Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13182 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13182 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11419/2023 r.g., proposto da
Ispettorato Territoriale del Lavoro di Treviso , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma , rappresentato e difeso dall’ Avvocatura generale dello Stato.
ricorrente
contro
COGNOME Luigi NOME e RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , entrambi elett. dom.ti presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME.
contro
ricorrenti
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 154/2023 pubblicata in data 31/03/2023, n.r.g. 872/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 18/03/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME in qualità di trasgressore, e la RAGIONE_SOCIALE, in qualità di coobbligata solidale, erano stati destinatari dell’ordinanza ingiunzione per euro 103.350,00, emessa dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Treviso per violazione dell’art. 3, co. 3 d.l. n. 12/2002, conv. in L.
OGGETTO:
sanzione amministrativa pecuniaria per infedele indicazione sul LUL (c.d. lavoro irregolare) – maxi sanzione -norma successiva più favorevole applicazione retroattiva -condizioni
n. 72/2002 (c.d. maxi sanzione per lavoro irregolare), oltre alla sanzione di euro 450,00 per le infedeli dichiarazioni sul LUL, in violazione dell’art. 39, co. 7, d.l. n. 112/2008, conv. in L. n. 133/2008.
Adìvano il Tribunale di Treviso impugnando la predetta ordinanza, di cui prospettavano l’illegittimità sotto vari profili.
2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale, in parziale accoglimento dell’opposizione, revocava l’ordinanza ingiunzione e rideterminava la sanzione per lavoro irregolare in euro 7.200,00, lasciando invariata quella per le infedeli dichiarazioni sul LUL. In particolare il Tribunale riteneva che la lex mitior , rappresentata dall’art. 22 d.lgs. n. 151/2016, che aveva drasticamente ridotto il trattamento sanzionatorio, fosse applicabile retroattivamente in virtù di C. Cost. n. 63/2019, che aveva a sua volta richiamato C. Cost. n. 193/2016.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dall’Ispettorato.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
va condiviso il principio di diritto espresso dalla Corte di legittimità, secondo cui il principio del favor rei e quindi dell’applicazione retroattiva della norma più favorevole si applica anche alle sanzioni amministrative qualora siano di natura sostanzialmente penale (Cass. n. 23814/2019);
nel caso in esame il Tribunale ha esattamente ritenuto che, alla stregua dell’ordinamento convenzionale europeo, la sanzione per lavoro irregolare ha natura sostanzialmente penale avuto riguardo al suo carattere marcatamente afflittivo, che emerge dalla circostanza per cui, in base alla formulazione applicabile al momento di commissione dell’illecito, ammontava ad oltre centomila euro mentre in base alla norma successiva è pari a poco più di settemila euro;
a fronte di tale motivazione l’Ispettorato si è limitato ad invocare il principio tempus regit actum proprio delle sanzioni amministrative e ad escludere che la giurisprudenza CEDU e quella della Corte Costituzionale impongano il favor rei per tutte le sanzioni amministrative;
quindi l’Ispettorato appellante, in violazione dell’art. 434 c.p.c., non ha specificato sotto quali profili il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che nello specifico caso la sanzione per lavoro irregolare, nella versione originaria, abbia natura afflittiva (in considerazione dell’elevato importo) e quindi sostanzialmente penale;
quindi non è stato formulato uno specifico motivo di appello in ordine alla questione dirimente.
4.- Avverso tale sentenza l’ Ispettorato Territoriale del Lavoro di Treviso ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.
5.- COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con controricorso e poi hanno depositato memoria.
6.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.- Con l’unico motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta violazione degli artt. 1 L. n. 689/1981, 3, co. 3, d.l. n. 12/2002 per avere la Corte territoriale ritenuto applicabile il principio di retroattività della legge più favorevole. Invoca al riguardo Cass. n. 8229/2022.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
E’ inammissibile laddove non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, in cui i giudici d’appello hanno ritenuto che l’Ispettorato appellante, in violazione dell’art. 434 c.p.c., non avesse formulato uno specifico motivo di gravame avverso il convincimento del Tribunale circa la natura afflittiva e quindi sostanzialmente penale della sanzione prevista dall’art. 3, co. 3, d.l. n. 12/2002, cui conseguiva l’applicazione del principio di retroattività della legge più favorevole.
E’ altresì inammissibile laddove anche in sede di ricorso per cassazione l’Ispettorato non spiega le ragioni per cui quella sanzione non avrebbe carattere afflittivo e, quindi, sostanzialmente penale.
Il motivo è poi infondato laddove il ricorrente pretende di applicare il principio tempus regit actum .
Il precedente invocato (Cass. ord. n. 8229/2022) è inconferente. In quell’ordinanza questa Corte ha affermato che in tema di sanzioni amministrative, non contrasta con il principio di legalità di cui all’art. 1 della
L. n. 689/1981 – applicabile anche in riferimento alle sanzioni previste con legge regionale – la norma che, oltre a descrivere l’illecito amministrativo, ne preveda la sanzione mediante indicazione di un coefficiente di moltiplicazione di un moltiplicando, costituente il prezzo del bene o del servizio (evaso dal trasgressore) periodicamente aggiornato con atto normativo secondario, al solo fine di rendere attuale il predetto controvalore, avente portata generale per gli utenti o fruitori, e non al precipuo scopo di integrare la sanzione.
Nel caso in esame si verte in tutt’altra materia e la questione controversa è quella del regime giuridico applicabile ad un illecito amministrativo che viene punito meno gravemente da una legge successiva.
La sanzione amministrativa per il c.d. lavoro irregolare era prevista dall’art. 3, co. 3, d.l. n. 12/2002, conv. in L. n. 73/2002, del seguente tenore:
‘
‘.
Secondo la Corte territoriale, condividendo il giudizio del Tribunale, tale sanzione ha carattere afflittivo e, quindi, sostanzialmente penale. Al riguardo ha sottolineato l’entità della sanzione.
Orbene, al fine di verificare il carattere di afflittività, può in primo luogo farsi ricorso agli indici elaborati da questa Corte in materia di sanzioni irrogate dalla CONSOB (Cass. ord. n. 20949/2024), fra i quali quello principale è rappresentato dalla eccedenza della sanzione rispetto al valore del profitto in concreto conseguito o conseguibile dall’autore dell’illecito. Tale
criterio, infatti, esprime quella ‘ finalità di deterrenza, o prevenzione generale negativa ‘ che fonda l’interpretazione della norma ‘ in chiave di punizione dell’autore dell’illecito’ .
Sulla base di questo criterio deve ritenersi che pure la sanzione per lavoro irregolare presenti questa funzione, visti gli importi elevati, ampiamente superiori al carico retributivoprevidenziale che, con l’omessa denuncia del rapporto di lavoro, il datore di lavoro ha interesse ad evitare in relazione ai vari periodi di durata del rapporto ‘irregolare’ previsti dal legislatore all’art. 3, co. 3, d.l. cit., sopra riportato. Dunque sussiste anche in tal caso la specifica ‘ finalità di deterrenza, o prevenzione generale negativa ‘ , sicché la sanzione va interpretata come ‘sostanzialmente penale’ e pertanto trova applicazione il principio di retroattività della lex mitior .
In tal senso va quindi confermato lo specifico precedente di questa Corte, nel quale ugualmente la norma sopra citata è stata considerata come prescrittiva di una sanzione sostanzialmente penale, con conseguente applicabilità del regime di retroattività della norma più favorevole. Questa Corte ha infatti ritenuto la sanzione in esame di ‘ natura sostanzialmente penale, e comunque elevatamente afflittiva, nei termini definiti dalla giurisprudenza della Corte Europea di Giustizia (che richiama la giurisprudenza della Corte EDU) e da questa Corte … in assenza di disposizioni di diritto transitorio che dispongano diversamente, non vi siano ostacoli (e che, segnatamente, tali ostacoli non siano rinvenibili nel principio tempus regit actum ) all’applicazione del principio generale dell’applicazione retroattiva della lex mitior , ovvero della legge più favorevole dal punto di vis ta sanzionatorio … Con la sentenza n. 63/2019, invero, la Corte Costituzionale ha ritenuto estensibile il complesso dei principi enucleati dalla Corte di Strasburgo a proposito della ‘materia penale’ ivi compreso, dunque, il principio di retroattività della lex mitior -a ‘singole’ sanzioni amministrative che abbiano natura e finalità ‘punitiva’ … Sulla scorta delle univoche affermazioni di principio della Corte costituzionale, applicati i cd. criteri Engel alla normativa sanzionatoria in esame, deve percorrersi l’interpretazione dell’art. 1 della legge n. 689/1981 nel senso della sua applicabilità tanto alle modifiche in peius delle sanzioni amministrative, in base al principio di legalità, quanto della diretta applicabilità del correlato
principio generale, di matrice chiaramente costituzionale e convenzionale, della retroattività delle modifiche in mitius delle sanzioni punitive, pianamente ricavabile in forza dell’accertata natura elevatamente afflittiva delle sanzioni applicate e del doppio binario sanzionatorio seguito in materia dal legislatore, compatibile con l’architettura normativa europea in misura e in funzione della necessaria interferenza ed espansione dei principi garantisti generali, espressi dalla Carta dei diritti fondamentali … ‘ (Cass. n. 13071/2024, par. 35. ss.).
2.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in