Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7135 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 7135 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7961/2019 R.G. proposto da: NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso il DECRETO di CORTE D’APPELLO ROMA n. 4398/2015 depositata il 03/08/2018.
Udita l a relazione svolta nell ‘udienza del 28/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le osservazioni del P.M., la Sostituta P.M. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi gli avvocati NOME COGNOMEsu delega dell’avvocato COGNOME) per il ricorrente e NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
Dal 27 settembre 2011 al 9 marzo 2012, la Banca d’Italia ha condotto un’ispezione presso la Banca Monte dei Paschi di Siena, rilevando violazioni normative contestate al ricorrente e ad altri esponenti della banca. NOME COGNOME ha presentato controdeduzioni, ma la Banca d’Italia, il 28 marzo 2013, ha adottato la delibera sanzionatoria n. 180/2013, irrogando al ricorrente una sanzione di € 90.000 quale componente del Comitato direttivo e Vice Direttore Generale responsabile della Direzione Corporate della Banca per violazione della normativa di settore in materia di contenimento dei rischi finanziari. Il ricorrente ha proposto opposizione al TAR Lazio, che, a seguito della sentenza n. 94/2014 della Corte costituzionale, ha dichiarato il difetto di giurisdizione con sentenza n. 3327/2015. Il giudizio è stato riassunto dinanzi alla Corte di appello di Roma, che, con ordinanza n. 8695/2018, ha rigettato l’opposizione.
A sostegno della decisione adottata la Corte territoriale ha evidenziato che trattandosi di procedimento amministrativo, privo di carattere giurisdizionale, doveva essere esclusa qualsiasi violazione delle garanzie di partecipazione e di difesa dell’incolp ato, osservando che peraltro le difese del Marino erano state rivisitate dal Direttorio della Banca d’Italia.
Nel merito, ritenuta la tempestività della notificazione del provvedimento sanzionatorio, ha ravvisato la responsabilità del ricorrente in quanto componente dell’organo di MPS cui era istituzionalmente demandata la definizione delle strategie operative del Gruppo, compito che non erano stati assolti con la dovuta diligenza.
Il COGNOME ha proposto ricorso in cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati anche da memoria. Ha resistito la Banca d’Italia con controricorso.
Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.
In data 28/10/2024, il ricorrente ha fatto istanza di rinvio della pubblica udienza, adducendo la pendenza del giudizio dal medesimo proposto dinanzi alla Corte EDU.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -In via preliminare occorre osservare che, come suaccennato, il ricorrente ha chiesto un rinvio a nuovo ruolo in attesa che la Corte EDU si pronunci su ricorsi aventi ad oggetto sanzioni amministrative cui sarebbe da riconoscere natura sostanzialmente penale.
Rileva il Collegio che, in relazione all’analoga ipotesi dell’istanza di sospensione del giudizio in attesa della definizione di altra controversia, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, ribadita anche di recente (Cass. n. 29963/2024), ha stabilito che essa è inammissibile se proposta per la prima volta in cassazione, in quanto il provvedimento richiesto esula dalla funzione istituzionale della Corte Suprema, cui è demandato soltanto il sindacato di legittimità delle anteriori decisioni di merito (Cass., Sez. Un., n. 29172/2020 e, in fattispecie in materia di sanzioni Consob, Cass. n. 23191/2023).
Ciò premesso, non è necessario disporre il rinvio della causa (iscritta al ruolo della S.C. nel 2019) a nuovo ruolo da un lato perché il suo oggetto -opposizione a delibera sanzionatoria della Banca d’Italia è diverso e non sovrapponibile rispetto all’oggetto (opposizione a sanzioni irrogate dalla Consob) dei giudizi, attualmente pendenti, che il ricorrente ha proposto dinanzi alla Corte EDU; dall’altro perché, come verrà in seguito illustrato, la normativa interna non è in contrasto con le disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
2. – Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 2 co. 5 del d.lgs. 72/2015 e 145 co. 4, 5, 6, 7, 7-bis, 8 del d.lgs. 385/1993 (come modificato dal d.lgs. 72/2015). Si censura la decisione della Corte di appello per aver applicato erroneamente il rito camerale previsto dal testo previgente dell’art. 145 d.lgs. 385/1993, considerando il giudizio pendente all’entrata in vigore del d.lgs. 72/2015. Il ricorso sostiene che, in seguito alla declinatoria di giurisdizione del TAR e alla riassunzione dinanzi alla Corte di appello (avvenuta il 14/07/2015, successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. 72/2015 il 27/06/2015), si sarebbe dovuto considerare il giudizio come nuovo processo, con applicazione integrale del rito modificato. Si osserva che il legislatore ha distinto i giudizi pendenti dai nuovi giudizi, richiedendo per questi ultimi l’applicazione delle disposizioni modificate, con rito contenzioso e pubblica udienza. Il motivo sottolinea che la Corte ha invece applicato un regime camerale, con l’unica m odifica della pubblicità dell’udienza, in contrasto con il dettato normativo e con il principio secondo cui la riproposizione della domanda rappresenta un nuovo processo autonomo.
Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 2 co. 5 del d.lgs. 72/2015 in relazione agli artt. 3 e 117 Cost., con riferimento all’art. 6 della Convenzione EDU. Si contesta la scelta della Corte di appello di applicare il regime transitorio previsto dal l’art. 2 co. 5 del d.lgs. 72/2015 per i giudizi pendenti, sostenendo che tale interpretazione determina una disparità di trattamento e una violazione del diritto al giusto processo. Si rileva che l’aver considerato il giudizio pendente dal momento della do manda dinanzi al TAR ha comportato l’applicazione di un rito camerale privo delle garanzie introdotte dalla nuova normativa, con il solo correttivo della pubblicità delle udienze. Tale regime è ritenuto incompatibile con i principi di parità di trattamento e ragionevolezza, nonché con il diritto alla prova e al contraddittorio sanciti dall’art. 6 della Convenzione EDU. Si ritiene pertanto rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità della
norma transitoria nella parte in cui non applica il nuovo rito ai giudizi già pendenti.
Il primo e il secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente per connessione.
Essi sono infondati.
Indipendentemente dal problema se le disposizioni dell’art. 11 d.lgs. n. 104/2010 e dell’art. 59 l. n. 69/2009, prevedano l’ introduzione di un nuovo processo (cfr. il terzo motivo), è da osservare, in linea con quanto ha argomentato anche il P.M., che questa Corte, pronunciandosi su fattispecie in cui, come nel caso in esame, la Corte di appello aveva applicato ratione temporis il disposto dell’art. 145 TUB nella formulazione antecedente alla novella di cui al d. lgs. n. 72/2015, ha dato continuità al principio secondo cui « la denuncia di un vizio correlato alla pretesa violazione di norme processuali non è volta alla salvaguardia dell’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma propriamente all’eliminazione del concreto pregiudizio che la parte in conseguenza della denunciata violazione abbia sofferto; ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti la menomazione del diritto di difesa senza specificazione del concreto pregiudizio che alla parte sia derivato » (in questo senso, tra le altre, Cass. 24491/2022). Nel caso attuale, il ricorrente ha omesso di argomentare sul lamentato vizio processuale nel senso di indicare specificamente se ed in qual modo la scelta processuale della Corte di appello abbia potuto pregiudicarlo, influendo sul contenuto o sulle determinazioni della decisione di merito.
Il primo e il secondo motivo sono rigettati.
3. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 2 co. 3 del d.lgs. n. 72/2015, dei principi generali del diritto europeo e dell’art. 2 co. 2 ultimo alinea reg. n. 2988/98/CE. Rileva il ricorrente che la riforma del sistema sanzionatorio, prevista dal D. Lgs. n. 72/2015, avrebbe dovuto essere coerente con gli artt. 65 e 70 della Direttiva 2013/36/UE e dunque la Corte di appello avrebbe dovuto
assicurargli, in quanto persona fisica, l’applicazione della sopravvenuta disciplina più favorevole, in forza della quale gli esponenti aziendali dei soggetti abilitati non possono più essere destinatari di sanzioni amministrative ex art. 144 ter TUB. Il ricorrente sollecita, a tal fine, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, al fine di verificare la compatibilità della normativa italiana con la disciplina dell’Unione europea .
Il terzo motivo non è fondato.
L’art. 2 co. 3 d.lgs. n. 72/2015 detta la disposizione transitoria di base ed è univoco nell’attribuire rilevanza al momento della commissione della violazione e non al momento dell’instaurazione del correlativo processo di opposizione. Cioè, le modifiche apportate dal d.lgs. n. 72/2015 al titolo VIII d.lgs. n. 385/1993 si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Banca d’Italia (ai sensi dell’art 145-quater), mentre alle violazioni commesse prima (di tale data di entrata in vigore), come quelle del caso di specie, continuano ad applicarsi le norme del titolo VIII d.lgs. n. 385/1993 vigenti prima della data di entrata in vigore del d.lgs. n. 72/2015. In assenza di una connotazione penale delle sanzioni de quibus e al pari di quanto già affermato da questa Corte con riferimento alle sanzioni Consob (cfr. Cass. n. 24375/2023), rimane fermo il principio dell’irretroattività della legge, che vige (anche) in materia di sanzioni amministrative.
Quanto alla correlativa richiesta di rimessione alla Corte di giustizia, questa Corte ha affermato che: «Non vi è materia per proporre il richiesto rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, né sulla qualificazione delle sanzioni dettate dall’art. 144 TUB in rapporto ai cd. criteri Engels, né sulla compatibilità con l’articolo 48 CDFUE delle norme processuali che disciplinano il giudizio di opposizione alle sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia». Così, Cass. 16517/2020, cui si rinvia per una più ampia motivazione, compresa la sottolineatura che il richiamo al regolamento 2988/98CE è inconferente rispetto alla
fattispecie attuale, avendo un oggetto diverso dalle sanzioni amministrative.
Il terzo motivo è rigettato.
4. -Il quarto motivo denuncia incompatibilità dell’art. 3 l. n. 689/1981 con l’art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, lamentando che il principio di presunzione di colpevolezza, su cui si fonda la norma, contrasti con il principio di presunzione di innocenza sancito dalle disposizioni sovranazionali. Si sostiene che tale incompatibilità deriva dall’automaticità con cui la normativa nazionale estende la responsabilità dell’ente a quella degli esponenti aziendali, senza consentire un’effettiva verifica dell’elemento soggettivo. Si osserva che, conformemente al diritto europeo, il sistema sanzionatorio dovrebbe basarsi su criteri che assicurino la personalizzazione della responsabilità e una valutazione concreta della colpevolezza. Si fa valere che, nel caso di sanzioni amministrative da qualificare come sostanzialmente penali, secondo i criteri Engel, devono essere applicate le garanzie previste per le pene, incluse quelle del diritto sovranazionale e convenzionale. Si richiede di sollevare una questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione Europea per valutare la compatibilità di tali norme con il diritto europeo.
Il motivo è inammissibile poiché non coglie che l a Corte d’appello ha in concreto accertato la violazione da parte del ricorrente del particolare livello di diligenza imposto all’amministratore di società bancaria dalla normativa di settore, pur a fronte di interventi correttivi suggeriti dalla vigilanza, di segnali provenienti dagli organi di controllo e di evidenti indizi di disfunzioni e carenze già sicuramente manifestatesi (p. 10-22 del provvedimento impugnato). Accertata in concreto la colpa nel caso attuale, cade la struttura del motivo incentrata sulla c.d. presunzione di colpa, che non è entrata in gioco nel caso attuale.
5. – Il quinto motivo denuncia violazione degli artt. 8 e 11 l. n. 689/1981, lamentando l’errata quantificazione della sanzione amministrativa. Si contesta che al ricorrente, in qualità di componente del Comitato Direttivo, sia stata irrogata una sanzione p ari a € 90.000, sensibilmente superiore a quella di € 45.000 applicata ad altri membri del medesimo organo per fatti identici. Si evidenzia l’assenza di motivazione adeguata riguardo al raddoppio dell’importo, in contrasto con i criteri previsti dalla normativa citata. Si rileva una generica e contraddittoria attribuzione di responsabilità, senza chiara individuazione dei fatti specifici o dei doveri violati dal ricorrente. Viene anche contestata l’applicazione del concorso formale in luogo del cumulo materiale delle violazioni. Si sostiene che la Corte di appello abbia erroneamente ritenuto unificabili le infrazioni sotto il profilo del concorso formale, applicando quindi un’unica sanzione incrementata, invece di trattarle come autonome e distinte, come previsto dal principio del cumulo materiale. Tale scelta, secondo il motivo, sarebbe priva di una motivazione adeguata e contrasterebbe con i criteri stabiliti dagli artt. 8 e 11 l. n. 689/1981.
Il motivo è inammissibile.
La Corte distrettuale ha ritenuto come la sanzione «raddoppiata rispetto agli altri componenti del comitato direttivo appaia del tutto congrua, personalizzata ed adeguata in considerazione della carica sociale ricoperta, nonché della pluralità e della gravità obiettiva dei rilievi, in tema di contenimento del rischio finanziario, accertati in capo all’odierno opponente e ciò sulla scorta dell’ampia condivisa motivazione adottata dal Direttorio, in sede di delibera sanzionatoria». La motivazione è congrua e quindi non si espone a censure in sede di giudizio di legittimità. Più in generale, come ha sottolineato il P.M., questa Corte ha affermato che «nel procedimento di opposizione avverso le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate per violazione del TUB o del TUF, il giudice ha il potere discrezionale di quantificare l’entità della sanzione, entro i limiti edittali previsti, allo
scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, desumendola globalmente dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto dei parametri previsti dall’art. 11 della l. n. 689 del 1981» (cfr. Cass. 11481/2020, 19716/2024). Quanto alla contestata applicazione del concorso formale, in luogo del cumulo materiale, non è ravvisabile la violazione o falsa applicazione dell’art. 8 della legge 689/1981. Tale disposizione prescrive che « chi con un’azione od omissione viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative o commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo ». Nel caso in esame la Corte ha fatto riferimento alla pluralità dei rilievi e quindi delle condotte tenute in violazione dell’art. 53 comma 1 lett. b) d.lgs. 383/1998, a petto de quali la parte non aveva specificato elementi di calcolo idonei a rendere ragione di un trattamento sanzionatorio più favorevole secondo il criterio del cumulo materiale.
6. – Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 7.000 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Se-