Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12243 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12243 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6889 – 2020 proposto da:
COGNOME, rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso i loro indirizzi pec;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso la sede dell’Avvocatura della stessa Banca , rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura allegata al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4649/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, pubblicata il 9/7/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
12/11/2024 dal consigliere NOME COGNOME lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 4649/2019 , la Corte d’appello di Roma respinse l’opposizione, ex art. 145 del d.lgs. 385/1993, di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso il provvedimento n. 170/2016, con cui il Direttorio della Banca d’Italia aveva loro inflitto la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 16.500,00 per ognuno, quali componenti o ex componenti del consiglio di amministrazione della Banca Atestina di credito cooperativo s.coop. p.a. (poi fusa nella Banca di Credito Cooperativo delle Prealpi). A seguito di accertamenti ispettivi dell’autorità di vigilanza esperiti, nel corso dell’anno 2015, nei confronti della banca Atestina, erano state infatti riscontrate alcune violazioni consistenti in carenze dell’organizzazione e dei controlli interni , sanzionabili, in sede amministrativa, ai sensi dell’art. 53 co. 1, lett. b) e d), del d.lgs. n. 385/93, in riferimento al titolo IV, cap. 11, delle Istruzioni di vigilanza banche, circolare 229/99, del titolo I, cap. 1, parte quarta, delle Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, Circolare n. 263/06, 15° agg. del 2/7/2013, del titolo V, cap. 7, Circolare n. 263/06, 15 aggiornamento e delle Disposizioni di vigilanza del 4 marzo 2008 in materia di organizzazione e governo societario delle banche, parte I, Titolo IV, cap. 1, Circolare n. 285/13.
Per quel che qui ancora rileva, a motivazione del rigetto dell’opposizione, la Corte distrettuale rilevò che non era possibile procedere ad una contestazione immediata e che, pertanto, non risultavano violati i termini né dell’accertamento, ex art. 1.5 del
Regolamento sulle disposizioni di vigilanza e procedura sanzionatoria amministrativa della BANCA D’ITALIA e dell’art. 2 legge 7 agosto 1990 n.241 e dell’art. 14 legge 24 novembre 1981 n.689 , né della contestazione, ex art. 14 legge 24 novembre 1981 n.689; escluse, quindi, che vi fosse stata una violazione degli artt. 10 e 10 bis legge 7 agosto 1990 n.241, nonché dell’art. 1.3 Regolamento sulle disposizioni di vigilanza e procedura sanzionatoria amministrativa della Banca d’I talia perché la proposta sanzionatoria e il provvedimento impugnato di cui era parte integrante riportavano le controdeduzioni degli incolpati; escluse pure, poi, la necessità sia di disapplicare che di sottoporre al controllo di costituzionalità l’art. 2 comma 3 del d.lgs. 12 maggio 2015 n.72, secondo cui le modifiche apportate al titolo VIII del t.u.b. erano applicabili soltanto alle violazioni commesse dopo la loro entrata in vigore, perché il principio del favor rei , di matrice penalistica, non si estende, in assenza di una specifica disposizione normativa, alle sanzioni amministrative, per cui opera, invece, il principio del tempus regit actum ; negò pure la sussistenza di un contrasto con la normativa eurounitaria che non prevede affatto un esonero dalle sanzioni delle persone fisiche, membri dell’organo di gestione o comunque responsabili della violazione a norma del diritto nazionale; ritenne, in merito, adeguatamente provati i comportamenti contestati e rilevò, quanto all’elemento soggettivo, che non risultava superata la presunzione di colpa posta dall’art. 3 legge 24 novembre 1981 n.689, secondo cui il giudizio di colpevolezza è fondato su parametri estranei al dato puramente psicologico e incentrato sull’elemento oggettivo dell’illecito e sull’accertamento della suità della condotta inosservante; infine, quanto alla determinazione della sanzione, ne confermò la congruità perché era stata tenuta comunque in conto l’azione intrapresa dai ricorrenti per il superamento delle criticità riscontrate, seppure risultata evidentemente insufficiente, tanto da non poter
elidere il comportamento illecito e rimarcò che non risultava alcuna allegazione sulle condizioni economiche di ciascun sanzionato; considerò, infine, che, in ogni caso, l’importo inflitto era più prossimo al minimo che al massimo edittale, fissato in Euro 129.110,00.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidandolo a sei motivi, cui la Banca d’Italia ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’adunanza camerale .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in più censure in riferimento ai n. 3, 4 e 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno denunciato, con un primo profilo, la violazione dell’art. 1.5 del Regolamento sulle disposizioni di vigilanza e procedura sanzionatoria amministrativa della Banca d’Italia, nonché dell’art. 2 legge 7 agosto 1990 n.241 e dell’art. 14 legge 24 novembre 1981 n.689; con un secondo profilo, hanno prospettato la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. per omessa pronuncia e la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ.; infine, con un terzo profilo, hanno lamentato l’omesso esame di fatto decisivo. I n particolare, secondo i ricorrenti, sarebbe stato violato il termine di duecentoquaranta giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle controdeduzioni da parte del soggetto che ha ricevuto per ultimo la notifica delle contestazioni, come prescritto dal Regolamento, perché la notificazione della contestazione era stata ricevuta il 1° luglio 2015, il termine per la presentazione delle controdeduzioni era scaduto il 31 luglio 2015, ma il provvedimento impugnato risulta adottato, invece che alla data del 27/3/2016, in data 30/3/2016; in riferimento all’art. 2 comma 2 legge 7 agosto 1990
n.241, invece, la notifica del provvedimento sanzionatorio non sarebbe avvenuta entro il trentesimo giorno successivo alla scadenza del suddetto termine dei duecentoquaranta giorni, entro il 26 aprile 2016, ma soltanto dal 19 maggio 2016; in ogni caso l’accertamento delle violazioni riportate nel provvedimento sanzionatorio opposto sarebbe avvenuto nel luglio 2014, sicché la contestazione del luglio 2015 era tardiva rispetto al termine di cui all’art. 14 legge 24 novembre 1981 n.689 ; la Corte d’appello avrebbe pure «inopinatamente» previsto un ulteriore termine di trenta giorni, successivo alla scadenza dei 90 giorni dall’accertamento ex art. 14 l. 689/81 ; avrebbe, infine, commesso un error in procedendo o omesso l’esame di un fatto decisivo ( così in ricorso), affermando che la nota del 2 luglio 2014, contenente i rilievi dei comportamenti poi contestati, non fosse stata ritualmente prodotta e trascurando di confrontarne il contenuto con le successive contestazioni disciplinari.
1.1. Il motivo è inammissibile in ogni profilo, per più ragioni.
Sul rispetto del termine di 240 giorni ex art. 1.5 del Regolamento sulle disposizioni di vigilanza e procedura sanzionatoria amministrativa della Banca d’Italia, come applicabile alla fattispecie ratione temporis , la Corte d’appello ha rilevato che la contestazione era stata notificata, per ultimo, a NOME COGNOME e a NOME COGNOME l’8 luglio 2015, sicché il termine di 240 giorni era iniziato a decorrere dal 7 agosto 2015 per spirare il 1° aprile 2016, laddove il provvedimento impugnato è stato adottato il 30 marzo 2016; ha poi escluso che assumesse rilievo la notifica dopo tale scadenza, perché ogni termine previsto per la conclusione del procedimento amministrativo si riferisce all’adozione del provvedimento finale e non già alla sua comunicazione o notificazione.
Così decidendo, la Corte territoriale ha correttamente applicato principi consolidati in materia: in particolare, infatti, questa Corte ha
più volte ribadito l’ inconciliabilità della legge n. 241/1990 con la disciplina delle sanzioni amministrative, contenuta nella legge 24 novembre 1981, n. 689, in quanto la regolamentazione dell’irrogazione delle sanzioni amministrative si pone in rapporto di specialità rispetto a quella dei procedimenti amministrativi in genere e, quindi, quest’ultima, anche se posteriore alla prima, non comporta la caducazione della precedente, considerato, inoltre, che le disposizioni della legge n. 689 del 1981, «costituiscono un sistema organico e compiuto, nel quale non occorrono inserimenti esterni»; ciò implica che i procedimenti sanzionatori bancari sono temporalmente soggetti solo al termine quinquennale di prescrizione della pretesa punitiva previsto dal citato art. 28 della legge n. 689/1981, e non a termini ulteriori di decadenza e/o perenzione, non previsti dalla legge stessa (Cass. Sez. 2, n. 10348 del 17/04/2024, con numerosi richiami).
Quanto, poi, alla dedotta violazione dell’art. 14 della legge n. 689/81, in tema di sanzioni amministrative per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, il termine per la contestazione degli illeciti decorre dal momento del relativo accertamento, che non coincide necessariamente né con quello della mera constatazione dei fatti nella loro materialità né con quello in cui le relazioni o i rapporti finali degli incaricati degli accertamenti siano stati depositati o comunque messi a disposizione degli organi dell’autorità di supervisione competenti al relativo esame, dovendosi tener conto, a tal fine, del tempo strettamente necessario affinché, al termine delle verifiche preliminari, la constatazione dei fatti avrebbe potuto essere tradotta in accertamento, senza ingiustificati ritardi derivanti da disfunzioni burocratiche o artificiose protrazioni nello svolgimento dei compiti assegnati ai diversi organi.
Peraltro, questo momento dell’accertamento – in relazione al quale va collocato il dies a quo del termine previsto dall’art. 14, comma
2, della l. n. 689 del 1981 per la notifica degli estremi della violazione – non coincide con quello di acquisizione del fatto nella sua materialità da parte dell’autorità che ha ricevuto il rapporto, ma va individuato nella data in cui detta autorità ha completato l’attività intesa a verificare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell’infrazione, competendo al giudice di merito valutare la congruità del tempo utilizzato per tale attività, in rapporto alla maggiore o minore difficoltà del caso, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato (Cass. n. 10348 del 17/04/2024 cit., con richiami).
In tal senso la censura relativa alla mancanza del termine di trenta giorni individuato dalla Corte territoriale non coglie nel segno, perché quel tempo di trenta giorni è stato individuato -con motivazione in fatto qui non censurata -come «termine ragionevole, entro il quale sia compiuta la valutazione, in punto di diritto, delle emergenze dell’istruttoria medesima, diretta a verificare la sussistenza della fattispecie costituente illecito» (così in sentenza).
Ugualmente inammissibile è la censura relativa alla valutazione della nota del 2/7/2014: la Corte d’appello non ne ha affatto ignorato il contenuto (ciò che esclude un vizio ex n. 5), ma ha rimarcato che quanto poi contestato nel procedimento sanzionatorio non coincideva in toto con quanto prospettato nella nota suddetta (i rilievi della nota sono stati ricavati comunque, pur senza rinvenirne direttamente il documento); ciò, peraltro, perché -come chiarito dalla controricorrente -sono stati raccolti, ai fini della contestazione, dati successivi alla nota stessa; in tal senso è, perciò, escluso un vizio di motivazione ex n.4.
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno prospettato la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 10 bis della l. 241/90 e
dell’art. 1.3. del Regolamento sulle disposizioni di vigilanza e procedura sanzionatoria amministrativa della Banca d’Italia : la Corte d’appello non avrebbe considerato la mancata valutazione delle osservazioni.
2.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
L a Corte d’appello ha affermato che l’art. 10 bis legge 7 agosto 1990 n.241, nel prevedere che dell’eventuale mancato accoglimento delle osservazioni sia data ragione nella motivazione del provvedimento finale, si riferirebbe ai procedimenti che iniziano ad istanza della parte, e, perciò non sarebbe applicabile al procedimento sanzionatorio ad inizia tiva dell’Autorità di vigilanza; ha escluso, quindi, la denunciata violazione del Regolamento ritenendo sufficiente il richiamo, nel provvedimento sanzionatorio, alla valutazione effettuata nella proposta.
La censura è, dunque, infondata, quanto all’ambito di operatività dell’art. 10 bis , sia per le considerazioni svolte al punto 1.1 sulla inconciliabilità della legge n. 241/1990 con la disciplina delle sanzioni amministrative contenuta nella legge 24 novembre 1981, n. 689 e sul rapporto di specialità tra le due discipline, sia perché il chiaro tenore letterale dell’art. 10 bis ne esclude, come correttamente osservato dalla Corte territoriale, l’applicabilità alle procedure sanzionatorie a iniziativa di una autorità di vigilanza.
