Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. U Num. 23348 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 23348 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 16/08/2025
Sul ricorso iscritto al n. REG. GEN. CIV. n. 27800/2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI -DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato
e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso cui domicilia ope legis in ROMA, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1871/2018 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, pubblicata il giorno 23/03/2018.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, ovvero, in subordine, rimessione degli atti alla Corte costituzionale;
udito per la ricorrente l’Avvocato NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Roma ha accolto l’impugnazione proposta dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Provinciale del Lavoro di Roma – nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Roma.
Il giudice di secondo grado, in riforma della sentenza del Tribunale, ha rigettato l’opposizione proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza ingiunzione n. 76/2009, avente ad oggetto la sanzione amministrativa, prevista dall’art. 6, terzo comma, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, ratificato, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1952, n. 2388, per l’impiego di lavoratori dello spettacolo privi del certificato di agibilità, in violazione dell’obbligo previsto dall’art. 6, secondo comma, del medesimo D.L.C.P.S. n. 708 del 1947.
La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la violazione amministrativa contestata. In proposito, ha rilevato che l’ordinanza ingiunzione conteneva il riferimento al processo verbale di illecito amministrativo del 9.2.2004, redatto
dagli ispettori a conclusione degli accertamenti ultimati il 28.11.2003 dai funzionari dell’ENPALS, atti ritualmente e tempestivamente (ai sensi dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981) notificati all’allora amministratore unico e alla società il 12.2.2004, e da cui emergeva l’analiticità e la precisione delle contestazioni mosse.
Il Giudice di appello ha accertato che il termine di prescrizione dell’illecito era stato interrotto dalla notifica del verbale di illecito amministrativo (del 12.2.2004) e che quindi nessuna prescrizione era maturata alla data di notifica dell’ordinanza ingiunzione. Ha affermato che le violazioni avevano carattere sostanziale, in quanto la richiesta del certificato di agibilità rispondeva alla finalità di rendere noto agli organi di vigilanza la presenza di determinati lavoratori nel luogo di lavoro, ed erano state contestate da una autorità funzionalmente competente; infine, la sanzione irrogata era conforme al disposto dell’art. 6 del D.L.C.P.S. n. 708 del 1947, e successive modifiche.
Avverso la sentenza di appello la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quindici motivi.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Provinciale del Lavoro – ha resistito con controricorso.
La società ricorrente ha depositato memoria in vista dell’adunanza camerale originariamente fissata per il giorno 15.3.23. La causa è stata poi rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso. In subordine ha chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1097, della legge n. 205 del 2017, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, e all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU con riguardo alla retroattività
in mitius della legge penale, in ragione della connotazione sostanzialmente penale dell’illecito amministrativo in questione, per il carattere punitivo e afflittivo della sanzione, alla luce dei cosiddetti criteri Engel (Corte EDU, Grande Camera, 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi).
La società RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria, con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso, e ha prospettato incidente di costituzionalità, richiamando la requisitoria del Procuratore Generale.
Con l’ordinanza interlocutoria n. 9396 del 2024, il Collegio della Sezione Lavoro di questa Corte ha rimesso la controversia alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, in ragione della questione di massima di particolare importanza, che si è posta nell’esame del settimo motivo di ricorso, della applicazione retroattiva, nella fattispecie oggetto di causa, della disciplina sopravvenuta dell’art. 1, comma 1097, della legge n. 205 del 2017, e dell’art. 3quinquies , comma 1, lett. a ), del decreto-legge n. 135 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 12 del 2019, che hanno sostituito l’art. 6 del D.L.C.P.S. n. 708 del 1947.
L’art. 6, nel testo vigente ratione temporis , ha previsto al secondo comma: ‘Le imprese dell’esercizio teatrale, cinematografico e circense, i teatri tenda, gli enti, le associazioni, le imprese del pubblico esercizio, gli alberghi, le emittenti radiotelevisive e gli impianti sportivi non possono far agire nei locali di proprietà o di cui abbiano un diritto personale di godimento i lavoratori dello spettacolo appartenenti alle categorie indicate dal n. 1) al n. 14 dell’articolo 3, che non siano in possesso del certificato di agibilità previsto dall’articolo 10’.
Ai sensi del successivo terzo comma: ‘In caso di inosservanza delle disposizioni di cui al precedente comma le imprese sono soggette alla sanzione amministrativa di lire 50.000 per ogni lavoratore e per ogni giornata di lavoro da ciascuno prestata’.
Detto importo è stato poi determinato in euro 129,00 per ogni lavoratore e per ogni giornata di lavoro da ciascuno prestata (v. art. 1, comma 1177, della legge n. 296 del 2006).
10. L’ordinanza interlocutoria n. 9396 del 2024 ha richiamato la disciplina sopravvenuta, rilevando che a seguito delle modifiche all’art. 6 del D.L.C.P.S. apportate dall’art. 1, comma 1097, della legge n. 205 del 2017, l’obbligo del certificato di agibilità è stato escluso per i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato e per le prestazioni di lavoro autonomo di durata superiore ai trenta giorni e non aventi le caratteristiche descritte nel secondo periodo della disposizione (lavoratori ‘contrattualizzati per specifici eventi, di durata limitata nell’arco di tempo della complessiva programmazione dell’impresa, singolari e non ripetuti rispetto alle stagioni o cicli produttivi’).
Per effetto delle ulteriori modifiche di cui all’art. 3- quinquies, comma 1, lett. a), del decreto-legge n. 135 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 12 del 2019, il certificato di agibilità deve essere richiesto solo nel caso di utilizzo di lavoratori autonomi dello spettacolo, ivi compresi quelli con rapporti di collaborazione, appartenenti alle categorie indicate dal n. 1 al n. 14 dell’art. 3 del D.L.C.P.S. e successive modifiche.
11. L’ordinanza interlocutoria ha quindi affermato che per effetto delle citate modifiche normative, è venuto meno l’obbligo del certificato di agibilità per coloro che impieghino lavoratori, di cui alle citate categorie professionali, assunti con contratti di lavoro subordinato, a tempo determinato o indeterminato. Tale esonero opera limitatamente ai casi in cui la prestazione dei lavoratori subordinati sia resa nei locali di proprietà del datore di lavoro o in locazione al medesimo, restando fermo l’obbligo del certificato ove la prestazione sia resa nei locali appartenenti a terzi.
È quindi cessato l’obbligo della richiesta del certificato di agibilità per le imprese che impiegano, presso locali di proprietà o su cui abbiano un diritto personale di godimento, soggetti con i quali intrattengono rapporti di lavoro subordinato, e rispetto ai quali il datore di lavoro provvede al pagamento dei contributi, con le relative conseguenze in termini di tutela dei lavoratori subordinati.
12. Da tali premesse, discende, secondo la Sezione Lavoro, che la condotta attribuita a RAGIONE_SOCIALE e per la quale è stata emessa l’ordinanza ingiunzione di pagamento, la mancata richiesta del certificato di agibilità per i lavoratori subordinati occupati presso la sede della società (e per i quali risulta pacificamente adempiuto l’obbligo assicurativo), non sarebbe stata sanzionabile alla luce della normativa successivamente introdotta.
Di talché, attesa la natura sostanzialmente penale della sanzione, sarebbe irragionevole la mancata previsione dell’applicazione retroattiva della sopravvenuta lex mitior , in ragione dei principi affermati in materia dalla giurisprudenza costituzionale e convenzionale.
13. Facendo applicazione dei cosiddetti criteri Engel, la sanzione amministrativa per l’illecito di cui all’art. 6, secondo comma, del D.L.C.P.S. n. 708 del 1947, sebbene indirizzata ad una platea ristretta di possibili destinatari – datori di lavoro/committenti di alcune categorie di lavoratori dello spettacolo ha una funzione sostanzialmente punitiva, essendo del tutto priva di finalità in senso lato risarcitorie o, in qualche modo, connesse all’adempimento dell’obbligo contributivo in favore dei lavoratori.
La sanzione è, infatti, comminata a fronte di un inadempimento -la mancata richiesta del certificato di agibilità -che, rispetto ai lavoratori subordinati o, comunque stanziali, non è strumentale né funzionale a garantire l’adempimento degli obblighi contributivi.
Quanto al requisito di afflittività della sanzione amministrativa, l’ordinanza interlocutoria ha rilevato che, seppure di entità economica contenuta, la sanzione in esame si applica per ogni giorno di lavoro e per ogni lavoratore, senza previsione di un tetto massimo, il che comporta, proprio rispetto ai lavoratori subordinati a tempo indeterminato, un effetto sostanzialmente perenne della sanzione per il requisito intrinseco dell’essere tale forma di lavoro continuativa.
La controversia, in ragione della particolare importanza della questione di massima, è stata assegnata dalla Prima Presidente a queste Sezioni Unite, e all’esito dell’udienza pubblica è stata riservata in decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La questione di massima di particolare importanza qui controversa concerne la applicazione retroattiva della legge successiva che ha disciplinato in modo più favorevole l’illecito amministrativo, per violazioni pregresse ancora sub iudice , in forza del principio di retroattività della lex mitior in materia penale (Sezione Lavoro, ordinanza interlocutoria n. 9396 del 2024).
Tale questione costituisce oggetto del settimo motivo di ricorso, la cui trattazione ha carattere prioritario rispetto alle altre censure prospettate dalla ricorrente.
Occorre premettere che il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, ratificato, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1952, n. 2388, recante disposizioni concernenti l’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo, contiene all’art. 3 l’elenco (integrato da successive modifiche) dei cd. lavoratori dello spettacolo, cioè degli appartenenti alle categorie di lavoratori ‘obbligatoriamente iscritti all’Ente’.
L’art. 6 del medesimo D.L.C.P.S., al secondo comma, primo periodo, nel testo vigente ratione temporis dispone: ‘Le imprese dell’esercizio teatrale, cinematografico e circense, i teatri tenda, gli enti, le associazioni, le imprese del pubblico esercizio, gli alberghi, le emittenti radiotelevisive e gli impianti sportivi non possono far agire nei locali di proprietà o di cui abbiano un diritto personale di godimento i lavoratori dello spettacolo appartenenti alle categorie indicate dal n. 1) al n. 14 dell’articolo 3, che non siano in possesso del certificato di agibilità previsto dall’articolo 10’.
In ragione del terzo comma ‘In caso di inosservanza delle disposizioni di cui al precedente comma le imprese sono soggette alla sanzione amministrativa
di lire 50.000 per ogni lavoratore e per ogni giornata di lavoro da ciascuno prestata’.
Detto importo è stato poi determinato in euro 129,00 per ogni lavoratore e per ogni giornata di lavoro da ciascuno prestata (v. art. 1, comma 1177, della legge n. 296 del 2006).
Dunque, il legislatore, con la disciplina di cui al citato art. 6, secondo comma, ai fini della commissione dell’illecito amministrativo, non ha operato alcuna differenziazione in relazione alla natura giuridica del rapporto di lavoro o della prestazione professionale dei lavoratori dello spettacolo.
L’art. 9 del medesimo D.L.C.P.S., primo comma, primo periodo, stabilisce che ‘L’impresa ha l’obbligo di denunziare all’Ente le persone da essa occupate, indicando la retribuzione giornaliera corrisposta e tutte le altre notizie che saranno richieste dall’Ente per l’iscrizione e per l’accertamento dei contributi’.
In base al disposto dell’art. 10 del medesimo D.L.C.P.S., commi 1 e 2: ‘L’Ente rilascerà all’impresa un certificato contenente le indicazioni comprese nelle denunzie di cui al precedente articolo.
Il rilascio del certificato sarà subordinato all’adempimento da parte dell’impresa degli obblighi posti dalla legge a suo carico’.
Nei confronti della società ricorrente, nella qualità di obbligata in solido con l’allora amministratore unico, è stata emessa dalla DPL di Roma, in data 20 gennaio 2009, ordinanza ingiunzione n. 76/2009 in relazione, tra l’altro, alla violazione contestata ai sensi dell’art. 6, secondo comma, del D.L.C.P.S. n. 708 del 1947, ‘per aver fatto agire presso la sede della società RAGIONE_SOCIALE alcuni lavoratori privi del certificato di agibilità RAGIONE_SOCIALE‘ nel periodo 11 febbraio 1999-3 aprile 2001.
Il certificato di agibilità si inscrive nel più ampio contesto delle misure volte a garantire l’adempimento degli obblighi contributivi e previdenziali per i lavoratori appartenenti a determinate categorie artistiche e tecniche dello spettacolo, considerate le specificità che caratterizzano lo svolgimento delle prestazioni lavorative in tale settore.
Alle previsioni dell’art. 9 del D.L.C.P.S. n.708 del 1947, sopra richiamate, per la cui inosservanza è stabilita autonoma sanzione amministrativa, si affianca in generale la misura in esame, volta a far conoscere agli organi di vigilanza la presenza di determinati lavoratori nel luogo di lavoro, onde poter svolgere al meglio i controlli di loro pertinenza, attesa la peculiarità delle prestazioni lavorative in questione.
Con riguardo ai rapporti di lavoro assistiti da stabilità, come i rapporti di lavoro subordinato, esclusi dal perimetro della sanzione amministrativa dalla lex mitior sopravvenuta nel 2017, le suddette misure, nella sostanza, si sovrappongono.
Con il settimo motivo del ricorso per cassazione, la società ricorrente ha prospettato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1097, della legge n. 205 del 2017, dell’art. 11 delle preleggi e dell’art. 2, cod. pen.
La ricorrente ha dedotto che la sentenza della Corte d’Appello avrebbe violato i principi in materia di ius superveniens in relazione agli illeciti amministrativi e alle corrispettive sanzioni, non avendo tenuto conto del suddetto art. 1, comma 1097, che ha escluso l’obbligo della richiesta del certificato di agibilità per i lavoratori dello spettacolo con contratto di lavoro subordinato qualora utilizzati nei locali di proprietà delle imprese e degli altri soggetti indicati, o di cui quest’ultimi abbiano un diritto personale di godimento, lavoratori per i quali le medesime imprese effettuano regolari versamenti contributivi presso l’INPS.
La società ricorrente, quindi, invoca l’applicazione della legge sopravvenuta nel 2017, più favorevole rispetto a quella in vigore all’epoca dei fatti, non essendovi una espressa previsione contraria e per l’affinità della situazione oggetto di causa con quella regolamentata dall’art. 2, cod. pen.
Tanto premesso si osserva che nella fattispecie in esame vengono in rilievo fatti commessi prima dell’entrata in vigore della norma (art.1, comma 1097 della legge n. 205 del 2017) che ha disciplinato in mitius l’illecito amministrativo in questione.
L’applicabilità del principio di retroattività della norma penale più mite trova espressione nell’ordinamento interno, a livello di legge ordinaria, nell’art. 2, secondo, terzo e quarto comma, cod. pen.
Con la sentenza n. 393 del 2006, la Corte costituzionale ha affermato che la retroattività in mitius della legge penale è riconosciuta non solo, a livello di legislazione ordinaria, dall’ art. 2, cod. pen., ma anche nel diritto internazionale e nel diritto dell’Unione europea. La retroattività della lex mitior in materia penale è in particolare enunciata tanto dall’art. 15, primo comma, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, concluso a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881; quanto dall’art. 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.
Successivamente, la sentenza della Grande Camera della Corte EDU, 17 settembre 2009, RAGIONE_SOCIALE, ha dedotto dall’art. 7 della CEDU il principio secondo cui ‘se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato’ (paragrafo 109).
In seguito alla sentenza COGNOME, con la sentenza n. 236 del 2011, il Giudice delle Leggi ha affermato che ‘L’ambito di operatività del principio di retroattività in mitius non deve essere limitato alle sole disposizioni concernenti la misura della pena, ma va esteso a tutte le norme sostanziali che, pur riguardando profili diversi dalla sanzione in senso stretto, incidono sul complessivo trattamento riservato al reo’ (paragrafo 10 del Considerato in diritto ), e che il ‘principio di retroattività in mitius ‘ ha, ‘attraverso l’art. 117,
primo comma, Cost., acquistato un nuovo fondamento con l’interposizione dell’art. 7 della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo’ (paragrafo 11 del Considerato in diritto ).
Il principio di retroattività della legge penale più favorevole al reo rinviene proprio fondamento costituzionale nel principio di eguaglianza. ‘Non sarebbe ragionevole punire (o continuare a punire più gravemente) una persona per un fatto che, secondo la legge posteriore, chiunque altro può impunemente commettere (o per il quale è prevista una pena più lieve). Per il principio di eguaglianza, infatti, la modifica mitigatrice della legge penale e, ancor di più, l’ abolitio criminis, disposte dal legislatore in dipendenza di una mutata valutazione del disvalore del fatto tipico, devono riverberarsi anche a vantaggio di coloro che hanno posto in essere la condotta in un momento anteriore, salvo che, in senso opposto, ricorra una sufficiente ragione giustificativa ‘(Corte cost., citata sentenza n. 236 del 2011, paragrafo 10 del Considerato in diritto ).
In proposito la ‘comune ratio della garanzia in questione, identificabile in sostanza nel diritto dell’autore del reato a essere giudicato, e se del caso punito, in base all’apprezzamento attuale dell’ordinamento relativo al disvalore del fatto da lui realizzato, anziché in base all’apprezzamento sotteso alla legge in vigore al momento della sua commissione’ (Corte cost., sentenza n. 63 del 2019).
La connessione del principio della retroattività in mitius con il principio di eguaglianza, come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, ne segna, peraltro, anche il limite, in quanto a differenza del principio della irretroattività della norma penale sfavorevole – tutelato dall’art. 25, secondo comma, Cost., che è inderogabile – detto principio può subire deroghe, legittime sul piano costituzionale, qualora ne ricorra una sufficiente ragione giustificativa (Corte cost., ordinanza n. 330 del 1995, sentenze n. 230 del 2012,n. 63 del 2019). Eventuali deroghe a tale principio devono superare un vaglio positivo di ragionevolezza in relazione alla necessità di tutelare controinteressi di rango costituzionale.
7. La Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 63 del 2019, ha affermato che l’estensione del principio di retroattività della lex mitior in materia di sanzioni amministrative aventi natura e funzione ‘punitiva’ è conforme alla logica sottesa alla giurisprudenza costituzionale sviluppatasi, sulla base dell’art. 3, Cost., in ordine alle sanzioni propriamente penali.
Laddove, infatti, la sanzione amministrativa abbia natura ‘punitiva’ alla luce dell’ordinamento convenzionale e sia, dunque, ‘convenzionalmente penale’ alla luce dei cosiddetti criteri Engel (Corte EDU, Grande Camera, 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi), di regola non vi sarà ragione per continuare ad applicare tale sanzione, qualora il fatto sia successivamente considerato non più illecito; né per continuare ad applicarla in una misura considerata ormai eccessiva (e per ciò stesso sproporzionata) rispetto al mutato apprezzamento della gravità dell’illecito da parte dell’ordinamento (Corte cost., sentenza n. 63 del 2019, punto 6.2 del Considerato in diritto ).
Dunque, come si rileva dai principi sopra richiamati, il principio di retroattività in mitius non opera per tutte le sanzioni amministrative in quanto tali, ma per quelle che siano da considerare sostanzialmente penali, secondo i cosiddetti criteri Engel, ai fini dell’applicazione delle garanzie costituzionali e convenzionali della materia penale.
8. L’art. 1, comma 1097, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, la cui applicazione è invocata dalla società ricorrente, ha sostituito l’art. 6, del D.L.C.P.S. n. 708 del 1947.
La nuova disciplina contenuta nel primo comma dell’art. 6, come novellato ha escluso per le imprese dell’esercizio teatrale, cinematografico e circense, i teatri tenda, gli enti, le associazioni, le imprese del pubblico esercizio, gli alberghi, le emittenti radiotelevisive e gli impianti sportivi, l’obbligo della richiesta del certificato di agibilità di cui all’art. 10 nei confronti dei lavoratori dello spettacolo appartenenti alle categorie indicate dal numero 1) al numero 14) del primo comma dell’articolo 3 con contratto di lavoro subordinato qualora utilizzati nei locali di proprietà o di cui abbiano un diritto personale di godimento
per i quali le medesime imprese effettuano regolari versamenti contributivi presso l’INPS (art. 6, comma 1, primo periodo).
La disciplina introdotta dall’art. 1, comma 1097, della legge n. 205 del 2017, risulta pertanto più favorevole rispetto a quella sostituita, maggiormente comprensiva e nella cui vigenza si sono verificati i fatti per cui è causa, escludendo il certificato di agibilità per i lavoratori dello spettacolo con contratto di lavoro subordinato qualora utilizzati nei locali di proprietà o di cui abbiano un diritto personale di godimento per i quali le medesime imprese effettuano regolari versamenti contributivi presso l’INPS.
Il legislatore del 2017, nel sostituire l’art. 6 del D.L.C.P.S. n. 708, del 1947, non ha dettato disposizioni transitorie sull’applicazione della novella.
Nel non prevederne la retroattività il legislatore, nella sostanza, si è posto nel solco dell’art.1 della legge n. 689 del 1981, che non prevede la retroattività della legge sopravvenuta più favorevole.
Ciò, tuttavia, non esclude che debba trovare applicazione la lex mitior , qualora si sia in presenza di un illecito amministrativo, convenzionalmente penale, e non vi siano ragionevoli motivi di deroga.
10. Le Sezioni Unite ritengono rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1097, della legge n. 205 del 2017, nella parte in cui nel sostituire in mitius l’art. 6, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, ratificato, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1952, n. 2388, escludendo per i soggetti indicati l’obbligo della richiesta del certificato di agibilità nei confronti dei lavoratori dello spettacolo (art. 3, nn.1-14) con rapporti di lavoro subordinato qualora utilizzati nei locali di proprietà o di cui abbiano un diritto personale di godimento per i quali le medesime imprese effettuano regolari versamenti contributivi presso l’INPS, non ha previsto l’applicazione retroattiva della novella, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 7 della CEDU, che contempla tra i propri corollari, secondo l’interpretazione offertane dalla Corte EDU, anche la
necessaria retroattività della legge penale più favorevole entrata in vigore successivamente alla commissione del fatto, e all’art. 49 CDFUE che stabilisce se ‘successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima’.
11. La questione di legittimità costituzionale è rilevante.
Detto requisito implica necessariamente che la questione di legittimità costituzionale abbia nel procedimento a quo un’incidenza attuale e non meramente eventuale. Il postulato della pregiudizialità della questione richiede infatti che questa si concreti solo quando il dubbio di contrasto con la Costituzione investa una norma dalla cui applicazione, ai fini della definizione del giudizio dinanzi a lui pendente, il giudice a quo dimostri di non poter prescindere (Corte cost., n. 160 del 2023).
Trova applicazione nella specie l’art. 6, secondo comma, del D.L.C.P.S. n. 708 del 1947. Come si è illustrato, il contenuto normativo dell’art. 6, la cui violazione dà luogo all’applicazione della sanzione amministrativa prevista dal successivo terzo comma, è stato sostituito dall’art. 1, comma 1097, cit., con una disciplina più favorevole, di cui non è stata prevista l’applicazione retroattiva.
È pacifico che i lavoratori lavorassero presso la sede della emittente radio televisiva RDS, come specificato nella sentenza di appello, costituendo tale dato uno degli elementi costitutivi dell’illecito amministrativo contestato; si tratta quindi di lavoratori ‘stanziali’ e non ‘itineranti’.
Come altresì indicato nell’ordinanza interlocutoria n. 9396 del 2024, la società ricorrente, nel rivendicare in questa sede l’applicazione dello ius superveniens , ha specificato e allegato la sussistenza dei fatti costitutivi necessari per la concreta applicazione di dette norme sopravvenute, tra cui la natura subordinata dei rapporti di lavoro, fattispecie esclusa dalla novella del 2017. A fronte di tali allegazioni, salvi gli accertamenti rimessi al giudice del merito sulla qualificazione dei rapporti di lavoro, l’ordinanza interlocutoria n. 9396 del 2014 ha rilevato che l’Amministrazione non ha svolto alcuna contestazione o deduzione, essendosi limitata a richiamare il principio di
irretroattività della legge successiva più favorevole in materia di sanzioni amministrative.
Pertanto, la questione di legittimità costituzionale è rilevante, atteso che l’applicazione della lex mitior sopravvenuta ha diretta incidenza sulla sussistenza dell’illecito amministrativo cui è connessa la sanzione irrogata alla ricorrente.
Va osservato che, successivamente, come ricordato infra , il testo dell’art. 6 è stato ulteriormente sostituito dall’art. 3quinquies , comma 1, lett. a ), del decreto-legge n. 135 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 12 del 2019.
Rispetto a tale disposizione – che non incide sullo ius superveniens (art. 1, comma 1097, della legge n. 205 del 2017) della cui applicazione si controverte e della cui legittimità costituzionale si dubita nei sensi indicati – non è tuttavia ravvisabile analoga attuale rilevanza della questione di legittimità costituzionale, salve le valutazioni del Giudice delle Leggi ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
12. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1097, della legge n. 205 del 2017, è non manifestamente infondata.
A parere del Collegio non è implausibile che l’illecito amministrativo sub iudice , nel ricomprendere anche la posizione dei lavori dello spettacolo con rapporto di lavoro subordinato, ha natura penale secondo i criteri cosiddetti Engel, come di seguito indicati:
la qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di quest’ultima, la natura e il grado di severità della sanzione.
I suddetti criteri sono alternativi e non cumulativi (sentenza Corte EDU COGNOME e altri c. Italia del 4 marzo 2014); ciò, peraltro, non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l’analisi separata di ogni criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara.
Alla luce di tali criteri deve essere considerata penale, e assoggettata al relativo regime giuridico, non solo la sanzione che sia formalmente qualificata
come tale, ma anche la sanzione la quale, pur qualificata come amministrativa, comporti effetti punitivi di natura e severità sostanzialmente pari alla sanzione penale.
13. La sanzione prevista per l’illecito amministrativo che qui viene in rilievo disciplinato dall’art. 6, comma secondo, del D.L.C.P.S. n. 708 del 1947, vigente ratione temporis all’epoca dei fatti per cui è causa, è stabilita in misura fissa (Cass., n. 19527 del 2023, n. 3579 del 1998), quantificata per ogni lavoratore e per ogni giornata di lavoro prestata in assenza del certificato, senza possibilità di adeguamento in relazione ai criteri di cui all’art. 11 della 24 novembre 1981, n. 689.
La stessa rispetto ai rapporti di lavoro subordinato, che sono assistiti da stabilità, compresi nell’ambito originario dell’illecito amministrativo in esame, evidenzia indici di rilevante afflittività, in quanto si calcola non in considerazione della gravità in sé dell’omissione, ma del persistere di essa, indipendentemente dalla sussistenza e dall’entità del danno, mediante una mera operazione matematica, che può abbracciare l’intera durata del rapporto subordinato, senza la previsione di un tetto massimo.
Ciò anche considerando che, ai fini dell’applicazione del criterio della gravità della sanzione, deve aversi riguardo alla misura della sanzione di cui è a priori passibile la persona interessata e non alla gravità della sanzione alla fine inflitta (sentenza Corte EDU, COGNOME e altri c. Italia, cit.).
Di talché, appare irragionevole la mancata previsione della retroattività della lex mitior di cui all’art.1, comma 1097, della legge n. 205 del 2017.
14. In ragione dei principi sopra richiamati, quindi, non essendo percorribile, dato il tenore letterale della norma indubbiata, un’ interpretazione della stessa costituzionalmente e convenzionalmente conforme, né essendo possibile recepire direttamente i principi enunciati dalla Corte EDU, il Collegio solleva questione di legittimità costituzionale dell’art.1, comma 1097, della legge n. 205 del 2017, nella parte in cui nel sostituire in mitius l’art. 6, del decreto
legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, ratificato, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1952, n. 2388, escludendo per i soggetti indicati l’obbligo della richiesta del certificato di agibilità nei confronti dei lavoratori dello spettacolo (art. 3, nn.1-14) con rapporti di lavoro subordinato qualora utilizzati nei locali di proprietà o di cui abbiano un diritto personale di godimento per i quali le medesime imprese effettuano regolari versamenti contributivi presso l’INPS, non ha previsto l’applicazione retroattiva della novella, in riferimento all’art. 3, Cost., e all’art. 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 7 della CEDU, e all’art. 49 della CDFUE.
15. Ai sensi dell’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, il presente giudizio davanti alla Corte di cassazione Sezioni Unite civili è sospeso fino alla definizione dell’incidente di costituzionalità.
16. A cura della Cancelleria, la presente ordinanza deve essere notificata alle parti del giudizio di cassazione, al Pubblico Ministero presso questa Corte ed al Presidente del Consiglio dei ministri; l’ordinanza deve essere comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Gli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, devono essere immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale.
P.Q.M.
La Corte di cassazione a Sezioni Unite civili, visti l’art. 134 della Costituzione e l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1097, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, nella parte in cui nel sostituire in mitius l’art. 6, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, ratificato, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1952, n. 2388, escludendo per i soggetti indicati l’obbligo della richiesta del certificato di agibilità nei confronti dei lavoratori dello spettacolo (art. 3, nn.1-14) con rapporti di lavoro subordinato qualora utilizzati nei locali di proprietà o di cui abbiano un diritto personale di godimento per i quali le
medesime imprese effettuano regolari versamenti contributivi presso l’INPS, non ha previsto l’applicazione retroattiva della novella, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.
Sospende il presente giudizio. Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al Pubblico Ministero presso questa Corte ed al Presidente del Consiglio dei ministri; ordina, altresì, che l’ordinanza venga comunicata dal Cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Dispone l’immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, all’udienza pubblica del 6 maggio 2025.