Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9016 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 9016 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14161/2024 R.G. proposto da:
I.N.P.S., elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in PEC DEL DIFENSORE DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 556/2023 depositata il 15/12/2023.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Udito il PM, nella persona del Sostituto procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Uditi gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.La Corte d’appello di Torino confermava la sentenza del Tribunale di Aosta, che aveva accolto la opposizione proposta da NOME COGNOME avverso la ordinanza ingiunzione notificata dall’INPS il 7 febbraio 2022, avente ad oggetto il pagamento di sanzioni amministrative per omesso versamento di contributi relativi al primo e secondo trimestre 2015.
2.La Corte territoriale esponeva che il Tribunale aveva accolto la opposizione, sul rilievo che:
-nella fattispecie non erano applicabili gli articoli 8 e 9 d.lgs n. 8/2016, poiché non vi era stata alcuna trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica, con successiva restituzione degli stessi;
-l’ avviso di accertamento era stato formato il 28 febbraio 2017, oltre un anno dopo la entrata in vigore del d.lgs. n. 8/2016;
-l’INPS era a conoscenza dell’illecito fin dall’anno 2016, tanto che aveva proceduto all’invio di avviso di addebito formato il 18 novembre 2016 per il recupero dei contributi, provvedendo, invece, a contestate l’illecito amministrativo solo con l’atto di accertamento notificato in data 23 marzo 2017.
-Il termine di 90 giorni per la notifica degli estremi della violazione decorreva dalla entrata in vigore del d.lgs. n. 8/2016 o, quanto meno, dal momento, di poco successivo, di notifica dell’avviso di addebito ed era, dunque, decorso.
3.Tanto premesso, il giudice dell’appello condivideva la valutazione del Tribunale in ordine alla estinzione dell’obbligo di pagare le sanzioni, stante la tardività della notifica delle violazioni rispetto al termine di novanta giorni di cui all’articolo 14 l. n. 689/1981.
4.Osservava, richiamando un proprio precedente in termini, che per effetto dell’articolo 6 d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 8 il procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative derivanti dalla
depenalizzazione, disposta dallo stesso decreto legislativo, era soggetto alle previsioni di cui al capo I, sezione I e II, della l. n. 689/1981.
5.Nella fattispecie di causa, il termine perentorio di novanta giorni per la notifica degli estremi della violazione, ai sensi dell’articolo 14 l. n. 689/1981, decorreva dalla entrata in vigore del decreto legislativo n. 8 del 2016, posto che era inapplicabile la tempistica prevista dall’articolo 9 d.lgs. n. 8/2016, che faceva decorrere il termine di notifica per gli illeciti depenalizzati dalla data di restituzione degli atti dalla autorità giudiziaria penale a quella amministrativa.
Era dunque tardiva la notifica della contestazione il 23 marzo 2017.
Andavano disattese le difese dell’INPS, secondo cui occorreva tenere conto del tempo necessario a svolgere le attività istruttorie; nello stesso atto di accertamento l’Istituto dava conto che le violazioni erano emerse da una verifica degli archivi, così ammettendo che i dati erano già in suo possesso e che l’accertamento non aveva richiesto alcuna ulteriore attività istruttoria.
8.Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza l’INPS, articolato in un unico motivo di censura, cui NOME COGNOME ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con l’unico motivo di ricorso l’INPS ha denunciatoai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ. -la violazione e falsa applicazione dell’articolo 14, comma 2, l. 24 novembre 1989 n. 68; degli articoli 8, primo comma, e 9 d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 8; dell’art. 2, comma 1 -bis, d.l. 12 settembre 1983 n. 463, conv. con modif. dalla l. 11 novembre 1983 n. 638.
2.Ha esposto che le omissioni contributive si riferivano al primo trimestre dell’anno 2015 e ricadevano nella fattispecie prevista dall’art. 2, comma 1- bis d.l. n. 463/1983 (ritenute previdenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti effettuate e non versate), già costituente reato e degradata ad illecito amministrativo dal d.lgs. n. 8/2016 nel caso di omessi versamenti non superiori ad euro 10.000 annui.
3.Ha dedotto che per i fatti commessi anteriormente alla entrata in vigore della norma di depenalizzazione era dettata una speciale disciplina dagli articoli 8 e 9 del d.lgs. n. 8/2016, prevalente rispetto alla generale disposizione, contenuta nel precedente articolo 6, di applicabilità della l.
n. 689/1981, capo I, sezioni I e II ; in particolare, l’articolo 9 prevedeva la notifica al trasgressore degli estremi della violazione nel termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti trasmessi dalla Procura, senza collegare alcuna decadenza all’eventuale inosservanza del termine. Era invece richiamato l’articolo 16 l. n. 689/1981, sul pagamento della sanzione in misura ridotta entro sessanta giorni dalla notifica.
4.Il motivo è infondato.
5.E’ noto che il d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 8, art. 3, comma 6, ha parzialmente depenalizzato -e trasformato in illecito amministrativo -il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali effettuate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, previsto dall’articolo 2, comma 1 -bis, d.l 12 settembre 1983 n. 463, conv. con modif. in l. 11 novembre 1983 n. 463.
6.Va premesso che il d.lgs. n. 8/2016, nel prevedere, all’art. 8, comma 1, che ‘le disposizioni del presente decreto che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso’, ha disciplinato, all’art. 9, le modalità con cui darvi concreta applicazione, stabilendo anzitutto che ‘l’autorità giudiziaria, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dispone la trasmissione all’autorità amministrativa competente degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi’ (comma 1), differenziando in secondo luogo i soggetti a ciò tenuti a seconda che l’azione penale sia già stata o meno esercitata (commi 2 e 3) e disponendo, da ultimo, che ‘l’autorità amministrativa notifica gli estremi della violazione agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti’ (comma 4).
7.Ciò posto, va rilevato che l’art. 6, d.lgs. n. 8/2016, stabilisce in forma assolutamente generale che ‘nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dal presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689’; e se è indubitabile che la previsione valga anzitutto pro futuro, ossia per le violazioni commesse a far data dalla sua
entrata in vigore, non è meno vero che tra le ‘sanzioni amministrative previste dal presente decreto’ debbono intendersi ricomprese anche quelle sanzioni che, a norma del successivo art. 8, ‘si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso’: prova ne sia, ai fini che qui interessano, che l’art. 9, come s’è già visto, prevede che l’autorità amministrativa debba notificare ‘gli estremi della violazione agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti’, vale a dire entro il medesimo termine previsto dall’art. 14, comma 2°, l. n. 689/1981, che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente interpretato come termine di decadenza dall’esercizio della potestà sanzionatoria (cfr. ex multis Cass. n. 9456 del 2004 e, da ult., Cass. n. 4345 del 2024).
8.Si tratta, ad avviso del Collegio, di una soluzione costituzionalmente necessitata ove si consideri che, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 l. n. 689/1981, nella parte in cui non prevede un termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio mediante l’emissione dell’ordinanza ingiunzione o dell’ordinanza di archiviazione degli atti, la Corte costituzionale ha nondimeno precisato che, in materia di sanzioni amministrative, il principio di legalità deve necessariamente modellare anche ‘la formazione procedimentale del provvedimento afflittivo con specifico riguardo alla scansione cronologica dell’esercizio del potere’, in quanto ‘la previsione di un preciso limite temporale per la irrogazione della sanzione costituisce un presupposto essenziale per il soddisfacimento dell’esigenza di certezza giuridica, in chiave di tutela dell’interesse soggettivo alla tempestiva definizione della propria situazione giuridica di fronte alla potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, nonché di prevenzione generale e speciale’, e la sua individuazione in un momento ‘non particolarmente distante dal momento dell’accertamento e della contestazione dell’illecito, consentendo all’incolpato di opporsi efficacemente al provvedimento sanzionatorio, garantisce un esercizio effettivo del diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost. ed è coerente con il principio di buon andamento ed imparzialità della P.A. di cui all’art. 97 Cost.’ (Corte cost. n. 151 del 2021).
9.In altri termini, è il principio di legalità di cui all’art. 23 Cost., in combinato disposto con il diritto di difesa di cui all’art. 24 e il principio di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97, ad imporre all’interprete di ritenere che il termine previsto all’art. 9, comma 4, d.lgs. n. 8/2016, sia un termine di decadenza: diversamente opinando, infatti, l”esigenza di contenere nel tempo lo stato di incertezza inevitabilmente connesso alla esplicazione di una speciale prerogativa pubblicistica, quale è quella sanzionatoria, capace di incidere unilateralmente e significativamente sulla situazione giuridica soggettiva dell’incolpato’, resterebbe esclusivamente affidata alla previsione del termine di prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative (art. 28, l. n. 689/1981), che tuttavia, per ampiezza e suscettibilità di interruzione, deve considerarsi ‘inidoneo a garantire, di per sé solo, la certezza giuridica della posizione dell’incolpato e l’effettività del suo diritto di difesa, che richiedono contiguità temporale tra l’accertamento dell’illecito e l’applicazione della sanzione’ (così ancora Corte cost. n. 151 del 2021, cit.).
10.Chiarito, pertanto, che la norma di cui all’art. 9, comma 4, d.lgs. n. 8/2016, deve leggersi alla stregua del precetto di cui all’art. 14, comma 2°, l. n. 689/1981, e ricordato che, per principio generale, l’onere della prova dell’osservanza dei termini previsti a pena di decadenza per l’esercizio di un diritto incombe su chi intende esercitarlo (cfr., fra le tante, Cass. nn. 3796 del 1989, 10412 del 1997, 7093 del 2003), la peculiarità del caso di specie è data dal fatto che nessuna trasmissione degli atti è stata effettuata dall’autorità giudiziaria all’INPS di talché non appare possibile né riferirsi al dies a quo previsto dall’art. 9, comma 4, d.lgs. n. 8/2016, né a fortiori a quello di cui all’art. 14, comma 2°, l. n. 689/1981, dal momento che all’epoca dell’accertamento il fatto era previsto dalla legge come reato.
Tanto perché, come la sentenza ha accertato, non vi era stata alcuna originaria trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica, con successiva restituzione degli stessi all’esito della depenalizzazione.
D’altra parte, deve logicamente escludersi che l’inerzia nella trasmissione degli atti possa ridondare a danno dell’incolpato, privandolo del diritto alla tempestiva definizione della propria situazione giuridica di
fronte alla potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione: una simile conclusione si porrebbe infatti diametralmente in contrasto con le esigenze di certezza del diritto e di tutela del diritto di difesa e del buon andamento dell’amministrazione puntualmente evidenziate da Corte cost. n. 151 del 2021, cit., e sarebbe dunque sospettabile di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 23, 24 e 97 Cost.
13.Reputa il Collegio che alla questione possa darsi risposta negli stessi termini elaborati dalle Sezioni Unite di questa Corte in relazione all’incidenza di una legge sopravvenuta che introduca ex novo un termine di decadenza riferibile ad una situazione giuridica ancora pendente (Cass. S.U. n. 15352 del 2015): fermo restando, infatti, che la previsione di un termine di decadenza da parte del legislatore non può avere effetto retroattivo, non potendo logicamente configurarsi un’ipotesi di estinzione del diritto per mancato esercizio da parte del titolare in assenza di una previa determinazione del termine entro il quale il diritto debba essere esercitato, il necessario bilanciamento tra le esigenze di garantire, da una parte, il conseguimento delle finalità perseguite dal legislatore con l’introduzione del termine decadenziale per l’esercizio della potestà sanzionatoria e di tutelare, dall’altra parte, l’interesse della parte pubblica a non vedersi addebitare un’inerzia ad essa non imputabile può essere assicurato dalla regola di valore generale dell’art. 252 att. c.c., secondo cui quando per l’esercizio di un diritto il codice stabilisce un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all’esercizio dei diritti sorti anteriormente e alle prescrizioni e usucapioni in corso, ma il nuovo termine decorre dalla data di entrata in vigore della nuova legge.
14.Alla stregua delle anzidette considerazioni, affatto correttamente i giudici territoriali hanno ritenuto nel caso di specie che la decorrenza del termine entro cui effettuare la contestazione dell’addebito andasse collocata al momento di entrata in vigore del d. lgs. n. 8/2016 (6.2.2016), ossia quando, intervenuta la depenalizzazione, l’INPS comunque avrebbe potuto motu proprio dar corso al procedimento sanzionatorio mediante notifica della violazione. Sicché, considerato che i giudici territoriali hanno altresì accertato che tutti i dati erano già in
possesso dell’Istituto, deve concludersi che la sentenza gravata resiste alle censure mossele.
15.Il ricorso, pertanto, va rigettato con l’enunciazione del seguente principio di diritto: ‘il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti dall’autorità giudiziaria, entro il quale, a norma dell’art. 9, comma 4, d.lgs. n. 8/2016, l’INPS deve notificare al responsabile la violazione amministrativa concernente il mancato versamento delle ritenute previdenziali, parzialmente depenalizzata ai sensi dell’art. 3, comma 6, del medesimo decreto legislativo, è fissato a pena di decadenza dall’esercizio della potestà sanzionatoria e, in caso di mancata trasmissione degli atti da parte dell’autorità giudiziaria, decorre dal momento di entrata in vigore del d.lgs. n. 8/2016 (6.2.2016), ove dal vaglio di merito risulti che, in concreto, l’accertamento delle violazioni non ha richiesto da parte dell’INPS alcuna attività istruttoria’.
16. La novità e complessità della questione trattata giustificano la compensazione delle spese del giudizio di legittimità, mentre, tenuto conto del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, in data 10.12.2024.