Quanto alla compiutezza della motivazione del provvedimento sanzionatorio, il ricorrente, invece, si è limitato a riproporre le argomentazioni dell’atto di opposizione , senza considerare che, nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, il ricorso per cassazione ha ad oggetto lo scrutinio della legittimità della sentenza di merito e non direttamente del provvedimento amministrativo.
In tal senso, quel che qui è prospettato è un error in iudicando , cioè l’errore di giudizio della Corte d’appello sulla sufficienza della
valutazione delle osservazioni degli incolpati nel provvedimento sanzionatorio.
Si tratta, evidentemente, di un giudizio di merito, fondato in diritto sulla sussistenza, secondo il Regolamento, di un onere dell’Istituto di vigilanza, non a pena di nullità, di valutare gli scritti difensivi e, in fatto, sull’avvenuta valutazione per relationem , mediante specifico richiamo nel penultimo capoverso della pag. 1 del provvedimento sanzionatorio alle considerazioni svolte nella proposta, parte integrante del provvedimento finale.
Questo giudizio non è stato adeguatamente censurato nei limiti del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ. , posto che non è stato neppure riportato il contenuto asseritamente decisivo delle controdeduzioni non valutate.
Gli stessi profili di inammissibilità ricorrono per il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., con cui i ricorrenti hanno sostanzialmente riproposto il contenuto del terzo motivo di opposizione, senza adeguata censura della sentenza in cui risultano correttamente applicati principi consolidati in materia.
In particolare, i ricorrenti hanno sostenuto che l’art. 2 comma 3 del d.lgs. 12 maggio 2015 n.72, che costituirebbe legge più favorevole, sarebbe illegittimo nella parte in cui prevede l’applicazione del decreto stesso alle sole violazioni successive alla data della sua entrata in vigore e avrebbe dovuto essere disapplicato per contrarietà alla direttiva europea n. 36/2013 e sottoposto a vaglio di costituzionalità per eccesso di delega legislativa conferita con la legge 7 ottobre 2014 n.154; in ogni caso, s econdo la loro prospettazione, l’art. 2 comma 3 del d.lgs. 72/2015 avrebbe dovuto essere applicata in quanto lex mitior , ex art. 2 comma 2 del Regolamento 2988/95 del Consiglio e dell’ art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, non
potendosi dubitare del carattere sostanzialmente penale delle sanzioni irrogate con il provvedimento impugnato.
3.1. Come dettagliatamente argomentato nelle pagine 10, 11 e 12 della sentenza impugnata, per giurisprudenza consolidata di questa Corte innanzitutto deve essere esclusa la natura penale delle sanzioni per cui è giudizio : le sanzioni previste dall’art. 144 t.u.b. per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle irrogate dalla CONSOB ai sensi dell’art. 187-ter TUF per manipolazione del mercato e non hanno, perciò, natura sostanzialmente penale né pongono, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 4 marzo 2014, COGNOME e altri c. Italia).
In particolare, questa Corte ha rimarcato che, seppure sia vero che i «criteri Engel» per la qualificazione di una sanzione sono alternativi e non cumulativi, è parimenti vero che «ciò non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l’analisi separata di ogni criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una “accusa in materia penale”» (Grande Stevens, punto 94). Nel caso in esame, pertanto, è stato considerato che il criterio della qualificazione della sanzione, nel sistema nazionale, come amministrativa non offre un risultato univoco, giacché, se è vero che la sanzione è posta a tutela di interessi generali (la tutela del credito e del risparmio) e ha una funzione non soltanto ripristinatoria ma anche deterrente, è vero altresì che essa risulta destinata ad una platea ristretta di possibili destinatari (i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione o i dipendenti delle banche e degli altri intermediari di cui al testo unico bancario), il che limita la generalità della portata della norma; la valutazione dell’afflittività, poi, non può essere svolta in termini totalmente astratti, ma va necessariamente
rapportata al contesto normativo nel quale la disposizione sanzionatoria si inserisce. Ciò precisato, è stato allora affermato che, considerate le caratteristiche delle sanzioni previste dall’ordinamento del credito e della finanza, cioè le sanzioni penali finanche detentive, nonché le sanzioni amministrative pecuniarie che, come quelle per gli abusi di mercato, possono ascendere a molti milioni di euro, una sanzione pecuniaria compresa, come quella applicabile ratione temporis , tra il minimo edittale di Euro 2.580 ed il massimo edittale di Euro 129.110, non corredata da sanzioni accessorie né da confisca, non è connotata da una afflittività così spinta da trasmodare dall’ambito amministrativo a quello penale (Cass. Sez. 2, n. 16517 del 31/07/2020, con indicazione di numerosi precedenti).
In conseguenza, è stata correttamente esclusa l’operatività del principio di retroattività della lex mitior , con conseguente manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 72 del 2015, per contrasto con gli artt. 3 e 117 Cost., nella parte in cui tale norma non prevede l’applicazione a tali sanzioni del principio del favor rei , non sussistendo una regola generale di applicazione della legge successiva più favorevole agli autori degli illeciti amministrativi (Cass. n. 17209 del 18/08/2020).
Per questi motivi è stata fondatamente escluso il dubbio di illegittimità costituzionale del comma 3 dell’art. 3 del d.lgs. 12 maggio 2015 n.72, perché il cosiddetto principio del favor rei , di matrice penalistica, non si estende, in assenza di una specifica disposizione normativa, alla materia delle sanzioni amministrative, che risponde, invece, al distinto principio del tempus regit actum .
3.2. Quanto al contrasto con la normativa eurou nitaria, l’art. 65 comma 2 della direttiva 2013/36 UE, laddove prevede che gli Stati membri debbano assicurare che, quando gli obblighi di cui al paragrafo 1 si applicano a enti, società di partecipazione finanziaria e società di
partecipazione finanziaria mista, in caso di violazione delle disposizioni nazionali di recepimento della presente direttiva o del regolamento (UE) n. 575/2013, le sanzioni possano essere applicate, alle condizioni previste dal diritto nazionale, ai membri dell’organo di gestione e ad altre persone fisiche responsabili della violazione a norma del diritto nazionale, non esonera perciò stesso dalle sanzioni le persone fisiche, membri dell’organo di gestione o comunque responsabili della violazione a norma del diritto nazionale: correttamente, pertanto, la Corte ha escluso la violazione di una norma eurounitaria.
3.4. Quanto alla legge di delegazione, l’art. 3 comma1 lett. m) n.1) legge 7 ottobre 2014 n.154 aveva indicato, quale principio e criterio direttivo specifico, con riferimento alla disciplina sanzionatoria adottanda in attuazione della lett. i) e della lett. l), quello di valutare l’estensione del principio del favor rei ai casi di modifica della disciplina vigente al momento in cui era stata commessa la violazione; pertanto, il legislatore delegato era stato officiato esclusivamente della facoltà di valutar e l’ estensione del principio del favor rei , non già di applicare integralmente detto principio nella legge delegata (Cass. 10348/24 cit.)
3.5. Per quanto concerne, infine, la normativa di cui all’art. 2 comma 2 del Regolamento 2988/95 del Consiglio, tale disposizione prevede che nessuna sanzione amministrativa possa essere irrogata se non è stata prevista da un atto comunitario precedente all’irregolarità e che, nel caso di successiva modifica delle disposizioni relative a sanzioni amministrative contenute in una normativa comunitaria, si applicano retroattivamente le disposizioni meno rigorose. Tuttavia, tale disciplina, inequivocabilmente applicativa del principio del favor rei , è limitata, stante il disposto dell’art. 1 comma1 medesimo Regolamento, alle ipotesi sanzionatorie dirette alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, ora dell’Unione Europea, ipotesi non ricorrente
quanto alla disciplina sanzionatoria oggetto della presente controversia (Cass. 10348/24 cit.)
4. Con il quarto motivo, i ricorrenti hanno lamentato la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., in riferimento al n. 4 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., prospettando che sia meramente apparente la motivazione di rigetto del quarto motivo di opposizione, concernente il difetto di motivazione del provvedimento sanzionatorio; hanno, quindi, prospettato, ex n. 5, l’om esso esame di un fatto decisivo; hanno, infine, denunciato la violazione dell’art. 3 de lla legge 240/91.
4.1. Anche questo motivo è inammissibile per come formulato. Ancora una volta i ricorrenti hanno sovrapposto la denuncia dei pretesi vizi del provvedimento amministrativo proposta alla Corte d’appello con il quarto motivo di opposizione con lo scrutinio di legittimità da deferire a questa Corte; ne risulta, pertanto, una censura diretta essenzialmente al riesame in merito del provvedimento amministrativo.
Innanzitutto, quanto alla denunciata nullità ex art. 132 n. 4 cod. proc. civ., questa Corte ha costantemente puntualizzato che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, nel senso della «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, restando così esclusa qualunque rilevanza del semplice «difetto di sufficienza» della motivazione. Ricorre, allora, il vizio denunciato con il
secondo motivo quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, in ultimo, Sez. U, n. 2767 del 30/01/2023, in motivazione, con numerosi richiami; Cass. Sez. 1, n. 7090 del 03/03/2022)
Nella specie, invero, non ricorre alcuna delle ipotesi appena descritte: la Corte territoriale ha, infatti, dedicato al riesame delle osservazioni dei ricorrenti, negandone la rilevanza, la decisività e la fondatezza, le pagine 12, 13 e, in parte 14; in conseguenza, non risulta neppure comprensibile perché, rendendo questa valutazione in fatto la Corte d’appello abbia violato l’art. 3 della legge 241/90.
Per la restante parte, la censura non è autosufficiente, posto che non viene individuato quale sia il fatto decisivo non considerato.
5. La sovrapposizione tra motivazione del ricorso per cassazione e motivazione dell’opposizione al provvedimento sanzionatorio è ancor più evidente nel quinto motivo, con cui il ricorrente ha riproposto la questione della mancanza di elemento soggettivo; n ell’articolazione delle ragioni di censura, i ricorrenti hanno comunque prospettato, pur non indicandola in rubrica, la violazione dell’art. 2967 cod. civ., per avere la Corte d’appello imposto loro, operando una illegittima inversione, l’onere di provare l’assenza di colpa .
5.1. Il motivo è inammissibile in ogni suo profilo perché la Corte d’appello ha deciso in conformità con il principio consolidato di questa Corte secondo cui, in tema di sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Banca d’Italia, ex art. 144 del d.lgs. n. 385 del 1993, nei confronti di soggetti che svolgono funzioni di direzione, amministrazione o controllo di istituti bancari, il legislatore individua
una serie di fattispecie, destinate a salvaguardare procedure e funzioni, incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, ricollegando il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico e limitando l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della suità della condotta inosservante, sicché, integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 della l. n. 689 del 1981, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza ( ex multis , Cass. Sez. 2, n. 9546 del 18/04/2018; Sez. 2, n. 24081 del 26/09/2019; Sez. 2, n. 16517 del 31/07/2020).
6. Infine, inammissibile è il sesto motivo, con cui, riproponendo il corrispondente motivo di opposizione, i ricorrenti hanno dedotto l’eccessività della misura della sanzione, non rapportata alla gravità della condotta dei ricorrenti.
6.1. Sul punto, la Corte ha rimarcato che, ferma la gravità della violazione individuabile nella sostanziale inefficacia dell’attività di organizzazione e di controllo, da parte dei componenti ed ex componenti del consiglio di amministrazione, quale delineata nel provvedimento sanzionatorio , l’importo della sanzione irrogata, pari ad euro 16.500,00 è prossimo più al minimo edittale, pari ad euro 2.580,00, che al massimo, pari ad euro 129.110,00 e, perciò, risulta adeguatamente proporzionato alla tipologia delle condotte e al coinvolgimento dei soggetti sanzionati; questo giudizio di merito non è stato qui adeguatamente censurato.
3. Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore della Banca d’ Italia, liquidate in dispositivo in relazione al valore.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento, in favore di Banca d’Italia , delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi ed euro 200,00 per gli esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda