Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20485 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20485 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 243 – 2022 proposto da:
COGNOME NOME, rappresento e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, con procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliato all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE e in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dello stesso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587) ed
elettivamente domiciliata presso gli uffici della stessa in INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 663/2021 della Corte di appello di Lecce depositata il 27 maggio 2021 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 9 gennaio 2024 dal AVV_NOTAIO; sentite le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, AVV_NOTAIO, nel senso del rigetto del ricorso;
sentiti gli avvocati NOME COGNOME, per parte ricorrente, e NOME COGNOME, per parte controricorrente.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 2 luglio 2018 NOME COGNOME, titolare della ‘ Sala giochi e Biliardini ‘ denominata ‘ Winplay Betting ‘, proponeva -dinanzi al Tribunale di Lecce – opposizione avverso ordinanzaingiunzione (n. 224 del 21 maggio 2018) emessa dall’RAGIONE_SOCIALE, con cui gli era stato ingiunto il pagamento della sanzione di euro 20.000,00 per violazione dell’art. 7, comma 3quater , D.L. 13 settembre 2012, n.158 (convertito con modificazioni nella legge 8 novembre 2012, n.189) per essere stato accertato dai funzionari, nel corso di una verifica effettuata nei locali della sala giochi, la presenza di un apparecchio di intrattenimento denominato ‘ Internet Point ‘ che consentiva la libera connessione ai siti di gioco on-line.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dell’RAGIONE_SOCIALE, il giudice adito, con sentenza n. 1781 del 2020, accoglieva l’opposizione, ritenendo che il mero collegamento del personal computer ad una piattaforma di
gioco on-line e la semplice visualizzazione della rispettiva schermata non comportava di per sé la consumazione della condotta sanzionata dalla suddetta fattispecie.
In virtù di impugnazione interposta dall’RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’Appello di Lecce, nella resistenza del sanzionato, con sentenza n. 633 del 2021, accoglieva il gravame e per l’effetto riformava la decisione di prime cure, con condanna alle spese dell’appellato.
A sostegno della decisione, la Corte distrettuale riteneva violato, da parte dell’opponente, l’art. 7, comma 3 -quater , D.L. n.158/2012 già con la mera ‘ messa a disposizione ‘ di un’apparecchiatura che consentisse, come nella specie, la connessione a siti di gioco on-line, senza che fosse necessariamente in atto, ai fini della punibilità della condotta, un’azione di gioco da parte di alcun avventore sul dispositivo. Inoltre, il Giudice di merito aggiungeva che, ai fini della violazione della disposizione citata, non vi si poteva attribuire una diversa interpretazione, neanche alla luce della circolare n. 19453 del 6 marzo 2014 dell’ADM. Tale atto interno all’Amministrazione, in effetti, puntualizzava che la violazione del divieto di cui all’art. 7 si sarebbe concretizzata nei soli casi in cui i dispositivi elettronici erano messi a disposizione dei clienti con la sola finalità di consentire la connessione ai siti di gioco e non anche quando la disponibilità avveniva per finalità diverse come la libera navigazione sul web. Ciononostante, il Giudice collegiale riteneva non provata, da parte dell’opponente, la circostanza di un utilizzo dell’internet point diverso dal gioco online, mentre riconosceva adempiuto l’onere probatorio circa l’effettiva possibilità di una connessione dell’apparecchiatura a piattaforme di gioco on-line, secondo quanto verificato dai funzionari dell’ADM e riportato nel verbale di accertamento corredato da rilievi fotografici.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce ha proposto ricorso per cassazione l’originario opponente COGNOME NOME, affidandolo a tre motivi, cui ha resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso è stato inizialmente avviato per la trattazione in camera di consiglio, e all’esito dell’adunanza camerale, fissata il 3 ottobre 2023, e con ordinanza interlocutoria n. 28832/2023 depositata il 17 ottobre 2023, il procedimento è stato rimesso dal Collegio alla pubblica udienza in considerazione della esigenza di definire la natura RAGIONE_SOCIALE apparecchiature utilizzate per l’organizzazione, l’esercizio e la raccolta a distanza di scommesse.
In prossimità dell’udienza pubblica la sola parte ricorrente ha curato il deposito di memoria ex art. 378 c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Le questioni centrali della controversia attengono all’applicabilità alla fattispecie in esame del disposto dell’art. 7, comma 3quater , d.l. n. 158/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 168/2012, nonchè dell’art. 1, comma 923 della legge n. 208/2015 per i quali la Corte ritiene siano rilevanti e non manifestamente infondati le questioni di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 25, 41, 42 e 117, primo comma Cost. in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, firmato a Parigi il DATA_NASCITA, e agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, sotto il duplice profilo.
Quanto all’argomento centrale dell’impugnata sentenza sopra esposto, del perimetro di applicazione dell’art. 7, comma 3-quater d.l. n. 158/2012, conv. con L. 8 novembre 2012,
n.189, il ricorrente lo censura con tutti e tre i motivi articolati nei termini di seguito illustrati.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 7, comma 3 -quater, D.L. n.158/2012, conv. con L. 8 novembre 2012, n.189, dell’art. 21 della Costituzione, degli artt. 3 e 4 del d.lgs n.259/2003, dell’art. 10 del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, conv. con L. 9 agosto 2013, n.98, nonché la violazione e la falsa applicazione degli artt. 12 e 15 RAGIONE_SOCIALE preleggi, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3) c.p.c., per avere la Corte d’appello interpretato la disciplina in oggetto nel senso di vietare già solo la mera ‘ messa a disposizione ‘ dell’apparecchiatura ‘ Totem ‘ nel locale.
Il Giudice di merito, secondo il ricorrente, avrebbe proceduto ad un’interpretazione rigida e letterale, avulsa da valutazioni sistematiche, giungendo così ad un risultato interpretativo in contrasto con quanto previsto dalle disposizioni sopracitate, nella parte in cui garantiscono il diritto all’informazione e incoraggiano lo sviluppo RAGIONE_SOCIALE comunicazioni digitali. Per questo, la Corte di appello avrebbe dovuto condividere l’interpretazione del giudice di prime cure ed affermare che l’installazione dei personal computer per la navigazione in rete internet è di per sé lecita, a meno che tali postazioni vengano utilizzate esclusivamente e direttamente per attività di gioco su apposite piattaforme on-line, mediante navigazione vincolata e senza possibilità di scelta alcuna in capo all’utente. Cosicché, il Giudice collegiale avrebbe dovuto condividere l’impostazione secondo cui lo stesso collegamento con la piattaforma di gioco (lecito, atteso che le piattaforme non autorizzate vengono inibite a monte da SOGEI) sia irrilevante ai fini sanzionatori, laddove sia il risultato di una scelta consapevole e libera del cliente che, del resto, potrà interagire
con la stessa soltanto se in possesso di credenziali e di un conto di gioco.
Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. n.689/1981, nonché l’omessa motivazione sul punto, per non avere il Giudice di merito preso in considerazione il principio di colpevolezza, quale presupposto necessario per l’irrogazione della sanzione. Infatti, alla luce RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni del ricorrente, la Corte d’appello di Lecce avrebbe dovuto valorizzare l’elemento probatorio costituito dalla propria dichiarazione, resa già ai funzionari dell’RAGIONE_SOCIALE, con cui il sanzionato affermava che l’apparecchiatura veniva utilizzata a sua insaputa per il collegamento alla piattaforma di gioco on-line, essendo la stessa adibita alla libera navigazione sul web.
Con il terzo motivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c., il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 57 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, dell’art. 12, par. 1 della direttiva 2000/31/CE, dell’art. 1 della direttiva 98/34/CE e della direttiva 98/48/CE, nonché dei principi di diritto sanciti dalla sentenza della Corte di Giustizia del 15 settembre 2016, causa C-484/14, chiedendo alla Corte di sollevare questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, circa la compatibilità dell’art. 7 del D.L. 158/2012 con l’art. 57 TFUE e le sopracitate norme dell’ordinamento europeo. Nello specifico, il ricorrente chiede di verificare la conciliabilità di una norma come l’art. 7, comma 3-quater del D.L. 158/2012 con la normativa eurounitaria, nella misura in cui essa possa contemplare il divieto assoluto della mera messa a disposizione di postazioni internet (personal computer) che, in regime di libera navigazione web, risultino astrattamente e potenzialmente
idonee a consentire la navigazione su siti di gioco; oltre che, nella parte in cui essa imponga un obbligo di vigilanza costante -in capo a colui che mette a disposizione tali postazioni internet – sulle condotte degli utenti che accedono alle predette postazioni idonee alla libera navigazione.
Per poter procedere all’esame RAGIONE_SOCIALE questioni di diritto poste dal ricorrente è opportuno precisare il quadro normativo nazionale ed eurounitario nei quali circoscrivere la fattispecie de qua .
L’art. 7, comma 3 -quater d.l. n. 158 del 2012, recante ‘Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute’, convertito con integrazioni e modificazioni dalla legge n. 189 del 2012, vieta la messa a disposizione presso qualsiasi esercizio commerciale di apparecchiature che attraverso la connessione telematica consentono agli avventori di giocare sulle piattaforme di gioco offerte dai concessionari on line da soggetti autorizzati all’esercizio dei giochi a distanza ovvero da soggetti privi di qualsiasi titolo concessorio o autorizzatorio rilasciato dalle competenti autorità, facendo salve le sanzioni previste nei confronti di chiunque eserciti illecitamente attività di offerta di giochi con vincita in denaro.
Sul piano sistematico, il comma 3quater dell’art. 7 costituisce una RAGIONE_SOCIALE ‘misure di prevenzione per contrastare la ludopatia’, cui si dedica l’intero art. 7 contenente ‘Disposizioni in materia di vendita di prodotti del tabacco, misure di prevenzione per contrastare la ludopatia e per l’attività sportiva non agonistica’. La lotta alla ludopatia, d’altronde, costituisce una RAGIONE_SOCIALE misure che il decreto Balduzzi adotta al fine di ‘promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute’. Nella relazione illustrativa del Decreto, infatti, viene osservato come le misure introdotte dall’art. 7
siano volte a promuovere l’adozione di un corretto e sano stile di vita, ‘il cui mancato controllo genera patologie per una larga fascia di cittadini ed incremento di spesa per il SSN’; con particolare riferimento alla ludopatia, viene sottolineato che la diffusione della c.d. sindrome da gioco con vincita di denaro configura una vera e propria emergenza a carattere epidemico. Tuttavia, nel testo originario del decreto in questione, non erano previste norme sanzionatorie analoghe a quella di cui in esame, ma venivano predisposte unicamente misure di natura sanzionatoria in relazione alle attività di promozione e pubblicizzazione di attività di gioco d’azzardo in luoghi pubblici sensibili perché frequentati o potenzialmente frequentabili da soggetti minorenni. Il comma 3quater è stato infatti introdotto in sede di conversione dalla legge n. 189/2012.
La lettura della norma è complessa: in primo luogo la disposizione che prevede il divieto inizialmente non contemplava la sanzione che è stata introdotta dell’art. 1, comma 923 della legge n. 208 del 2015, che ha previsto la sanzione amministrativa pecuniaria in misura ‘fissa’ di euro 20.000,00; in secondo luogo, la norma configura in capo al concessionario una forma di responsabilità omissiva ed oggettiva.
Invero, la parola «apparecchiature» ex art. 7, comma 3quater d.l. 158/2012 conv. in l. 189/2012 non indica i soli totem (cioè i dispositivi dedicati in modo stabile ed esclusivo ai giochi online), ma si presta a ricomprendere anche i personal computer dotati di connessione telematica, che una volta messi a disposizione possono collegarsi alle piattaforme di concessionari di gioco on-line.
Orbene, la finalità di ordine pubblico di contrasto del gioco illegale, a tutela della salute pubblica, specialmente di
minorenni, impone un’interpretazione rigorosa del divieto, ma allo stesso tempo deve essere rispettosa e bilanciarsi con la tutela RAGIONE_SOCIALE libertà degli individui.
Fra gli argomenti di supporto alla interpretazione estensiva della norma in questione viene citata la circolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (6/3/2014), ove le apparecchiature sono descritte come apparecchi terminali connessi ad internet o funzionanti tramite intranet con collegamenti che abilitano una navigazione a circuito chiuso. La circolare precisa che tali apparecchiature sono costituite per lo più dai totem, ma non esclude che si diano altre apparecchiature per mezzo RAGIONE_SOCIALE quali si possa giocare on-line. Al fine di definire la disciplina sanzionatoria in un settore in rapida evoluzione tecnologica, l’art. 7, comma 3 -quater d.l. 158/2012 conv. in l. 189/2012 sembra avere la funzione di norma «di chiusura» diretta a colpire l’utilizzo concreto per il gioco illecito di tutti i tipi di videoterminali idonei a ciò. Ciò però non dovrebbe comportare che sia sanzionata la semplice messa a disposizione di personal computer o di apparecchi simili. È sanzionata la provata utilizzabilità come apparecchi di intrattenimento, in virtù della loro collocazione, dell’assenza di accorgimenti tecnici che impediscano di accedere a siti di gioco on-line o di altre circostanze di fatto da apprezzare in concreto caso per caso.
Nel caso di specie, il fatto che il personal computer non fosse esclusivamente dedicato al gioco, ma potesse essere utilizzato anche per la generica navigazione in Internet viene ritenuta dalla norma giuridicamente irrilevante, mentre in punto di fatto durante il sopralluogo effettuato dagli ispettori dell’ADM risultava la messa a disposizione, da parte del ricorrente, di un apparecchio di intrattenimento denominato ‘ Internet Point ‘ che consentiva la libera connessione alla rete ed ai siti di gioco
on-line, in quanto sul suo monitor vi era aperta la schermata di differenti piattaforme di gioco on-line.
Il ricorso pone dunque la questione del significato normativo in questo contesto -della nozione di «apparecchiatura» rispetto al significato diffuso nel linguaggio della tecnica, cioè, come un complesso d’impianti, di comandi e di strumenti fra loro coordinati, adibiti ad un certo servizio o anche ad una determinata lavorazione; la distinzione tra semplice messa a disposizione dell’apparecchiatura e concreta utilizzabilità per finalità illecite; gli indici menzionati per ravvisare il profilo della concreta utilizzabilità per illeciti, ossia se sia necessario il carattere permanente ed esclusivo della destinazione, oppure se sia sufficiente una destinazione dell’apparecchiatura transitoria (o comunque reversibile) e promiscua; fattori questi che inciderebbero sul carattere relativamente elastico della fattispecie ex art. 7 comma 3 quater d.l. 158/2012 conv. in l. 189/2012.
Sul piano della normativa eurounitaria e sua applicazione, la Corte di Giustizia C-390/12 del 2014 ha chiarito che l’art. 56 TFUE è da interpretare nel senso che esso osta a una normativa nazionale del tipo di quella oggetto di applicazione, solo se essa non persegue effettivamente l’obiettivo della tutela dei giocatori d’azzardo o della lotta alla criminalità. Ancora, la finalità di tutela della salute pubblica, con particolare riguardo ai minori, e la necessità di provvedere con urgenza in tale materia esclude inoltre, in base all’art. 6, comma 7 direttiva 2015/1535/UE, l’obbligo della previa comunicazione alla Commissione del testo RAGIONE_SOCIALE disposizioni oggetto di applicazione.
Inoltre, questa interpretazione dell’art. 56 TFUE, confermata dalla sentenza della Corte di Lussemburgo del 14 giugno 2017, resa nella causa C-685/15, deve essere intesa anche nel senso
che la libera prestazione dei servizi non osta ad un sistema processuale nazionale, in cui, nell’ambito dei procedimenti amministrativi ‘a carattere penale’, il giudice chiamato a pronunciarsi sulla conformità al diritto dell’Unione di una normativa restrittiva dell’esercizio di una libertà fondamentale prevista dai Trattati, come la limitazione della libertà di prestazione di servizi in favore della tutela della salute, è tenuto a istruire d’ufficio gli elementi di prova della controversia di cui è investito nel contesto della verifica dell’esistenza degli illeciti amministrativi, purché con tale attività non si determini una sua sostituzione alle autorità competenti dello Stato membro interessato, sulle quali incombe l’onere di fornire gli elementi di prova necessari per consentire al giudice interno la giustificazione della restrizione. A tale riguardo, infatti, un certo numero di motivi imperativi di interesse generale, quali gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione della frode e dell’incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative all’ordine sociale in generale sono stati ammessi dalla giurisprudenza a giustificazione di una normativa restrittiva di una libertà fondamentale prevista dai Trattati dell’Unione, come la libera prestazione di servizi, messa in discussione nel caso di specie (v., in tal senso, sentenze 24 marzo 1994, causa C-275/92, COGNOME, Racc. pag. I-1039, punti 57-60; 21 settembre 1999, causa C-124/97, COGNOME e a., Racc. pag. I-6067, punti 32 e 33; COGNOME, citata, punti 30 e 31, nonché COGNOME e a., citata, punto 67).
Rimane, comunque, onere dello Stato membro che abbia introdotto la normativa più restrittiva fornire elementi di prova intesi a dimostrare l’esistenza degli obiettivi idonei a legittimare l’ostacolo ad una libertà fondamentale garantita dal TFUE e il suo carattere proporzionato, di modo che,
nell’inadempimento di tale onere probatorio, il giudice nazionale deve poter trarre tutte le conseguenze derivanti da tale mancanza (sentenza CGUE del 28 febbraio 2018, RAGIONE_SOCIALE, causa C-3/17). E, per di più, secondo la Corte di Giustizia, l’art. 56 TFUE deve essere interpretato anche nel senso che non si può constatare che uno Stato membro non abbia adempiuto il proprio onere probatorio giustificativo di una misura restrittiva, per il solo fatto di non avere fornito alcuna analisi degli effetti di tale misura alla data dell’introduzione di essa nella normativa nazionale o alla data dell’esame della misura da parte del giudice nazionale (sentenza CGUE del 28 febbraio 2018, RAGIONE_SOCIALE, causa C-3/17, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).
Sono diversi, pertanto, i parametri cui il giudice nazionale deve fare riferimento nel verificare la proporzionalità della restrizione della libertà di prestazione dei servizi, effettuando una valutazione globale RAGIONE_SOCIALE circostanze alla base dell’adozione della normativa nazionale controversa e verificandone gli obiettivi effettivamente perseguiti. In particolare, deve tenere conto RAGIONE_SOCIALE concrete modalità di applicazione della normativa restrittiva, assicurandosi che questa risponda veramente all’intento di ridurre le occasioni di gioco, di limitare le attività in tale settore e di combattere la criminalità in maniera coerente e sistematica (sentenza CGUE del 14 giugno 2017, RAGIONE_SOCIALE, causa C-685/15, punti 51-52; sentenza CGUE del 28 febbraio 2018, RAGIONE_SOCIALE, causa C-3/17, punto 64).
Infatti, una norma restrittiva di una libertà fondamentale riconosciuta dal TFUE è compatibile con il diritto dell’Unione soltanto qualora ricada nell’ambito di una norma derogatoria espressa, come l’art. 52 TFUE, ossia della tutela dell’ordine pubblico, della pubblica sicurezza e della sanità pubblica
(sentenza CGUE del 28 febbraio 2018, RAGIONE_SOCIALE, causa C-3/17, punto 39 nonché la giurisprudenza ivi citata).
Pertanto, ritenuto pacifico che, in considerazione dell’assenza di contatto diretto tra consumatore e operatore, i giochi d’azzardo accessibili via Internet comportano rischi di natura differente e di entità accresciuta rispetto ai mercati tradizionali di tali giochi, anche per eventuali frodi commesse dagli operatori a danno dei consumatori, la norma restrittiva in questione, deve comunque rispettare il carattere di un divieto proporzionato secondo i criteri previsti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza CGUE del 28 febbraio 2018, RAGIONE_SOCIALE, causa C-3/17, punto 41 e la giurisprudenza ivi citata).
Tanto precisato, nella specie, il giudizio non può essere risolto prescindendo dall’applicazione della norma della cui legittimità si dubita. Il giudizio di merito ha infatti avuto ad oggetto l’applicazione della sanzione relativa alla violazione dell’art. 7, comma 3 -quater . Da una parte, il giudice di primo grado, in effetti, ha escluso la sua applicabilità sulla base della risultanza fattuale che il mero collegamento dell’apparecchio ad una piattaforma di gioco online, qualora lo stesso fosse adibito alla navigazione libera in rete, non comportava la violazione della condotta prevista dall’art. 7 comma 3 -quater . Di converso, considerato l’inadempimento dell’onere probatorio da parte del sanzionato circa la possibilità di un utilizzo alternativo rispetto al gioco online dell’internet point, la Corte d’appello ha ritenuto che la collocazione all’interno della sala giochi di un personal computer connesso liberamente alla rete internet, sul quale era stato verificato il precedente collegamento a siti di gioco online, costituisse la condotta vietata della messa a disposizione di un’apparecchiatura idonea la gioco online prevista dalla disciplina in esame. Il
giudice del gravame ha così ritenuto legittima l’ordinanza ingiunzione con la quale è stata irrogata la sanzione in virtù della mera messa a disposizione RAGIONE_SOCIALE suddette apparecchiature, applicando quindi la norma in contestazione. Risulta in questo caso violata l’unica condotta illecita nella mera messa a disposizione degli utenti di personal computer a navigazione libera. Irrilevante, ai fini della applicazione della misura sanzionatoria, risulta essere la verifica dell’effettivo ed attuale collegamento a siti di gioco online, sanzionando, la norma, la semplice messa a disposizione del mezzo idoneo al collegamento.
La prima questione di legittimità costituzionale che si vuole prospettare alla Corte riguarda l’art. 7, comma 3 -quater del d.l. n. 158/2012 convertito con modificazioni dall’art. 1 della l. n. 189/2012, nella parte in cui prevede che sia vietata la messa a disposizione, presso qualsiasi pubblico esercizio, di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari on-line, da soggetti autorizzati all’esercizio dei giochi a distanza.
Il dubbio interpretativo concerne sia la nozione di apparecchiature cui si riferisce la disposizione sia il tipo di condotta che si vuole sanzionare.
Quanto al primo elemento, una interpretazione restrittiva consentirebbe, infatti, di ritenere ‘apparecchiature’ solo quelle che impongono, perché a ciò esclusivamente destinate attraverso sistemi di preimpostazione o di restrizioni di navigazione, il gioco online (i c.d. Totem). Al contrario, una interpretazione estensiva determina l’inclusione, in tale nozione, di qualsiasi apparecchiatura potenzialmente idonea al collegamento a siti di gioco online, compresi personal computer, tablet o strumenti analoghi.
Questa Corte, per le ragioni che seguono, ritiene di dover privilegiare tale seconda interpretazione.
Sul piano strettamente letterale, infatti, la condotta sanzionabile consiste nella semplice messa a disposizione dei clienti di un esercizio pubblico di qualsiasi genere di apparecchiatura che consenta, e quindi non impedisca, di collegarsi, anche in piena autonomia, a siti di gioco online dotati di concessione.
Alla medesima conclusione si perviene attraverso una interpretazione sistematica, non potendo, anche alla luce del diritto vivente formatosi sul tema (da ultimo, Cass. n. 42036/2021), ricondurre le apparecchiature di cui all’art. 7, comma 3quater , d.l. n. 158/2012, convertito in l. n. 189/2012, ai soli apparecchi videoterminali di cui all’art. 110, comma 6, lett. b), TULPS, la cui messa a disposizione comporta l’applicabilità della sanzione di cui all’art. 110, comma 9 fter , TULPS, determinandosi, in caso contrario, una irragionevole sovrapposizione di condotte sanzionabili.
La stessa RAGIONE_SOCIALE, d’altronde, non esclude che i personal computer a libera navigazione possano essere inclusi nella nozione di apparecchiature ai sensi della disposizione in parola (v. Circolare 6/03/2014).
Ancora, a suffragio di tale tesi vale anche il richiamo alla giurisprudenza penale sviluppatasi in materia di raccolta illecita di scommesse, secondo cui ‘La sola predisposizione presso qualsiasi esercizio di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentono ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari online in violazione del divieto dell’art. 7, comma 3 -quater , del D.L. 158/2012 non configura la contravvenzione di cui all’art. 4 della L. 401/89, essendo al contrario necessaria la predisposizione di personale e mezzi conformati in modo tale
da concretare la condotta di organizzazione, esercizio e raccolta a distanza di giochi richiesta da tale disposizione’ (Cass., Sez. Terza penale, 1° ottobre 2013, n. 40624). Ciò significa che, a contrario, la condotta consistente nella mera messa a disposizione del mezzo, irrilevante sul piano della responsabilità penale, rileva invece quale responsabilità amministrativa.
Fatte salve, quindi, le norme che prevedono specifiche sanzioni per la messa a disposizione di apparecchiature dotate di caratteristiche tecniche determinate, l’art. 7, comma 3 -quater , assolve la funzione di norma di chiusura che, secondo l’interpretazione che si ritiene di condividere, al fine di tutelare la salute soprattutto dei soggetti minori e di evitare che il divieto di gioco illecito possa essere aggirato, consente di punire, grazie al suo carattere elastico, la messa a disposizione di qualsiasi strumento dotato di collegamento telematico che anche solo potenzialmente sia idoneo al collegamento ai siti di gioco online.
D’altra parte, la prassi applicativa della norma in questione si è consolidata nel senso di ritenere sanzionabile la condotta di chi mette a disposizione apparecchiature idonee nel caso in cui dalle ispezioni svolte risulti che, in concreto, vi siano stati collegamenti ai siti di gioco online. Anche tale prassi applicativa suscita perplessità sotto un duplice profilo: in primo luogo perché, alla luce di quanto su esposto, questa interpretazione restrittiva si scontra con il dato testuale della disposizione; in secondo luogo, perché la norma non disciplina in modo determinato quali condotte dell’esercente possano considerarsi idonee ad esimerlo dalla responsabilità amministrativa.
Interpretare la disposizione nel senso di ritenere sussistente nei confronti dell’esercente un obbligo di vigilanza avendo
riguardo ai siti ai quali i singoli clienti si collegano all’interno dell’esercizio, d’altronde, si porrebbe in evidente contrasto con la tutela dei dati personali. Lo stesso Garante Privacy ha precisato che, a seguito dell’abrogazione del decreto Pisanu (d.l. n. 144/2005), che imponeva l’obbligo di registrazione con identificazione degli utenti a carico degli esercenti dei c.d. internet point, non solo l’identificazione dell’utente si poneva in contrasto con il diritto alla privacy, ma anche ogni genere di attività di controllo o monitoraggio dell’esercente sugli indirizzi Internet ai quali gli utenti si collegavano. Il compito di richiedere (per il conseguente utilizzo) i dati personali degli avventori, come la registrazione dei loro documenti, è stata vietata dal Garante della Privacy anche nei pubblici esercizi, come ristoranti e bar, che possono mettere a disposizione dei clienti oltre il wi-fi, anche dispositivi per navigare sul web con richiesta di utilizzo di connettività Internet, ribadendo come i dati personali dei clienti non possano essere utilizzati senza apposito consenso.
Uno degli strumenti attraverso cui l’esercente potrebbe evitare di incorrere nella sanzione de qua è costituito dalla impostazione di filtri di accesso a determinati siti internet all’interno RAGIONE_SOCIALE apparecchiature messe a disposizione degli utenti. Tuttavia, un tale obbligo non pare ricavabile da alcuna disposizione normativa, neppure in via implicita.
Né rileva l’eventuale sussistenza di autorizzazioni di cui potrebbe essere dotato l’esercente all’esercizio di giochi a distanza, punendo, la norma, la mera messa a disposizione del mezzo anche da parte di esercenti concessionari o dotati di autorizzazione.
La norma, quindi, risulta applicabile sia al caso in cui siano stati messi a disposizione strumenti quali, ad esempio, i c.d. Totem, nei quali non vi è facoltà di scelta dell’utente in
ordine al sito al quale collegarsi, essendo tali strumenti caratterizzati da una preimpostazione di schermata che indirizza direttamente l’utente al sito di gioco concessionario (che peraltro nella prassi fornisce all’esercente anche lo strumento fisico), sia al caso in cui siano stati messi a disposizione strumenti a navigazione libera, nei quali è l’utente che sceglie l’indirizzo Internet al quale collegarsi, potendo quindi collegarsi anche, ma non solo, ai siti di gioco online con le proprie credenziali e con un proprio conto di gioco.
Posto, quindi, che in relazione alla nozione di ‘apparecchiature’ deve privilegiarsi una interpretazione estensiva, l’altro elemento letterale che necessita di interpretazione consiste nell’espressione ‘che consenta’.
L’espressione, che si riferisce inequivocabilmente, in ragione della costruzione grammaticale della disposizione, alle apparecchiature, fa riferimento alla loro idoneità al collegamento a siti di gioco online. Risulterebbero idonee, quindi, tutte le apparecchiature dotate di un sistema di collegamento a internet, essendo ciò sufficiente a garantire il raggiungimento di siti online.
La prassi applicativa di cui sopra, tuttavia, sembrerebbe presupporre una diversa interpretazione, che sposta il concetto di idoneità dello strumento in astratto sul comportamento dell’esercente, le cui omissioni, in concreto, consentono l’effettivo collegamento al sito di gioco. Ciò determina l’insorgere di un obbligo di vigilanza, con conseguente rilevanza di condotte omissive, in capo all’esercente.
Volendo propendere per tale lettura, tuttavia, la norma non sfugge ai dubbi di costituzionalità, non essendo descritta in alcun modo la condotta omissiva rilevante, lasciando spazio ad un margine di discrezionalità dell’amministrazione del tutto
contrastante con i principi costituzionali in materia di potere sanzionatorio della P.A.
In conclusione, dovendosi escludere la possibilità di una interpretazione conforme a Costituzione, la norma appare incostituzionale sia in termini di determinatezza sia in termini di ragionevolezza, dovendo, la tutela del diritto alla salute che la sottende, come riconosciuto dalle stesse pronunce della Corte di Giustizia sopra richiamate, subire un ragionevole bilanciamento con il diritto di libertà di impresa nonché con il diritto alla privacy degli utenti. Infine, la norma appare incostituzionale anche in termini di colpevolezza, punendo il solo oggettivo comportamento consistente nella messa a disposizione del mezzo stesso.
La seconda disposizione della cui legittimità si dubita è l’art. 1, comma 923 della legge 208/2015, secondo cui ‘in caso di violazione dell’articolo 7, comma 3quater , del decretolegge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, il titolare dell’esercizio è punito con la sanzione amministrativa di euro 20.000; la stessa sanzione si applica al proprietario dell’apparecchio’.
La norma, la cui rilevanza appare del tutto evidente costituendo il fondamento normativo di applicazione della sanzione nel caso di specie, prevede una sanzione a misura fissa che, secondo la giurisprudenza costituzionale in materia di sanzioni amministrative, determina la violazione dell’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU. La sanzione, infatti, non appare in alcun modo modulabile in relazione all’entità della violazione, da desumersi, ad esempio, dal numero RAGIONE_SOCIALE apparecchiature messe a disposizione, dall’effettivo collegamento riscontratosi, ovvero dalla
gradazione dell’elemento soggettivo dell’esercente in relazione al suo obbligo di vigilanza.
Assai di recente la Corte costituzionale, con la sentenza n. 185 del 2021, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 7, comma 6, secondo periodo, del decreto-legge 13 settembre, n. 158, convertito, con modificazioni, nella legge 8 novembre 2012, n. 189, «per violazione dell’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU», il quale puniva con la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 50.000 la mancata osservanza RAGIONE_SOCIALE disposizioni di cui al comma 4 del medesimo articolo, le quali impongono a coloro che offrono giochi o scommesse con vincite in denaro, una pluralità di obblighi informativi, così d’avvertire il fruitore dei rischi di ludopatia.
La Corte costituzionale, riprendendo la sua giurisprudenza, premette che la fissità della sanzione amministrativa impone accorta disamina al fine di superare il dubbio di illegittimità costituzionale, da escludersi solo laddove essa, in risposta a infrazioni di disomogenea gravità, punisca infrazioni tuttavia connotate da un disvalore tale da non renderla manifestamente sproporzionata. Con la conseguenza che essa Corte aveva «ritenuto costituzionalmente illegittima la previsione di sanzioni amministrative rigide e di rilevante incidenza sui diritti dell’interessato per ipotesi di gravità marcatamente diversa (sentenza n. 88 del 2019), o suscettibili, comunque sia, di condurre, nella prassi applicativa, a risultati sanzionatori palesemente eccedenti il limite della proporzionalità rispetto all’illecito commesso (sentenza n. 112 del 2019)».
Nell’ipotesi riportata accerta l’incostituzionalità della norma, giudicando che la fissità del trattamento sanzionatorio non teneva conto della gravità in concreto dei singoli illeciti,
esemplificativamente ripresi dalla sentenza ed era foriera di manifesta sproporzionalità per eccesso della risposta sanzionatoria rispetto al concreto disvalore «di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma».
Reputa questa Corte che nel caso in esame il dubbio di illegittimità costituzionale per violazione dei medesimi parametri non appaia manifestamente infondato.
L’entità della sanzione, anche in questo caso determinata nella misura fissa di euro 20.000, risulta di significativo rilievo, anche rapportandola alla capacità economica modesta di imprese di minime dimensioni, quali sono solitamente i gestori di internet point.
In altri termini, qualunque scostamento a prescrizioni viene punita con la medesima sanzione pecuniaria fissa di euro 20.000.
Ne deriva che, anche in questo caso, come già affermato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 185/2021 citata, «la fissità del trattamento sanzionatorio impedisce di tener conto della diversa gravità concreta dei singoli illeciti» e «la reazione sanzionatoria risultare manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma».
Va, infine, soggiunto che il tenore della disposizione, che introduce la sanzione fissa, senza prevedere alcuno strumento individualizzante rispetto al concreto disvalore dell’illecito, né individua fattispecie capaci d’incidere sull’entità di essa, non consente di superare il dubbio attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata.
Una tale interpretazione, infatti, non può che operare attraverso estensione, anche analogica, di modelli che debbano poter essere rinvenuti all’interno del contesto
normativo di riferimento, che qui non lascia alternativa praticabile.
Conclusivamente, in punto di rilevanza RAGIONE_SOCIALE questioni di legittimità costituzionale, il Collegio rimettente rileva che la lettera dell’art. 7, comma 3 -quater, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, impone di ritenere, in definitiva, esclusa qualunque ipotesi di interpretazione analogica difettando manifestamente i relativi presupposti; ai fini della soluzione della vicenda dedotta nel presente giudizio non è infatti necessario colmare alcuna lacuna normativa; si veda, in proposito, Cass. SSUU n. 38596/2021, § 5.2.3, ove si precisa che «l’analogia postula, anzitutto, che sia correttamente individuata una “lacuna”, tanto che al giudice sia impossibile decidere, secondo l’incipit del precetto («se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione …»). L’art. 12, comma 2, preleggi si spiega storicamente soltanto nel senso di evitare, in ragione del principio di completezza dell’ordinamento giuridico, che il giudice possa pronunciare un non liquet , a causa la mancanza di norme che disciplinino la fattispecie.
La regola, secondo cui l’applicazione analogica presuppone la carenza di una norma nella indispensabile disciplina di una materia o di un caso (cfr. art. 14 preleggi), discende dal rilievo per cui è, altrimenti, la scelta di riempire un preteso vuoto normativo sarebbe rimessa all’esclusivo arbitrio giurisdizionale, con conseguente compromissione RAGIONE_SOCIALE prerogative riservate al potere legislativo e del principio di divisione dei poteri dello Stato. Onde non semplicemente perché una disposizione normativa non preveda una certa disciplina, in altre invece contemplata, costituisce ex se una lacuna normativa, da
colmare facendo ricorso all’analogia ai sensi dell’art. 12 preleggi».
Né al risultato ermeneutico propugnato dal ricorrente potrebbe pervenirsi adottando una interpretazione asseritamente estensiva nel senso restrittivo del precetto – ma, in effetti, eversiva -del significato della formulazione letterale del comma 3 quater , dell’art. 7 d.l. n. 158/2012 convertito in l. n. 189/2012. Secondo l’insegnamento RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite di questa Corte, infatti, «l’interpretazione giurisprudenziale non può che limitarsi a portare alla luce un significato precettivo (un comando, un divieto, un permesso) che è già interamente contenuto nel significante (l’insieme RAGIONE_SOCIALE parole che compongono una disposizione, il carapace linguistico della norma) e che il giudice deve solo scoprire. L’attività interpretativa, quindi, non può superare i limiti di tolleranza ed elasticità dell’enunciato, ossia del significante testuale della disposizione che ha posto, previamente, il legislatore e dai cui plurimi significati possibili (e non oltre) muove necessariamente la dinamica dell’inveramento della norma nella concretezza dell’ordinamento ad opera della giurisprudenza» (così Cass. SSUU n. 24413 del 2021, dove si aggiunge: «Proprio detti limiti, in definitiva, segnano la distinzione dei piani sui quali operano, rispettivamente, il legislatore e il giudice, cosicché il “precedente” giurisprudenziale, pur se proveniente dalla Corte della nomofilachia , non ha lo stesso livello di cogenza che esprime, per statuto, la fonte legale , alla quale il giudice è soggetto . È in tal senso, pertanto, che la funzione assolta dalla giurisprudenza è di natura “dichiarativa”, giacché riferita ad una preesistente
disposizione di legge, della quale è volta a riconoscere l’esistenza e l’effettiva portata, con esclusione di qualunque efficacia direttamente creativa»).
Esclusa, dunque, la possibilità di pervenire, tramite una interpretazione costituzionalmente orientata, al risultato ermeneutico di definire la condotta sanzionabile che non sia, secondo l’inequivocabile tenore letterale, la mera messa a disposizione della clientela RAGIONE_SOCIALE apparecchiature di qualsiasi genere idonee al collegamento on-line anche a siti di gioco, pure nel caso di soggetto titolare di autorizzazione alla promozione del gioco con vincita di denaro, disposizione che suscita un dubbio di legittimità costituzionale, con riferimento al principio di ragionevolezza emergente dall’art. 3 Cost., con gli artt. 25, 41, 42 e 117, primo comma Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, nella parte in cui esso non prevede, appunto, che la sanzione sia bilanciata con gli altri diritti in gioco, come il diritto di impresa ed il diritto alla privacy, sotto il profilo dell’effettiva sussistenza di un rapporto di connessione razionale e di proporzionalità tra il mezzo predisposto dal legislatore e il fine che lo stesso ha inteso perseguire, avuto riguardo alle rilevanti conseguenze sul piano della tutela dei diritti coinvolti (per i principi di equivalenza, comparazione ed effettività).
La disposizione in esame, infatti, discrimina gli esercenti di Internet point dai gestori di pubblici esercizi in genere, come ristoranti e bar, che possono mettere a disposizione dei clienti non solo il wi-fi, ma anche dispositivi per navigare sul web con richiesta di utilizzo di connettività Internet, e i criteri individuati dal legislatore al riguardo risultano meramente formali.
La seconda disposizione della cui legittimità si dubita è dell’art. 1, comma 923 della legge n. 208/2015. La sanzione,
infatti, non appare in alcun modo modulabile in relazione all’entità della violazione, da desumersi, ad esempio, dal numero RAGIONE_SOCIALE apparecchiature messe a disposizione, dall’effettivo collegamento riscontratosi, ovvero dalla gradazione dell’elemento soggettivo dell’esercente in relazione al suo obbligo di vigilanza.
Devono, pertanto, rimettersi alla Corte costituzionale le questioni di legittimità costituzionale, che si rilevano d’ufficio, dell’art. 7, comma 3 -quater , d.l. n. 158/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 168/2012, e dell’art. 1, comma 923 della legge 208/2015, secondo cui ‘in caso di violazione dell’articolo 7, comma 3-quater, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, il titolare dell’esercizio è punito con la sanzione amministrativa di euro 20.000; la stessa sanzione si applica al proprietario dell’apparecchio’, per le quali la Corte ritiene siano rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 25, 41, 42 e 117, primo comma Cost. in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, e agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.
Il giudizio è sospeso per legge (art. 23, comma 2 legge n. 87 del 1953).
P.Q.M.
La Corte, visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, rimette alla Corte costituzionale, ritenendone la rilevanza e non manifesta infondata, nei termini
di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3 quater del d.l. n. 158/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 189/2012 e dell’art. 1, comma 923 della legge 208/2015 in relazione all’art. 3 Cost., con gli artt. 25, 41, 42 e 117, primo comma Cost., e in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, firmato a Parigi il 20 DATA_NASCITA 1952, e agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.
Dispone la sospensione del presente giudizio.
Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al pubblico ministero presso questa Corte ed al Presidente del Consiglio dei ministri.
Ordina, altresì, che l’ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai Presidenti RAGIONE_SOCIALE due Camere del Parlamento.
Dispone l’immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento RAGIONE_SOCIALE prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda