Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20947 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20947 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 27501/2019 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
– Ricorrenti –
Contro
BANCA D ‘ ITALIA, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
– Controricorrente –
Avverso il decreto del la Corte d’appello di Roma R.G. n. 4636/2019 depositata il 09/04/2019.
Sanzioni amministrative
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. in esito all’accertamento ispettivo svoltosi tra il 15/01/2015 e il 20/03/2015 nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (incorporata dalla RAGIONE_SOCIALE), con provvedimento del 15/03/2016, la RAGIONE_SOCIALE d’Italia inflisse a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente, al primo, quale presidente del c.d.a., la sanzione pecuniaria di € 22.000,00, e agli altri, quali membri del c.d.a., la sanzione di € 16.500,00 , per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni .
Dall’ispezione era emerso che le principali decisioni della banca erano state orientate dal presidente COGNOME, in carica da oltre trenta anni, e dai consiglieri d’amministrazione, legati da stretti rapporti di affari o di parentela; che erano stati disattesi gli obiettivi del piano strategico 2012/2015; che vi erano stati conflitti di interessi, anomalie nella gestione di posizioni riconducibili agli amministratori e nella gestione delle relazioni creditizie con gli amministratori, con perdite per circa 2 milioni di euro;
2. i manager sanzionati hanno proposto opposizione dinanzi alla Corte d’appello di Roma che, nella resistenza della RAGIONE_SOCIALE d’Italia, ha respinto la domanda, dopo avere disatteso le seguenti censure e questioni: (a) violazione del ne bis in idem , violazione del principio di contestazione immediata ex art. 14, legge n. 689 del 1981, decadenza del potere sanzionatorio, per superamento del termine di accertamento di duecentoquaranta giorni; (b) illegittimità dell’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 72 del 2015; (c) genericità delle contestazioni e della motivazione del provvedimento sanzionatorio con conseguente impossibilità di individuare gli autori degli illeciti; violazione del
principio di legalità e di tassatività della sanzione; (d) mancata graduazione soggettiva delle responsabilità e delle pene pecuniarie; disparità di trattamento delle violazioni accertate rispetto al trattamento riservato ad altro intermediario finanziario (la BCC di Sant’Elena); (e) illegittimità del provvedimento sanzionatorio per carenza di motivazione, travisamento dei fatti e difetti di istruttoria; (f) domanda subordinata di riduzione delle sanzioni;
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, illustrati anche da memoria.
La RAGIONE_SOCIALE d’Italia ha resistito con controricorso .
Considerato che:
il primo motivo -‘ Sul secondo motivo di ricorso. Error in iudicando . Violazione/falsa applicazione di legge. Violazione del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.). Omissione di pronuncia. Violazione del principio del favor rei e della retroattività dello ius superveniens più favorevole. Violazione della direttiva n. 36/2013/UE (in particolare artt. 70-72). Violazione d.lgs. n. 72/15. Eccezione di incostituzionalità. Violazione della Direttiva n. 59/14/UE. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta. Intervenuta sentenza della Corte costituzionale n. 63/2019 ‘ -lamenta che il decreto impugnato, disattendendo le prescrizioni del diritto comunitario e i princìpi costituzionali, non ha condiviso i dubbi dei ricorrenti circa l’ illegittimità costituzionale (per violazione della legge delega) dell’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 72 del 2015, laddove nega in radice la retroattività della lex mitior.
Nel motivo viene riproposta , sotto il profilo dell’eccesso di delega, la stessa questione di legittimità costituzionale;
1.1. il motivo è infondato.
La statuizione della Corte di Roma è in linea con il consolidato orientamento di legittimità ( ex multis , Cass. nn. 26983/2022, 15210/2023, 23191/2023, quest’ultima in tema di sanzioni Consob), secondo cui le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia per carenze nell ‘ organizzazione e nei controlli interni, non hanno natura punitiva, sicché, a fronte di un illecito amministrativo privo di natura sostanzialmente penale -come quello previsto dall’art. 144 TUB – non è invocabile il principio del favor rei e, tramite esso, l ‘ applicazione della normativa in tesi più favorevole introdotta con il d.lgs. n. 72 del 2015, con conseguente manifesta infondatezza dell ‘ eccezione di illegittimità costituzionale di quest’ultima normativa anche sotto il dedotto profilo dell’eccesso di delega (Cass. n. 26983/2022);
2. il secondo motivo -‘ Sul primo motivo di ricorso. Tardività. Violazione del divieto del ne bis in idem . Mancata contestazione immediata ex art. 14, L. 689/81. Decadenza dal potere irrogativo della sanzione per decorso del termine ex art. 14, 2° comma, L. 689/81. Decorso del termine di 240 giorni di cui alle Disposizioni di vigilanza in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria. Violazione dell’art. 2 l. n. 241/1990. Violazione del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.). Omissione di pronu ncia’ denuncia che non sia stata fatta applicazione del l’art. 14, cit., secondo cui, quando è possibile, la violazione deve essere contestata immediatamente al trasgressore e al coobbligato in solido. Si deduce altresì la violazione del principio del ne bis in idem , dato che l’autorità di vigilanza, che pure era a conoscenza dei fatti dal marzo-giugno 2012, in conseguenza della precedente ispezione, in quell ‘ occasione non aveva adottato alcuna misura sanzionatoria.
In relazione a tale rilievo critico, i ricorrenti si dolgono anche dell’ omessa pronuncia, da parte del giudice di merito, al quale
addebitano pure di non avere accolto il motivo di ricorso in punto di decadenza del potere accertativo per superamento del termine di duecentoquaranta giorni che, secondo la prospettazione dei ricorrenti, decorre dalla scadenza del termine per presentare le controdeduzioni;
2.1. il motivo, recante plurime censure, è complessivamente infondato;
2.2. in primo luogo, non sussiste il vizio di omessa pronuncia in ragione del fatto che il decreto impugnato, oltre a statuire sul tema del decidere, concernente la legittimità o meno delle sanzioni, statuisce (disattendendole) anche su tutte le altre eccezioni compendiate nella rubrica del mezzo di impugnazione;
in secondo luogo, quanto all’asserita violazione del principio del ne bis in idem , la Corte d’appello, con accertamento di fatto, supportato da motivazione priva di vizi logici, spiega che la contestazione ha profili di novità rispetto alle evidenze della prima ispezione, e si sostanzia nella violazione del piano strategico 20132015, adottato dopo la prima ispezione del 2012, e soggiunge che l’ulteriore contestazione (compresi gli sconfinamenti concessi a un cliente) riguarda gli anni 2013 e 2014;
in terzo luogo, la Corte d’appello, con riferimento all’eccezione di tardività della contestazione, chiarisce che il termine di novanta giorni per la notifica agli interessati ex art. 14, legge n. 689 del 1981, decorre dal momento in cui viene apposto agli atti dell’accertamento il visto del direttore centrale per la vigilanza bancaria e finanziaria e che, nella specie, lo stesso termine è stato rispettato perché il visto è stato apposto in data 17/04/2015 e la notifica delle contestazioni è avvenuta tra l’11/06/2015 e il 16/06/2015 (Cass. n. 29594/2023);
da ultimo, con riferimento alla pretesa violazione del termine di duecentoquaranta giorni per la conclusione del procedimento sanzionatorio, il decreto impugnato osserva che esso decorre dalla
data di scadenza per la presentazione delle controdeduzioni da parte del soggetto che, per ultimo, abbia ricevuto la notifica della contestazione: nella specie, detto termine decorrente dal 23/07/2015 (ossia dalla scadenza del termine per la presentazione delle controdeduzioni) andava a scadere il 19/03/2016, donde la tempestività del provvedimento sanzionatorio, adottato il 15/03/2016, non rilevando a tal fine la successiva notificazione, che non integra né perfeziona l’atto ( Cass. n. 48/2019);
3. il terzo motivo -‘ Sul terzo motivo di ricorso. Violazione di legge. Violazione dei principi fondamentali di legalità e tassatività della sanzione. Artt. 1-3-4-5-6, L. 689/81. Genericità delle contestazioni. Carenza e/o contraddittorietà della motivazione. Violazione del ne bis in idem . Mancata individuazione dell’autore materiale dei fatti. Violazione della Carta dei diritti di Nizza (artt. 47 ss.) nonché degli artt. 6 e 13 CEDU. Violazione Disposizioni di vigilanza in tema di ‘sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa’. Violazione artt. 144 -145 TUB in relazione agli artt. 117-118 TUB. Violazione degli artt. 3-24-97-98-113-117 Cost. Sussistenza, in ogni caso, di una esimente putativa ai sensi dell’art. 3 L. 689/1981 e dei principi di buona fede e legittimo affidamento. Violazione del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.). Omissione di pronuncia .’ -concerne la genericità degli addebiti e si appunta alla statuizione del giudice di merito secondo cui dalla proposta sanzionatoria si evince il contenuto delle singole contestazioni e la riferibilità agli amministratori sanzionati.
I ricorrenti replicano che il provvedimento impugnato non indica il grado di responsabilità personale, gli elementi informativi disponibili, i fatti che vengono addebitati, né consente di individuare l’autore materiale della violazione. Si ascrive, inoltre, alla Corte d’appello di non avere pronunciato in ordine alla dedotta esimente putativa,
desumibile da elementi oggettivi quali il rispetto della policy e dei regolamenti interni;
3.1. il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato;
dal primo punto di vista (inammissibilità del motivo), la critica è priva di autosufficienza: il decreto impugnato (a pag. 6) afferma che: «gli opponenti nelle loro difese si sono limitati a sostenere, a torto, la non decifrabilità delle contestazioni, senza, tuttavia, prendere posizione sulle precise censure contenute nei rilievi ispettivi che invece ben potevano essere contrastate senza che si possa, perciò, invo care l’inesistenza dell’elemento soggettivo della violazione in assenza di prova di specifici fatti idonei ad infirmare la correttezza dei rilievi o la loro concreta addebitabilità al sanzionato’.
A questo punto, in base al principio di autosufficienza, spettava ai ricorrenti (che hanno omesso il relativo adempimento) riprodurre, almeno sinteticamente, i passi salienti del provvedimento sanzionatorio al fine di dimostrare la (pretesa) genericità degli addebiti in esso formulati;
dal secondo punto di vista (infondatezza del motivo), a proposito dell ‘esimente putativa, se è vero che , in tema di sanzioni amministrative, la responsabilità dell ‘ autore dell ‘ illecito può essere esclusa anche in caso di erronea supposizione della sussistenza degli elementi concretizzanti una causa di esclusione della responsabilità, in quanto l ‘ art. 3 della legge n. 689 del 1981 esclude la responsabilità quando la violazione è commessa per errore sul fatto, ipotesi, questa, nella quale rientra anche l ‘ erroneo convincimento della sussistenza di una causa di giustificazione, è altrettanto vero che l’interessato deve provarne la sussistenza (Cass. n. 15195/2008).
S ul tema dell’elemento soggettivo dell’illecito contestato, la Corte di merito – con giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità ha stabilito che, alla stregua delle risultanze obiettive, i ricorrenti non
potevano fondatamente «invo care l’inesistenza dell’elemento soggettivo delle violazioni»;
il quarto motivo -‘ Sul quarto motivo di ricorso. Violazione dei principi fondamentali in materia di graduazione della pena (artt. 8-bis -10 e 11 L. 689/81) Violazione Disposizioni di vigilanza 18 dicembre 2012. Violazione Legge 241/90 e 262/05 ‘ – censura il decreto impugnato che non indica i criteri in base ai quali reputa congrua la sanzione pecuniaria inflitta a ciascun amministratore, con specifico riferimento al ruolo svolto da COGNOME, il quale ha assunto la carica di amministratore soltanto a partire dal 17/04/2014, il che rende incomprensibile l’affermazione della Corte di Roma che egli avrebbe partecipato alle delibere della banca da cui è scaturita la contestazione;
4.1. il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato;
è inammissibile, per carenza di autosufficienza, lì dove i ricorrenti si dolgono della violazione dei princìpi in materia di dosimetria della pena pecuniaria, ma omettono di indicare, nel dettaglio, i punti del provvedimento sanzionatorio assuntivamente lacunosi;
è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte, alla quale va data continuità, secondo cui, nel procedimento di opposizione avverso le sanzioni amministrative pecuniarie, il giudice, nel caso di contestazione della misura delle stesse, è autonomamente chiamato a controllarne la rispondenza alle previsioni di legge, senza essere soggetto a parametri fissi di proporzionalità correlati al numero e alla consistenza degli addebiti, e può reputare congrua l ‘ entità della sanzione inflitta in riferimento ad una molteplicità di incolpazioni anche qualora escluda l ‘ esistenza di alcune di esse; egli, inoltre, non è chiamato a controllare la motivazione dell ‘ ordinanzaingiunzione, ma a determinare la sanzione entro i limiti edittali previsti, allo scopo di commisurarla all ‘ effettiva gravità del fatto
concreto, desumendola globalmente dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti (come nel caso in esame) siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto dei parametri previsti dall ‘ art. 11, legge n. 689 del 1981 (Cass. n. 11481/2020);
5. il quinto motivo -‘ Sul quinto motivo di ricorso. Eccesso di potere per disparità di trattamento in relazione a situazioni in cui versano altre BCC (o altre banche) analoghe o finanche deteriori rispetto alla CRA di RAGIONE_SOCIALE ‘ -si appunta contro l’asserzione della Corte d’appello secondo cui non sarebbe stata fornita la prova della disparità di trattamento tra la CRA di Tr eviso e la BCC di Sant’Elena;
5.1. il motivo è inammissibile;
in disparte la prospettabile inammissibilità del mezzo di impugnazione, che non indica la norma di diritto che si assume violata, si deve sottolineare che la Corte di Roma, con accertamento di fatto ad essa riservato, ha disatteso la specifica doglianza dei ricorrenti evidenziando che essi non hanno provato l’omogeneità della situazione delle due banche da cui deriverebbe la pretesa disparità di trattamento tra le violazioni contestate agli amministratori della CRA RAGIONE_SOCIALE e quelle rivolte all’a ltro intermediario, e cioè la BCC di Sant’Elena ;
6. il sesto motivo -‘ Sul sesto motivo di ricorso. Illegittimità per carenza di motivazione o motivazione apparente. Travisamento dei fatti. Difetto di istruttoria ‘ -denuncia la motivazione apparente della decisione impugnata che, benché menzioni gli argomenti difensivi addotti dai ricorrenti (in punto di assenza di conflitto di interessi, e relativi alle singole contestazioni), (pag. 35 del ricorso per cassazione) ‘non ha speso una parola per confutarli’;
6.1. il motivo è inammissibile;
il decreto impugnato non è viziato dalla prospettata carenza strutturale in ragione del fatto che esso esamina e risponde a tutti i rilievi critici mossi dagli opponenti al provvedimento sanzionatorio.
Si aggiunga che la lettura dei fatti di causa offerta dai ricorrenti, divergente da quella della Corte territoriale, trascura il basilare principio per il quale il motivo di ricorso non può consistere in un ‘ inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, volta ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U, n. 24148 del 25 ottobre 2013; Sez. 2, n. 6778 del 2 aprile 2015);
in conclusione, dichiarati infondati il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo, dichiarati inammissibili il quinto e il sesto motivo, il ricorso deve essere rigettato;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 7.700,00, di cui € 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione