 16.07.2010, al termine cioè dell’attività ispettiva (iniziata il 01.07.2009). A partire da tale momento ha avuto inizio l’attività di valutazione del fatto acquisito .
Nel caso che ci occupa, la valutazione di complessità delle indagini espressa dal primo giudice è stata condivisa dal giudice di seconde cure il quale ha, in aggiunta, valorizzato la «connessione probatoria» con i fatti di rilevanza penale sui quali si è svolta l’indagine della Procura della Repubblica di Milano (non ricorrendo l’ipotesi della connes sione per pregiudizialità del reato con l’illecito amministrativo, ex art. 24 legge n. 689 del 1981); connessione probatoria che rileva non solo nelle ipotesi in cui gli elementi di prova della violazione amministrativa emergano dagli atti penali ( ex multis : Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8588 del 29.03.2024; Cass. 30206/2023, Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 40630 del 17.12.2021, Sez. 2, Sentenza n. 9881 del 20/04/2018, Rv. 648157 -01; Sez. 2, Sentenza n. 7754 del 30/03/2010, Rv. 612179 -01; Sez. 2, Sentenza n. 23477 del 05/11/2009, Rv. 609980 – 01) ma in tutte le situazioni in cui -come nel caso di specie – agli agenti accertatori non è consentito contestare immediatamente la violazione amministrativa per ragioni di opportunità, laddove dai fatti rilevati possano cioè emergere ipotesi di reato (riciclaggio o finanziamento del terrorismo), altrimenti l’autorità giudiziaria non sarebbe messa in condizione di valutare se ricorra o meno la vis attractiva della fattispecie penale e, nel contempo, rimarrebbe frustrato il segreto istruttorio imposto dall’art. 329 c od. proc. pen. (v. sentenza p. 3, 6° capoverso, soprattutto lett. b) e c)).
Per le ragioni sopra esposte, il fatto storico evidenziato in ricorso (consistente nell’autonomo avvio delle indagini amministrative da parte del MEF) non è affatto decisivo, atteso che ciò che rileva è la
connessione probatoria tra gli accertamenti di illeciti amministrativi e i fatti di rilevanza penale, che impedisce agli agenti accertatori la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria .
Anche per un’altra ragione il fatto il cui esame si assume omesso ( completa autonomia dell’accertamento amministrativo rispetto alle indagini penali, essendo detto accertamento iniziato e terminato prima delle indagini penali) non può ritenersi decisivo sulla individuazione del dies a quo della notifica: per poter tale fatto essere ritenuto decisivo, occorreva che la Corte d’Appello escludesse in radice la complessità delle indagini (complessità che costituisce un’altra delle ragioni per lo spostamento in avanti del dies a quo e che anche il primo giudice aveva valorizzato, come riporta il ricorso a pag. 9 ). La Corte d’Appello, infatti, contrariamente a quanto si assume, si è limitata (v. pag. 4 della sentenza) ‘ a prescindere ‘ da tal e elemento, ma non lo ha affatto escluso . La formula ‘ a prescindere ‘ sta a significare insomma che la ritenuta complessità dell’accertamento dell’illecito è stata accantonata nel percorso motivazionale, ma non certo reputata erronea o esclusa e quindi – contrariamente a quanto si afferma a pag. 23 e 24 del ricorso – non è affatto scontato il corollario che si trae a pag. 24 e quindi il diverso esito del giudizio.
2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. I ricorrenti censurano la pronuncia nella parte in cui la motivazione si limita ad argomentare in merito alla sussistenza di una «connessione probatoria» con i fatti di natura penale, tralasciando completamente l’accertamento relativo alle modalità e tempistiche delle indagini amministrative e penali che avrebbe, invece, consentito di rilevare la
tardività della notifica del verbale di contestazione e, quindi, l’intervenuta estinzione dell’obbligazione di pagamento.
Anche tale motivo è infondato.
La Corte d’Appello ha motivato in ordine all ‘eccezione di decadenza sollevata dagli allora appellanti incidentali, come sopra evidenziato e il ricorso in sostanza contesta l’adeguatezza della motivazione sulle modalità e tempistiche delle indagini amministrative e penali.
Tanto basta ad escludere l’omissio ne di pronuncia lamentata nel mezzo di gravame, atteso che per integrare detto vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto: ciò che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte (per tutte: Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 5730 del 03/03/2020, Rv. 657560 – 01). Il vizio di omessa pronuncia, di contro, non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia. (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 18491 del 12/07/2018, Rv. 649578 -01; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017 (Rv. 645538 -01; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10696 del 10/05/2007, Rv. 596362 – 01).
Come si è visto, l’acquisizione del «fatto nella sua materialità» è avvenuta il 16.07.2010: momento dal quale hanno preso avvio gli accertamenti, attività conclusa solo il 26.10.2011, data in cui il Pubblico Ministero ha autorizzato l’utilizzo a fini amministrativi dei dati acquisiti in sede penale. L a complessità dell’attività di valutazione di detti dati
intercorsa nel lasso di tempo indicato era stata riscontrata dal giudice di prime cure, e avallata dalla Corte territoriale (sentenza pag. 4).
3. In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in €. 7.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda