Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20483 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20483 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 38642 – 2019 proposto da:
COGNOME NOME in proprio e nella qualità di titolare della RAGIONE_SOCIALE, rappresento e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, tutti del foro di Roma, con procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo RAGIONE_SOCIALE;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro tempore ;
– intimata –
avverso la sentenza n. 471/2019 della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE depositata il 24 maggio 2019 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 9 gennaio 2024 dal AVV_NOTAIO; sentite le conclusioni del P.M. in persona del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, nel senso del rigetto del ricorso; sentito l’AVV_NOTAIO per parte ricorrente.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 23 giugno 2017 NOME COGNOME, titolare dell’omonima ditta individuale esercente attività di edicola -cartoleria, proponeva – dinanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE – opposizione avverso ordinanzaingiunzione emessa dall’RAGIONE_SOCIALE, con cui gli era stato ingiunto il pagamento della sanzione di euro 20.000,00 per violazione dell’art. 7, comma 3-quater, D.L. 13 settembre 2012, n. 158 (convertito con modificazioni nella legge 8 novembre 2012, n. 189), deducendo la nullità del provvedimento sanzionatorio per violazione dell’art. 14 legge 24 novembre 1981, n. 689, nonché l’illegittimità della l. n. 158/2012 per violazione dei principi comunitari in materia di libera circolazione RAGIONE_SOCIALE merci.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dell’RAGIONE_SOCIALE, revocato il già concesso provvedimento di sospensione dell’efficacia dell’ordinanza de qua , il giudice adito, con sentenza n. 1798 del 2018, rigettava l’opposizione.
In virtù di impugnazione interposta dal medesimo COGNOME, la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, nella resistenza dell’RAGIONE_SOCIALE intimata, con sentenza n. 471 del 2019, rigettava il gravame e per l’effetto confermava la decisione di prime cure, con condanna alle spese dell’appellante.
A sostegno della decisione adottata la Corte distrettuale escludeva, preliminarmente, l’asserita nullità della notifica dell’atto di contestazione
per essere stata la violazione (prot. n. NUMERO_DOCUMENTO) del 28.04.2016, sufficientemente circostanziata, ritualmente notificata entro i 90 giorni previsto dall’art. 14, comma 2 legge n. 689 del 1981 ed il successivo atto di contestazione (prot. n. NUMERO_DOCUMENTO) del 15.09.2016 aveva la mera funzione rettificativa dell’atto precedente limitatamente alla determinazione della sanzione ridotta da euro 40.000,00 ad euro 20.000,00; né era di rilievo il mutamento del destinatario del provvedimento, trattandosi comunque di ditta individuale, priva di personalità giuridica.
Nel merito, confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui riteneva violato l’art. 7, comma 3 -quater, D.L. n. 158/2012 attraverso la messa a disposizione, da parte dell’opponente, di due apparecchiature pre-indirizzate che -attraverso la connessione telematica -consentivano ai clienti della cartoleria di giocare su piattaforme di gioco messe a disposizione dal RAGIONE_SOCIALE online RAGIONE_SOCIALE, in relazione alla piattaforma di gioco online Betitaly. Aggiungeva che, ai fini della violazione della disposizione citata, non era necessario utilizzare apparecchiature aventi la caratteristica dei «totem» e che, infine, le norme a prevenzione della ludopatia non interferivano con i principi comunitari in materia di libera circolazione RAGIONE_SOCIALE merci.
Avverso la sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione il medesimo NOME COGNOME, in proprio e quale titolare della ditta individuale, affidandolo a quattro motivi.
E’ rimasta intimata l’RAGIONE_SOCIALE per la RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso è stato inizialmente avviato per la trattazione in camera di consiglio, depositata memoria illustrativa dal ricorrente, e all’esito dell’adunanza camerale, fissata al 29.09.2022, con ordinanza interlocutoria n. 24022/2023 depositata il 07.08.2023, il procedimento è stato rimesso dal Collegio alla pubblica udienza in considerazione della esigenza di definire la natura RAGIONE_SOCIALE apparecchiature utilizzate per l’organizzazione, l’esercizio e la raccolta a distanza di scommesse.
In prossimità dell’udienza pubblica la sola parte ricorrente ha curato il deposito di memoria ex art. 378 c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Le questioni centrali della controversia attengono all’applicabilità alla fattispecie in esame del disposto dell’art. 7, comma 3quater , d.l. n. 158/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 168/2012, nonchè dell’art. 1, comma 923 della legge n. 208/2015 per i quali la Corte ritiene siano rilevanti e non manifestamente infondati le questioni di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 25, 41, 42 e 117, primo comma Cost. in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, firmato a Parigi il DATA_NASCITA, e agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, sotto il duplice profilo.
In ogni caso è pregiudiziale all’incidente di costituzionalità la decisione sul primo motivo del ricorso, con il quale il ricorrente ha sottoposto a critica la statuizione della Corte territoriale che ha respinto l’eccezione di nullità dell’ordinanza -ingiunzione per tardività della notifica. Infatti, con il primo motivo il ricorrente lamenta omesso esame del contenuto RAGIONE_SOCIALE note protocollari n. 33830 del 28.04.2016, e n. 68028 del 29.09.2016; violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 2, L. n. 689/1981, e del combinato disposto dell’art. 7, comma 3quater , D.L. n. 158/2012 (e successive modifiche), nonché dell’art. 1, comma 923 della legge n. 208/2015. Deduce il ricorrente che il primo dei protocolli citati, notificato entro i 90 giorni previsti dall’art. 14, comma 2, legge n. 689/81, recava errori riguardanti la tipologia e il numero di apparecchi sottoposti a sequestro, prontamente contestati dall’odierno ricorrente con scritti difensivi datati 09.05.2016. In ragione RAGIONE_SOCIALE difese spiegate dal NOME, RAGIONE_SOCIALE emetteva un nuovo atto di contestazione (n. NUMERO_DOCUMENTO del 29.09.2016) che non rettificava -contrariamente a quanto asserito dalla Corte d’Appello -bensì
annullava e sostituiva il precedente atto di contestazione. Veniva, infatti, eliminato l’errato riferimento all’art. 1, comma 646, legge n. 190/2014 ed espunta ogni descrizione della tipologia di apparecchiatura utilizzata dall’esercente; di conseguenza, veniva dimezzata la sanzione (euro 40.000,00 nel primo atto di contestazione; euro 20.000,00 nel secondo). Inoltre, mentre la prima ordinanza-ingiunzione era indirizzata ad NOME COGNOME in qualità di titolare dell’omonima ditta, la seconda contestazione era indirizzata solo alla persona fisica. Da ciò deriverebbe innanzitutto la nullità del primo atto notificato, che si traduce in inesistenza ed inefficacia di diritto, poiché l’azione dell’Amministrazione si sarebbe sostanziata nell’annullamento in autotutela del primo atto di contestazione e nella rinnovazione del provvedimento annullato; in secondo luogo, la tardività del secondo atto di contestazione, in violazione dell’art. 14, comma 2, l. 689/81, in quanto pervenuto solo in data 03.10.2016, con conseguente estinzione dell’obbligo di pagamento della somma dovuta a titolo di sanzione amministrativa e la nullità ab origine dell’intero procedimento sanzionatorio, che travolge l’ordinanza -ingiunzione prot. n. 37867 del 23.05.2017.
La doglianza non coglie nel segno e deve essere disattesa.
Secondo un principio già affermato nella giurisprudenza di legittimità, e che va qui ribadito, la ritualità della notifica del verbale di accertamento dell’infrazione, poiché è questo un atto del procedimento amministrativo, forma oggetto dell’accertamento di fatto rientrante nei poteri del giudice del fatto, accertamento che deve essere motivato in modo immune di vizi ex art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 1995 n. 11318; Cass. 2000 n. 10236; Cass. 14526 del 2012), facendo riferimento alle norme alla stessa applicabili.
Invero, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte di secondo grado ha – con motivazione logica, adeguata e basata sugli accertamenti fattuali emersi in giudizio – rilevato che il fatto contestato non aveva, in effetti, subito alcuna modifica, rientrando nella previsione
di cui all’art. 7, comma 3quater , d.l. n. 158/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 168/2012, riferendosi entrambi gli atti notificati alla medesima fattispecie originaria di messa a disposizione di apparecchi idonei a consentire la connessione telematica a siti di gioco on-line, condotta posta in essere nei locali adibiti da COGNOME, titolare della omonima ditta individuale, ad esercizio di attività di ‘edicola -cartoleria’, non assumendo alcun rilievo la circostanza del mutamento del destinatario del provvedimento, trattandosi comunque di ditta individuale, priva di personalità giuridica.
Dalla sentenza impugnata risulta, infatti, che l’infrazione di cui all’atto di contestazione n. 105 del 12.02.2016 -è stata notificata, originariamente, ad NOME COGNOME il 29.04.2016, con nota prot. 33830 del 28.04.2016, in quanto titolare dell’omonimo esercizio pubblico, per l’importo di euro 40.000,00, e successivamente, atto di contestazione n. 607 del 15.09.2016 -con nota prot. n. 68028 del 29.09.2016 -notificato in data 03.10.2016 al COGNOME personalmente per il minore importo di euro 20.000,00, in relazione alla medesima condotta accertata nella prima contestazione, ragion per cui alcuna lesione del diritto di difesa si era venuta a configurare per aver la competente ADM specificato nell’ordinanza-ingiunzione che la causa dell’accertata violazione era da ricondursi alla connessione telematica RAGIONE_SOCIALE apparecchiature del COGNOME a siti di gioco on-line.
In altri termini, la contestazione – oggetto del verbale di accertamento riferita alla violazione dell’art. 7, comma 3quater , d.l. n. 158/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 168/2012, era stata effettuata con riferimento in concreto alla condotta constatata, da ricondurre al rinvenimento nei locali gestiti dal COGNOME di apparecchiature con le quali era stata effettuata la connessione a siti di gioco, e ciò sul presupposto che la notificazione del verbale di contestazione, che deve avvenire in applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni previste dalle leggi vigenti e quindi con le modalità previste dal codice di procedura civile, correttamente è stata effettuata nei confronti del
COGNOME medesimo nell’osservanza RAGIONE_SOCIALE norme di cui all’art. 138 c.p.c., e segg., riguardando una ditta individuale, per la quale vi è coincidenza con la persona fisica del suo titolare, diversamente dalle persone giuridiche per la notificazione alle quali trova applicazione l’art. 145 c.p.c. D’altro canto questa Corte ha avuto modo di precisare che “nel sistema introdotto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, fondato sulla natura personale della responsabilità, autore dell’illecito amministrativo può essere soltanto la persona fisica che ha commesso il fatto, e non anche un’entità astratta, come società o enti in genere, la cui responsabilità solidale per gli illeciti commessi dai loro legali rappresentanti o dipendenti è prevista esclusivamente in funzione di garanzia del pagamento della somma dovuta dall’autore della violazione, rispondendo anche alla finalità di sollecitare la vigilanza RAGIONE_SOCIALE persone e degli enti chiamati a rispondere del fatto altrui. Il criterio di imputazione di tale responsabilità è chiaramente individuato dalla L. n. 689 cit., art. 6, il quale, richiedendo che l’illecito sia stato commesso dalla persona fisica nell’esercizio RAGIONE_SOCIALE proprie funzioni o incombenze, stabilisce un criterio di collegamento che costituisce al tempo stesso il presupposto ed il limite della responsabilità dell’ente, nel senso che a tal fine si esige soltanto che la persona fisica si trovi con l’ente nel rapporto indicato, e non anche che essa abbia operato nell’interesse dell’ente” (Cass. 25 maggio 2007 n. 12264). E’ stato anche precisato che “in tema di sanzioni amministrative, a norma della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, è responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione; ne consegue che, qualora un illecito sia ascrivibile in astratto ad una società di persone (nella specie una RAGIONE_SOCIALE), non possono essere automaticamente chiamati a risponderne i soci amministratori, essendo indispensabile accertare che essi abbiano tenuto una condotta positiva o omissiva che abbia dato luogo all’infrazione, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale” (Cass. 6 dicembre 2011 n. 26238).
Orbene, nel caso di specie, correttamente la corte distrettuale ha disatteso il motivo di appello relativo alla eccezione di nullità dell’ordinanza -ingiunzione per tardività della seconda notifica effettuata al COGNOME, persona fisica e non già quale titolare della omonima ditta, a cui era riferibile l’azione materiale che integra la violazione contestata; né il ricorrente ha svolto argomentazioni idonee a dimostrare la erroneità del convincimento del giudice del merito circa la non riferibilità della violazione allo stesso esercente attività di edicolacartoleria.
Quanto all’argomento centrale dell’impugnata sentenza sopra esposto, del perimetro di applicazione dell’art. 7, comma 3 -quater d.l. n. 158/2012, conv. con L. 8 novembre 2012, n.189, il ricorrente lo censura nei motivi secondo, terzo e quarto, nei termini di seguito illustrati.
Con il secondo motivo si deduce omesso esame di fatti decisivi risultanti dalla documentazione in atti e dalle risultanze istruttorie; violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 3 -quater , D.L. n. 158/2012 (convertito dalla legge n. 168/2012); dell’art. 2, comma 2 -bis, D.L. 25.03.2010, n. 40 (convertito dalla legge 22 maggio 2010, n. 73); dell’art. 24 legge 7 luglio 2009, n. 88 (sul gioco a distanza), cap. ii, art. 5, lett. g). Contesta il ricorrente l’interpretazione fornita dalla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE riguardo l’art. 7, comma 3 -quater , D.L. n. 158/2012, nel senso di stabilire un generale divieto di messa a disposizione da parte del titolare di un pubblico esercizio di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare su piattaforme di gioco messe a disposizione del RAGIONE_SOCIALE online, sul presupposto che la ratio di tale normativa sia quella di scoraggiare l’accesso al gioco online creando occasioni di incontro tra gli utenti del pubblico esercizio e le piattaforme di gioco. Tale interpretazione, prosegue il ricorrente, determinerebbe l’illegittimità di un esercizio di internet point -come quello gestito dall’odierno ricorrente ma anche RAGIONE_SOCIALE postazioni collocate nelle agenzie scommesse a disposizione del
pubblico per la prenotazione di puntate da validare poi al desk. Secondo il ricorrente, invece, la norma in questione vieta l’attività di organizzazione della scommessa e di intermediazione della raccolta gioco a distanza (o presso luoghi fisici), che si traduca in attività di intermediazione illecita nella raccolta di scommesse (ad esempio, predisponendo conti gioco fittizi, o raccogliendo o distribuendo denaro). La complessità interpretativa della normativa rilevante in materia, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità, civile e penale, induce a ritenere che non sussista un divieto di promuovere il gioco presso sedi diverse da quella del RAGIONE_SOCIALE, purché tra questi e il titolare dell’esercizio di un internet point a navigazione libera, dove si svolge l’attività di ricarica dei conti di gioco e commercializzazione del gioco pubblico, venga concluso apposito contratto conforme alla normativa regolamentare.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 923, legge n. 208/2015. A parere del ricorrente erra il giudice di seconde cure nell’interpretare il combinato disposto di tale norma con l’art. 7, comma 3 -quater d.l. n. 158/2012 nel senso per cui l’ultima disposizione troverebbe applicazione rispetto a qualsiasi apparecchiatura telematica, e non solo ai c.d. «totem». Stabilita la corretta ratio del d.l. n. 158/2012 (sanzionare la predisposizione di terminali di operatori stranieri, privi di licenza italiana, che raccogliendo gioco pubblico sul territorio nazionale non versano imposte allo Stato italiano), il termine «apparecchiature» utilizzato dalla normativa in esame si riferisce (secondo una nota della Guardia di Finanza, prot. n. 74609 del marzo 2016) alle «apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentono ai clienti di giocare illecitamente sulle piattaforme online»: definizione, questa di «totem» che esclude l’apparecchio utilizzabile, invece, come nel caso di specie, in modalità «navigazione libera».
Con il quarto motivo lamenta il ricorrente violazione e falsa applicazione degli artt. 28, 30, 43, 49 del Trattato CE; violazione e falsa
applicazione dell’art. 8, dir. 98/34/CE. La doglianza del ricorrente riguarda la falsa applicazione dell’art. 7, comma 3 -quater D.L. n. 158/2012: traducendosi l’argomentazione del giudice distrettuale sostanzialmente nel divieto di installare qualsiasi tipo di computer in tutti gli esercizi commerciali che effettuino servizio di internet point, si violerebbero le norme citate del Trattato sull’Unione Europea sulle libertà fondamentali di circolazione RAGIONE_SOCIALE merci e dei servizi; norme con effetti diretti negli ordinamenti nazionali, come ha più volte ribadito la Corte di Giustizia Europea.
Per poter procedere all’esame RAGIONE_SOCIALE questioni di diritto poste dal ricorrente è opportuno precisare il quadro normativo nazionale ed eurounitario nei quali circoscrivere la fattispecie de qua .
L’art. 7, comma 3 -quater d.l. n. 158 del 2012, recante ‘Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute’, convertito con integrazioni e modificazioni dalla legge n. 189 del 2012, vieta la messa a disposizione presso qualsiasi esercizio commerciale di apparecchiature che attraverso la connessione telematica consentono agli avventori di giocare sulle piattaforme di gioco offerte dai concessionari on-line da soggetti autorizzati all’esercizio dei giochi a distanza ovvero da soggetti privi di qualsiasi titolo concessorio o autorizzatorio rilasciato dalle competenti autorità, facendo salve le sanzioni previste nei confronti di chiunque eserciti illecitamente attività di offerta di giochi con vincita in denaro.
Sul piano sistematico, il comma 3quater dell’art. 7 costituisce una RAGIONE_SOCIALE ‘misure di prevenzione per contrastare la ludopatia’, cui si dedica l’intero art. 7 contenente ‘Disposizioni in materia di vendita di prodotti del tabacco, misure di prevenzione per contrastare la ludopatia e per l’attività sportiva non agonistica’. La lotta alla ludopatia, d’altronde, costituisce una RAGIONE_SOCIALE misure che il decreto Balduzzi adotta al fine di ‘promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute’.
Nella relazione illustrativa del Decreto, infatti, viene osservato come le misure introdotte dall’art. 7 siano volte a promuovere l’adozione di un corretto e sano stile di vita, ‘il cui mancato controllo genera patologie per una larga fascia di cittadini ed incremento di spesa per il SSN’; con particolare riferimento alla ludopatia, viene sottolineato che la diffusione della c.d. sindrome da gioco con vincita di denaro configura una vera e propria emergenza a carattere epidemico. Tuttavia, nel testo originario del decreto in questione, non erano previste norme sanzionatorie analoghe a quella di cui in esame, ma venivano predisposte unicamente misure di natura sanzionatoria in relazione alle attività di promozione e pubblicizzazione di attività di gioco d’azzardo in luoghi pubblici sensibili perché frequentati o potenzialmente frequentabili da soggetti minorenni. Il comma 3quater è stato infatti introdotto in sede di conversione dalla legge n. 189/2012.
La lettura della norma è complessa: in primo luogo la disposizione che prevede il divieto inizialmente non contemplava la sanzione che è stata introdotta dell’art. 1, comma 923 della legge n. 208 del 2015, che ha previsto la sanzione amministrativa pecuniaria in misura ‘fissa’ di euro 20.000,00; in secondo luogo, la norma configura in capo al RAGIONE_SOCIALE una forma di responsabilità omissiva ed oggettiva.
Invero, la parola «apparecchiature» ex art. 7, comma 3quater d.l. 158/2012 conv. in l. 189/2012 non indica i soli totem (cioè i dispositivi dedicati in modo stabile ed esclusivo ai giochi on-line), ma si presta a ricomprendere anche i personal computer dotati di connessione telematica, che una volta messi a disposizione possono collegarsi alle piattaforme di concessionari di gioco on-line.
Orbene, la finalità di ordine pubblico di contrasto del gioco ilRAGIONE_SOCIALE, a tutela della salute pubblica, specialmente di minorenni, impone un’interpretazione rigorosa del divieto, ma allo stesso tempo deve essere rispettosa e bilanciarsi con la tutela RAGIONE_SOCIALE libertà degli individui.
Fra gli argomenti di supporto alla interpretazione estensiva della norma in questione viene citata la circolare dell’RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE (6/3/2014), ove le apparecchiature sono descritte come apparecchi terminali connessi ad internet o funzionanti tramite intranet con collegamenti che abilitano una navigazione a circuito chiuso. La circolare precisa che tali apparecchiature sono costituite per lo più dai totem, ma non esclude che si diano altre apparecchiature per mezzo RAGIONE_SOCIALE quali si possa giocare on-line. Al fine di definire la disciplina sanzionatoria in un settore in rapida evoluzione tecnologica, l’art. 7, comma 3quater d.l. 158/2012 conv. in l. 189/2012 sembra avere la funzione di norma «di chiusura» diretta a colpire l’utilizzo concreto per il gioco illecito di tutti i tipi di videoterminali idonei a ciò. Ciò però non dovrebbe comportare che sia sanzionata la semplice messa a disposizione di personal computer o di apparecchi simili. È sanzionata la provata utilizzabilità come apparecchi di intrattenimento, in virtù della loro collocazione, dell’assenza di accorgimenti tecnici che impediscano di accedere a siti di gioco on-line o di altre circostanze di fatto da apprezzare in concreto caso per caso.
Nel caso di specie, il fatto che i personal computer non fossero esclusivamente dedicati al gioco, ma potessero essere utilizzati anche per la libera navigazione in Internet viene ritenuta dalla norma giuridicamente irrilevante, mentre in punto di fatto durante il sopralluogo effettuato dalla Guardia di Finanza risultava la messa a disposizione, da parte del ricorrente, di due apparecchiature preindirizzate che -attraverso la connessione telematica -consentivano agli avventori della cartoleria di giocare su piattaforme di gioco messe a disposizione dal RAGIONE_SOCIALE online RAGIONE_SOCIALE, in relazione alla piattaforma di gioco online Betitaly, quindi con modalità di accesso del tutto autonome, dovendo i giocatori fornire i propri dati per entrare nell’area riservata al gioco.
Il ricorso pone dunque la questione del significato normativo – in questo contesto – della nozione di «apparecchiatura» rispetto al significato diffuso nel linguaggio della tecnica, cioè, come un complesso d’impianti, di comandi e di strumenti fra loro coordinati, adibiti ad un certo servizio
o anche ad una determinata lavorazione; la distinzione tra semplice messa a disposizione dell’apparecchiatura e concreta utilizzabilità per finalità illecite; gli indici menzionati per ravvisare il profilo della concreta utilizzabilità per illeciti, ossia se sia necessario il carattere permanente ed esclusivo della destinazione, oppure se sia sufficiente una destinazione dell’apparecchiatura transitoria (o comunque reversibile) e promiscua; fattori questi che inciderebbero sul carattere relativamente elastico della fattispecie ex art. 7 comma 3 quater d.l. 158/2012 conv. in l. 189/2012.
Sul piano della normativa eurounitaria e sua applicazione, la Corte di Giustizia C-390/12 del 2014 ha chiarito che l’art. 56 TFUE è da interpretare nel senso che esso osta a una normativa nazionale del tipo di quella oggetto di applicazione, solo se essa non persegue effettivamente l’obiettivo della tutela dei giocatori d’azzardo o della lotta alla criminalità. Ancora, la finalità di tutela della salute pubblica, con particolare riguardo ai minori, e la necessità di provvedere con urgenza in tale materia esclude inoltre, in base all’art. 6, comma 7 direttiva 2015/1535/UE, l’obbligo della previa comunicazione alla Commissione del testo RAGIONE_SOCIALE disposizioni oggetto di applicazione.
Inoltre, questa interpretazione dell’art. 56 TFUE, confermata dalla sentenza della Corte di Lussemburgo del 14 giugno 2017, resa nella causa C-685/15, deve essere intesa anche nel senso che la libera prestazione dei servizi non osta ad un sistema processuale nazionale, in cui, nell’ambito dei procedimenti amministrativi ‘a carattere penale’, il giudice chiamato a pronunciarsi sulla conformità al diritto dell’Unione di una normativa restrittiva dell’esercizio di una libertà fondamentale prevista dai Trattati, come la limitazione della libertà di prestazione di servizi in favore della tutela della salute, è tenuto a istruire d’ufficio gli elementi di prova della controversia di cui è investito nel contesto della verifica dell’esistenza degli illeciti amministrativi, purché con tale attività non si determini una sua sostituzione alle autorità competenti dello Stato membro interessato, sulle quali incombe l’onere di fornire gli
elementi di prova necessari per consentire al giudice interno la giustificazione della restrizione.
A tale riguardo, infatti, un certo numero di motivi imperativi di interesse generale, quali gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione della frode e dell’incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative all’ordine sociale in generale sono stati ammessi dalla giurisprudenza a giustificazione di una normativa restrittiva di una libertà fondamentale prevista dai Trattati dell’Unione, come la libera prestazione di servizi, messa in discussione nel caso di specie (v., in tal senso, sentenze 24 marzo 1994, causa C-275/92, COGNOME, Racc. pag. I-1039, punti 57-60; 21 settembre 1999, causa C-124/97, RAGIONE_SOCIALE, Racc. pag. I-6067, punti 32 e 33; COGNOME, citata, punti 30 e 31, nonché COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, citata, punto 67).
Rimane, comunque, onere dello Stato membro che abbia introdotto la normativa più restrittiva fornire elementi di prova intesi a dimostrare l’esistenza degli obiettivi idonei a legittimare l’ostacolo ad una libertà fondamentale garantita dal TFUE e il suo carattere proporzionato, di modo che, nell’inadempimento di tale onere probatorio, il giudice nazionale deve poter trarre tutte le conseguenze derivanti da tale mancanza (sentenza CGUE del 28 febbraio 2018, RAGIONE_SOCIALE, causa C3/17). E, per di più, secondo la Corte di Giustizia, l’art. 56 TFUE deve essere interpretato anche nel senso che non si può constatare che uno Stato membro non abbia adempiuto il proprio onere probatorio giustificativo di una misura restrittiva, per il solo fatto di non avere fornito alcuna analisi degli effetti di tale misura alla data dell’introduzione di essa nella normativa nazionale o alla data dell’esame della misura da parte del giudice nazionale (sentenza CGUE del 28 febbraio 2018, RAGIONE_SOCIALE, causa C-3/17, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).
Sono diversi, pertanto, i parametri cui il giudice nazionale deve fare riferimento nel verificare la proporzionalità della restrizione della
libertà di prestazione dei servizi, effettuando una valutazione globale RAGIONE_SOCIALE circostanze alla base dell’adozione della normativa nazionale controversa e verificandone gli obiettivi effettivamente perseguiti. In particolare, deve tenere conto RAGIONE_SOCIALE concrete modalità di applicazione della normativa restrittiva, assicurandosi che questa risponda veramente all’intento di ridurre le occasioni di gioco, di limitare le attività in tale settore e di combattere la criminalità in maniera coerente e sistematica (sentenza CGUE del 14 giugno 2017, RAGIONE_SOCIALE, causa C-685/15, punti 51-52; sentenza CGUE del 28 febbraio 2018, RAGIONE_SOCIALE, causa C-3/17, punto 64).
Infatti, una norma restrittiva di una libertà fondamentale riconosciuta dal TFUE è compatibile con il diritto dell’Unione soltanto qualora ricada nell’ambito di una norma derogatoria espressa, come l’art. 52 TFUE, ossia della tutela dell’ordine pubblico, della pubblica sicurezza e della sanità pubblica (sentenza CGUE del 28 febbraio 2018, RAGIONE_SOCIALE, causa C-3/17, punto 39 nonché la giurisprudenza ivi citata).
Pertanto, ritenuto pacifico che, in considerazione dell’assenza di contatto diretto tra consumatore e operatore, i giochi d’azzardo accessibili via Internet comportano rischi di natura differente e di entità accresciuta rispetto ai mercati tradizionali di tali giochi, anche per eventuali frodi commesse dagli operatori a danno dei consumatori, la norma restrittiva in questione, deve comunque rispettare il carattere di un divieto proporzionato secondo i criteri previsti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza CGUE del 28 febbraio 2018, RAGIONE_SOCIALE, causa C-3/17, punto 41 e la giurisprudenza ivi citata).
Tanto precisato, nella specie, il giudizio non può essere risolto prescindendo dall’applicazione della norma della cui legittimità si dubita. Il giudizio di merito ha, infatti, avuto ad oggetto l’applicazione della sanzione relativa alla violazione dell’art. 7, comma 3 -quater . Sia il giudice di primo grado sia la Corte d’Appello, infatti, sulla base RAGIONE_SOCIALE risultanze fattuali e del verbale di accertamento della violazione in parola, avendo gli ispettori rinvenuto all’interno dell’esercizio
commerciale 2 personal computer a navigazione libera dei quali era stato verificato il precedente collegamento a siti di gioco on-line, hanno ritenuto legittima l’ordinanza ingiunzione con la quale è stata irrogata la sanzione in virtù della mera messa a disposizione RAGIONE_SOCIALE suddette apparecchiature, applicando quindi la norma in contestazione.
Occorre, altresì, aggiungere che nella specie il soggetto titolare dell’esercizio commerciale è fornito di specifica autorizzazione alla promozione del gioco con vincita di denaro, con la conseguenza che è stata ritenuta costituire un’unica condotta illecita la mera messa a disposizione degli utenti di personal computer a navigazione libera. Irrilevante, ai fini della applicazione della misura sanzionatoria, risulta essere la verifica dell’effettivo collegamento a siti di gioco on -line, pur accertato nel caso in esame sulla base della disciplina dettata dalla circolare ADM, sanzionando la norma in questione la semplice messa a disposizione di mezzo idoneo al collegamento.
La prima questione di legittimità costituzionale che si vuole prospettare alla Corte riguarda l’art. 7, comma 3 -quater del d.l. n. 158/2012 convertito con modificazioni dall’art. 1 della l. n. 189/2012, nella parte in cui prevede che sia vietata la generica condotta di messa a disposizione, presso qualsiasi pubblico esercizio, di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari online, da soggetti autorizzati all’esercizio dei giochi a distanza.
Il dubbio interpretativo concerne sia la nozione di apparecchiature cui si riferisce la disposizione sia il tipo di condotta che si vuole sanzionare.
Quanto al primo elemento, una interpretazione restrittiva consentirebbe, infatti, di ritenere ‘apparecchiature’ solo quelle che impongono, perché a ciò esclusivamente destinate attraverso sistemi di preimpostazione o di restrizioni di navigazione, il gioco on-line (i c.d. Totem). Al contrario, una interpretazione estensiva determina l’inclusione, in tale nozione, di qualsiasi apparecchiatura potenzialmente
idonea al collegamento a siti di gioco on-line, compresi personal computer, tablet o strumenti analoghi.
Questa Corte, per le ragioni che seguono, ritiene di dover privilegiare tale seconda interpretazione.
Sul piano strettamente letterale, infatti, la condotta sanzionabile consiste nella semplice messa a disposizione dei clienti di un esercizio pubblico di qualsiasi genere di apparecchiatura che consenta, e quindi non impedisca, di collegarsi, anche in piena autonomia, a siti di gioco online dotati di concessione.
Alla medesima conclusione si perviene attraverso una interpretazione sistematica, non potendo, anche alla luce del diritto vivente formatosi sul tema (da ultimo, Cass. n. 42036 del 2021), ricondurre le apparecchiature di cui all’art. 7, comma 3 -quater , d.l. n. 158/2012, convertito in l. n. 189/2012, ai soli apparecchi videoterminali di cui all’art. 110, comma 6, lett. b), TULPS, la cui messa a disposizione comporta l’applicabilità della sanzione di cui all’art. 110, comma 9 f -ter , TULPS, determinandosi, in caso contrario, una irragionevole sovrapposizione di condotte sanzionabili.
La stessa RAGIONE_SOCIALE, d’altronde, non esclude che i personal computer a libera navigazione possano essere inclusi nella nozione di apparecchiature ai sensi della disposizione in parola (v. Circolare 6/03/2014).
Ancora, a suffragio di tale tesi vale anche il richiamo alla giurisprudenza penale sviluppatasi in materia di raccolta illecita di scommesse, secondo cui ‘La sola predisposizione presso qualsiasi esercizio di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentono ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari online in violazione del divieto dell’art. 7, comma 3 -quater , del D.L. 158/2012 non configura la contravvenzione di cui all’art. 4 della L. 401/89, essendo al contrario necessaria la predisposizione di personale e mezzi conformati in modo tale da concretare la condotta di organizzazione, esercizio e raccolta a distanza di giochi richiesta da tale
disposizione’ (Cass., Sez. Terza penale, 1° ottobre 2013, n. 40624). Ciò significa che, a contrario, la condotta consistente nella mera messa a disposizione del mezzo, irrilevante sul piano della responsabilità penale, rileva invece quale responsabilità amministrativa.
Fatte salve, quindi, le norme che prevedono specifiche sanzioni per la messa a disposizione di apparecchiature dotate di caratteristiche tecniche determinate, l’art. 7, comma 3 -quater , assolve la funzione di norma di chiusura che, secondo l’interpretazione che si ritiene di condividere, al fine di tutelare la salute soprattutto dei soggetti minori e di evitare che il divieto di gioco illecito possa essere aggirato, consente di punire, grazie al suo carattere elastico, la messa a disposizione di qualsiasi strumento dotato di collegamento telematico che anche solo potenzialmente sia idoneo alla connessione a siti di gioco on-line.
D’altra parte, la prassi applicativa della norma in questione si è consolidata nel senso di ritenere sanzionabile la condotta di chi mette a disposizione apparecchiature idonee nel caso in cui dalle ispezioni svolte risulti che, in concreto, vi siano stati collegamenti ai siti di gioco on-line. Anche tale prassi applicativa suscita perplessità sotto un duplice profilo: in primo luogo perché, alla luce di quanto su esposto, questa interpretazione restrittiva si scontra con il dato testuale della disposizione; in secondo luogo, perché la norma non disciplina in modo determinato quali condotte dell’esercente possano considerarsi idonee ad esimerlo dalla responsabilità amministrativa.
Interpretare la disposizione nel senso di ritenere sussistente nei confronti dell’esercente un obbligo di vigilanza avendo riguardo ai siti ai quali i singoli clienti si collegano all’interno dell’esercizio, d’altronde, si porrebbe in evidente contrasto con la tutela dei dati personali. Lo stesso Garante Privacy ha precisato che, a seguito dell’abrogazione del decreto Pisanu (d.l. n. 144/2005), che imponeva l’obbligo di registrazione con identificazione degli utenti a carico degli esercenti dei c.d. internet point, non solo l’identificazione dell’utente si poneva in contrasto con il diritto alla privacy, ma anche ogni genere di attività di controllo o
monitoraggio dell’esercente sugli indirizzi Internet ai quali gli utenti si collegavano. Il compito di richiedere (per il conseguente utilizzo) i dati personali degli avventori, come la registrazione dei loro documenti, è stata vietata dal Garante della Privacy anche nei pubblici esercizi, come ristoranti e bar, che possono mettere a disposizione dei clienti oltre il wi-fi, anche dispositivi per navigare sul web con richiesta di utilizzo di connettività Internet, ribadendo come i dati personali dei clienti non possano essere utilizzati senza apposito consenso.
Uno degli strumenti attraverso il quale l’esercente potrebbe evitare di incorrere nella sanzione de qua è costituito dalla impostazione di filtri di accesso a determinati siti internet all’interno RAGIONE_SOCIALE apparecchiature messe a disposizione degli utenti. Tuttavia, un tale obbligo non è ricavabile da alcuna disposizione normativa, neppure in via implicita.
Né rileva l’eventuale sussistenza di autorizzazioni di cui potrebbe essere dotato l’esercente all’esercizio di giochi a distanza, punendo, la norma, la mera messa a disposizione del mezzo anche da parte di esercenti concessionari o dotati di autorizzazione (come peraltro nel caso di specie).
La norma, quindi, risulta applicabile sia al caso in cui siano stati messi a disposizione strumenti quali, ad esempio, i c.d. Totem, nei quali non vi è facoltà di scelta dell’utente in ordine al sito al quale collegarsi, essendo tali strumenti caratterizzati da una preimpostazione di schermata che indirizza direttamente l’utente al sito di gioco RAGIONE_SOCIALE (che peraltro nella prassi fornisce all’esercente anche lo strumento fisico), sia al caso in cui siano stati messi a disposizione strumenti a navigazione libera, nei quali è l’utente che sceglie l’indirizzo Internet al quale collegarsi, potendo quindi collegarsi anche, ma non solo, ai siti di gioco online con le proprie credenziali e con un proprio conto di gioco.
Posto, quindi, che in relazione alla nozione di ‘apparecchiature’ deve privilegiarsi una interpretazione estensiva, l’altro elemento
letterale che necessita di interpretazione consiste nell’espressione ‘che consenta’.
L’espressione, che si riferisce inequivocabilmente, in ragione della costruzione grammaticale della disposizione, alle apparecchiature, fa riferimento alla loro idoneità al collegamento a siti di gioco on-line. Risulterebbero idonee, quindi, tutte le apparecchiature dotate di un sistema di collegamento a internet, essendo ciò sufficiente a garantire il raggiungimento di siti on-line.
La prassi applicativa di cui sopra, tuttavia, sembrerebbe presupporre una diversa interpretazione, che sposta il concetto di idoneità dello strumento in astratto sul comportamento dell’esercente, le cui omissioni, in concreto, consentono l’effettivo collegamento al sito di gioco. Ciò determina l’insorgere di un obbligo di vigilanza, con conseguente rilevanza di condotte omissive in capo all’esercente.
Volendo propendere per tale lettura, in ogni caso, la norma non sfugge ai dubbi di costituzionalità, non essendo descritta in alcun modo la condotta omissiva rilevante, lasciando spazio ad un margine di discrezionalità dell’amministrazione del tutto contrastante con i principi costituzionali in materia di potere sanzionatorio della P.A., quale il principio di legalità di cui la riserva di legge costituisce espressione.
In conclusione, dovendosi escludere la possibilità di una interpretazione conforme a Costituzione, la norma appare incostituzionale sia in termini di determinatezza sia in termini di ragionevolezza, dovendo, il diritto alla salute che la sottende, come riconosciuto dalle stesse pronunce della Corte di Giustizia sopra richiamate, subire un ragionevole bilanciamento con il diritto di libertà di impresa nonché con il diritto alla privacy degli utenti. Infine, la norma appare incostituzionale anche in termini di colpevolezza, punendo il solo oggettivo comportamento consistente nella mera messa a disposizione del mezzo stesso.
La seconda disposizione della cui legittimità si dubita è l’art. 1, comma 923 della legge 208/2015, secondo cui ‘in caso di violazione dell’articolo 7, comma 3quater , del decreto-legge 13 settembre 2012,
n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, il titolare dell’esercizio è punito con la sanzione amministrativa di euro 20.000; la stessa sanzione si applica al proprietario dell’apparecchio’.
La norma, la cui rilevanza appare del tutto evidente costituendo il fondamento normativo di applicazione della sanzione nel caso di specie, prevede una sanzione a misura fissa che, secondo la giurisprudenza costituzionale in materia di sanzioni amministrative, determina la violazione dell’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU. La sanzione, infatti, non appare in alcun modo modulabile in relazione all’entità della violazione, da desumersi, ad esempio, dal numero RAGIONE_SOCIALE apparecchiature messe a disposizione, dall’effettivo collegamento riscontratosi, ovvero dalla gradazione dell’elemento soggettivo dell’esercente in relazione al suo obbligo di vigilanza.
Assai di recente la Corte costituzionale, con la sentenza n. 185 del 2021, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 7, comma 6, secondo periodo, del decreto-legge 13 settembre, n. 158, convertito, con modificazioni, nella legge 8 novembre 2012, n. 189, «per violazione dell’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU», il quale puniva con la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 50.000 la mancata osservanza RAGIONE_SOCIALE disposizioni di cui al comma 4 del medesimo articolo, le quali impongono a coloro che offrono giochi o scommesse con vincite in denaro, una pluralità di obblighi informativi, così d’avvertire il fruitore dei rischi di ludopatia.
La Corte costituzionale, riprendendo la sua giurisprudenza, premette che la fissità della sanzione amministrativa impone accorta disamina al fine di superare il dubbio di illegittimità costituzionale, da escludersi solo laddove essa, in risposta a infrazioni di disomogenea gravità, punisca infrazioni tuttavia connotate da un disvalore tale da non renderla manifestamente sproporzionata. Con la conseguenza che essa Corte
aveva «ritenuto costituzionalmente illegittima la previsione di sanzioni amministrative rigide e di rilevante incidenza sui diritti dell’interessato per ipotesi di gravità marcatamente diversa (sentenza n. 88 del 2019), o suscettibili, comunque sia, di condurre, nella prassi applicativa, a risultati sanzionatori palesemente eccedenti il limite della proporzionalità rispetto all’illecito commesso (sentenza n. 112 del 2019)».
Nell’ipotesi riportata accerta l’incostituzionalità della norma, giudicando che la fissità del trattamento sanzionatorio non teneva conto della gravità in concreto dei singoli illeciti, esemplificativamente ripresi dalla sentenza ed era foriera di manifesta sproporzionalità per eccesso della risposta sanzionatoria rispetto al concreto disvalore «di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma».
Reputa questa Corte che nel caso in esame il dubbio di illegittimità costituzionale per violazione dei medesimi parametri non appaia manifestamente infondato.
L’entità della sanzione, anche in questo caso determinata nella misura fissa di euro 20.000, risulta di significativo rilievo, anche rapportandola alla capacità economica modesta di imprese di minime dimensioni, quali sono solitamente i gestori di internet point.
In altri termini, qualunque scostamento a prescrizioni viene punita con la medesima sanzione pecuniaria fissa di euro 20.000.
Ne deriva che, anche in questo caso, come già affermato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 185/2021 citata, «la fissità del trattamento sanzionatorio impedisce di tener conto della diversa gravità concreta dei singoli illeciti» e «la reazione sanzionatoria risultare manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma».
Va, infine, soggiunto che il tenore della disposizione, che introduce la sanzione fissa, senza prevedere alcuno strumento individualizzante rispetto al concreto disvalore dell’illecito, né individua fattispecie capaci
d’incidere sull’entità di essa, non consente di superare il dubbio attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata.
Una tale interpretazione, infatti, non può che operare attraverso estensione, anche analogica, di modelli che debbano poter essere rinvenuti all’interno del contesto normativo di riferimento, che qui non lascia alternativa praticabile.
Conclusivamente, in punto di rilevanza RAGIONE_SOCIALE questioni di legittimità costituzionale, dopo aver affermato che il primo motivo di opposizione proposto dal COGNOME non sembrerebbe in grado, nella particolare prospettiva decisionale da adottare nella presente sede, di condurre all’accoglimento dell’opposizione stessa, il Collegio rimettente rileva che la lettera dell’art. 7, comma 3 -quater , del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, impone di ritenere, in definitiva, esclusa qualunque ipotesi di interpretazione analogica difettando manifestamente i relativi presupposti; ai fini della soluzione della vicenda dedotta nel presente giudizio non è infatti necessario colmare alcuna lacuna normativa; si veda, in proposito, Cass. SSUU n. 38596/2021, § 5.2.3, ove si precisa che «l’analogia postula, anzitutto, che sia correttamente individuata una “lacuna”, tanto che al giudice sia impossibile decidere, secondo l’ incipit del precetto («se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione …»). L’art. 12, comma 2, preleggi si spiega storicamente soltanto nel senso di evitare, in ragione del principio di completezza dell’ordinamento giuridico, che il giudice possa pronunciare un non liquet , a causa la mancanza di norme che disciplinino la fattispecie.
La regola, secondo cui l’applicazione analogica presuppone la carenza di una norma nella indispensabile disciplina di una materia o di un caso (cfr. art. 14 preleggi), discende dal rilievo per cui è, altrimenti, la scelta di riempire un preteso vuoto normativo sarebbe rimessa all’esclusivo arbitrio giurisdizionale, con conseguente compromissione RAGIONE_SOCIALE prerogative riservate al potere legislativo e del principio di divisione dei
poteri dello Stato. Onde non semplicemente perché una disposizione normativa non preveda una certa disciplina, in altre invece contemplata, costituisce ex se una lacuna normativa, da colmare facendo ricorso all’analogia ai sensi dell’art. 12 preleggi».
Né al risultato ermeneutico propugnato dal ricorrente potrebbe pervenirsi adottando una interpretazione asseritamente estensiva nel senso restrittivo del precetto – ma, in effetti, eversiva -del significato della formulazione letterale del comma 3 quater, dell’art. 7 d.l. n. 158/2012 convertito in l. n. 189/2012. Secondo l’insegnamento RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite di questa Corte, infatti, «l’interpretazione giurisprudenziale non può che limitarsi a portare alla luce un significato precettivo (un comando, un divieto, un permesso) che è già interamente contenuto nel significante (l’insieme RAGIONE_SOCIALE parole che compongono una disposizione, il carapace linguistico della norma) e che il giudice deve solo scoprire. L’attività interpretativa, quindi, non può superare i limiti di tolleranza ed elasticità dell’enunciato, ossia del significante testuale della disposizione che ha posto, previamente, il legislatore e dai cui plurimi significati possibili (e non oltre) muove necessariamente la dinamica dell’inveramento della norma nella concretezza dell’ordinamento ad opera della giurisprudenza» (così Cass. SSUU n. 24413 del 2021, dove si aggiunge: «Proprio detti limiti, in definitiva, segnano la distinzione dei piani sui quali operano, rispettivamente, il legislatore e il giudice, cosicché il “precedente” giurisprudenziale, pur se proveniente dalla Corte della nomofilachia , non ha lo stesso livello di cogenza che esprime, per statuto, la fonte RAGIONE_SOCIALE , alla quale il giudice è soggetto . È in tal senso, pertanto, che la funzione assolta dalla giurisprudenza è di natura “dichiarativa”, giacché riferita ad una preesistente disposizione di legge, della quale è volta a riconoscere l’esistenza e l’effettiva portata, con esclusione di qualunque efficacia direttamente creativa»).
Esclusa, dunque, la possibilità di pervenire, tramite una interpretazione costituzionalmente orientata, al risultato ermeneutico di definire la condotta sanzionabile che non sia, secondo l’inequivocabile tenore letterale, la mera messa a disposizione della clientela RAGIONE_SOCIALE apparecchiature di qualsiasi genere idonee al collegamento on-line anche a siti di gioco, pure nel caso di soggetto titolare di autorizzazione alla promozione del gioco con vincita di denaro, disposizione che suscita un dubbio di legittimità costituzionale, con riferimento al principio di ragionevolezza emergente dall’art. 3 Cost., con gli artt. 25, 41, 42 e 117, primo comma Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, nella parte in cui esso non prevede, appunto, che la sanzione sia bilanciata con gli altri diritti in gioco, come il diritto di impresa ed il diritto alla privacy, sotto il profilo dell’effettiva sussistenza di un rapporto di connessione razionale e di proporzionalità tra il mezzo predisposto dal legislatore e il fine che lo stesso ha inteso perseguire, avuto riguardo alle rilevanti conseguenze sul piano della tutela dei diritti coinvolti (per i principi di equivalenza, comparazione ed effettività).
La disposizione in esame, infatti, discrimina gli esercenti di Internet point dai gestori di pubblici esercizi in genere, come ristoranti e bar, che possono mettere a disposizione dei clienti non solo il wi-fi, ma anche dispositivi per navigare sul web con richiesta di utilizzo di connettività Internet, e i criteri individuati dal legislatore al riguardo risultano meramente formali.
La seconda disposizione della cui legittimità si dubita è dell’art. 1, comma 923 della legge n. 208/2015. La sanzione, infatti, non appare in alcun modo modulabile in relazione all’entità della violazione, da desumersi, ad esempio, dal numero RAGIONE_SOCIALE apparecchiature messe a disposizione, dall’effettivo collegamento riscontratosi, ovvero dalla gradazione dell’elemento soggettivo dell’esercente in relazione al suo obbligo di vigilanza.
Devono, pertanto, rimettersi alla Corte costituzionale le questioni di legittimità costituzionale, che si rilevano d’ufficio, dell’art. 7, comma
3quater , d.l. n. 158/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 168/2012, e dell’art. 1, comma 923 della legge 208/2015, secondo cui ‘in caso di violazione dell’articolo 7, comma 3 -quater , del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, il titolare dell’esercizio è punito con la sanzione amministrativa di euro 20.000; la stessa sanzione si applica al proprietario dell’apparecchio’, per le quali la Corte ritiene siano rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 25, 41, 42 e 117, primo comma Cost. in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, firmato a Parigi il DATA_NASCITA, e agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.
Il giudizio è sospeso per legge (art. 23, comma 2 legge n. 87 del 1953).
P.Q.M.
La Corte, visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, rimette alla Corte costituzionale, ritenendone la rilevanza e non manifesta infondata, nei termini di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3 quater del d.l. n. 158/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 189/2012 e dell’art. 1, comma 923 della legge 208/2015 in relazione all’art. 3 Cost., con gli artt. 25, 41, 42 e 117, primo comma Cost., e in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, firmato a Parigi il DATA_NASCITA, e agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.
Dispone la sospensione del presente giudizio.
Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al pubblico ministero presso questa Corte ed al Presidente del Consiglio dei ministri.
Ordina, altresì, che l’ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai Presidenti RAGIONE_SOCIALE due Camere del Parlamento.
Dispone l’immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento RAGIONE_SOCIALE prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione