Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6171 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6171 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21751/2021 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata ope legis in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 67/2021 pubblicata il 12/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Venezia, con la sentenza n.67/2021 pubblicata il 12/05/2021, ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME nella controversia con l’Agenzia delle entrate.
La controversia ha per oggetto il risarcimento dei danni patiti dal COGNOME per effetto della irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per mesi sei, sanzione ritenuta poi illegittima con sentenza n.477/2013 della Corte d’appello di Venezia perché irrogata oltre la scadenza del termine previsto dall’art.55 bis comma 4 d.lgs. n.165/2001.
Il Tribunale di Verona rigettava le domande proposte dal COGNOME, sul presupposto dell’accertamento della sussistenza dei fatti materiali oggetto della contestazione disciplinare, della autonomia del giudizio risarcitorio in sede civile rispetto agli esiti del giudizio penale e disciplinare, della esclusione di qualsiasi profilo di responsabilità dell’amministrazione.
La corte territoriale ha confermato l’impianto motivazionale della sentenza del giudice di prime cure.
Per la cassazione della sentenza ricorre il COGNOME con ricorso affidato a sette motivi e illustrato da memoria . L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione «per erronea applicazione» dell’art.1227 cod. civ. , con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
Il ricorrente deduce che la corte territoriale avrebbe errato nel ritenerlo l’unico responsabile del danno conseguente alla illegittimità per tardività della sanzione disciplinare, di esclusiva
competenza del datore di lavoro. Il motivo è inammissibile perché attinge un obiter dictum e non si confronta con la ratio decidendi. La corte territoriale ha escluso la sussistenza di danni risarcibili non facendo richiamo o applicazione dell’art.1227 cod. civ., ma sulla base dell’accertamento «della fondatezza dei fatti posti a fondamento del provvedimento disciplinare id est la falsa dichiarazione di trasferimento di domicilio» (pag.9 motivazione), accertamento dal quale ha tratto due conseguenze: la doverosità dell’azione disciplinare, per un verso; la doverosità della denuncia presentata all’autorità giudiziaria per i medesimi fatti, dall’altra (pag.10 motivazione). Come già il giudice di prime cure, la corte territoriale ha escluso la sussistenza di qualsiasi profilo di responsabilità dell’amministrazione, che ha agito in forza di obblighi di legge (artt.55 sexies d.lgs. n.165/2001 e 331 cod. proc. pen.).
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione «per omessa applicazione» degli artt.2087, 1175 e 1375 cod. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
Il ricorrente deduce che la corte territoriale ha omesso di valutare la condotta del datore di lavoro nonostante la sanzione disciplinare fosse stata dichiarata illegittima perché tardivamente irrogata. Il motivo è inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi . La corte territoriale si è interrogata circa gli effetti dell’accertamento della illegittimità della sanzione disciplinare, con sentenza irrevocabile, ed ha ritenuto che l’accertamento della illegittimità della sanzione per ragioni procedurali non impedisse un autonomo apprezzamento dei fatti posti a fondamento dell’addebito, stante l’autonomia del giudizio di responsabilità civile rispetto a quello in sede penale e disciplinare. E ciò non al fine di duplicare l’accertamento della sussistenza dei fatti contestati al COGNOME in sede disciplinare, ma al fine di delibare la sussistenza della responsabilità datoriale dedotta in giudizio dal COGNOME. Responsabilità esclusa con accertamento di fatto in questa sede
non censurabile. Dunque, la corte territoriale ha affrontato entrambe le questioni che formano oggetto del motivo di ricorso, e tanto basta per la declaratoria della sua inammissibilità.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione «per omessa applicazione» degli artt.1228 e 1223 cod. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
Il ricorrente si duole che la corte territoriale non ha condannato l’Agenzia delle entrate al risarcimento del danno cagionato dalla sua condotta colposamente inadempiente, costituita dalla irrogazione della sanzione disciplinare illegittima. Il motivo è infondato, perché la corte territoriale ha accertato -per le ragioni sopra riportate -la insussistenza di alcuna condotta colposa imputabile al datore di lavoro, ed in mancanza di alcun inadempimento imputabile non può configurarsi alcun danno risarcibile, giusta i principi generali dettati dagli artt.1218 e 1223 cod. civ.
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art.346 cod. proc. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.4 cod. proc. civ.
Il ricorrente si duole del fatto che la corte territoriale ha ritenuto la nullità dell’incarico dirigenziale nonostante la mancata riproposizione della domanda di nullità da parte della Agenzia delle entrate nella comparsa di costituzione in appello. Il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni concorrenti. In primo luogo ex art.366 comma primo n.6 cod. proc. civ. perché il ricorrente non ha trascritto né localizzato le domande proposte in primo e secondo grado dalla Agenzia delle entrate e le statuizioni prese sul punto dal giudice di prime cure. In secondo luogo perché, contrariamente a quanto dedotto, dalla motivazione della corte territoriale risulta che il giudice di prime cure ha espressamente ritenuto la nullità dell’incarico dirigenziale conferito al Palumbo e doveroso l’atto di revoca del 15/11/2010 (pag.4 motivazione).
Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione «per erronea applicazione» dell’art.52 comma 5 del d.lgs. n.165/2001 e dell’art.1418 cod. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
Il ricorrente si duole che la corte territoriale ha ritenuto che dal la nullità dell’incarico dirigenziale de riverebbe la irrilevanza della sua revoca al fine del risarcimento dei danni, nonostante sia previsto «il diritto del lavoratore alla differenza di trattamento economico con la qualifica superiore». Il motivo è infondato per l’assorbente ragione che non risulta essere mai stata specificamente impugnata la revoca del conferimento dell’incarico dirigenziale e dunque -a tacer d’altro viene meno lo stesso titolo della pretesa alle differenze retributive.
Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione «per omessa applicazione» dell’art.420 comma quinto e dell’art.421 comma secondo cod. proc. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
Il ricorrente si duole che la corte territoriale ha erroneamente ritenuto la inammissibilità del doc.45 delle sue produzioni. Il motivo è infondato perché la corte territoriale ha accolto l’eccezione di tardività della produzione di tale documento, siccome «prodotto solo all’udienza del 10.10.2016», e dunque facendo corretta applicazione delle disposizioni che il ricorrente invece assume violate.
Con il settimo motivo il ricorrente lamenta la violazione «per erronea applicazione» dell’art.437 comma secondo cod. proc. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
Il ricorrente si duole che la corte territoriale ha ritenuto la irrilevanza dei docc.57 e 58 prodotti alla udienza dello 08/01/2021. Il motivo è inammissibile, perché la decisione circa la indispensabilità dei nuovi documenti al fine della decisione è
riservato al prudente apprezzamento del giudice del merito, e non è sindacabile in sede di legittimità.
15. Per tutte le indicate ragioni il ricorso è infondato. Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 7.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro