Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15532 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 15532 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23770/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, presso il cui studio in ROMA alla INDIRIZZO elettivamente domicilia controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 1985/2018 depositata il 06/02/2019, RG 310/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Catanzaro , con la sentenza n. 1985/2018 pubblicata il 6 febbraio 2019, ha rigettato l’impugnazione proposta da NOME COGNOME nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE che aveva rigettato l’impugnazione proposta dallo stesso, infermiere professionale, in ordine alla sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione pari a giorni 3, che gli era stata irrogata.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando tre motivi di ricorso.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE, che nel corso del giudizio ha depositato comparsa di costituzione di nuovo difensore.
RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso , ai sensi dell’art. 360, n.3, cod. proc. civ., è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 7, del Regolamento disciplinare RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, e delle norme collegate di cui agli artt. 55bis , prec e seg., del d.lgs. n. 165 del 2001. Violazione degli artt. 24, comma 2, e 111 Cost., sulla inviolabilità ed effettività del diritto di difesa.
Nullità della sentenza e del procedimento, ex art. 360, n. 4, cod. proc. civ., anche in relazione all’art. 111, sesto comma, Cost., all’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ.
È censurata la statuizione che ha dichiarato legittima la mancata audizione dei testi indicati dal ricorrente, così facendo erronea applicazione dell’art. 6, comma 8, del Reg. di disciplina cit., e violando il comma 7, del medesimo art. 6 del Reg.
Espone il ricorrente che la facoltà di svolgere attività istruttoria da parte dell’RAGIONE_SOCIALE non esclude che i testi indicati dal dipendente a propria difesa debbano essere ascoltati, in ragione della garanzia del diritto di difesa. La motivazione della Corte d’Appello sarebbe apparente in quanto inidonea a giustificare la decisione
Il motivo è inammissibile.
I l motivo si incentra sull’interpretazione dell’art. 6, commi 7 e 8 del Reg. di disciplina.
La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che l’interpretazione del contratto collettivo di ambito territoriale spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione (Cass., n. 156 del 2018, 17716 del 2016). Detto principio trova applicazione anche con riguardo al Regolamento disciplinare RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE, che viene in rilievo nella fattispecie.
Il sindacato di questa Corte sulla interpretazione degli atti negoziali, quale è il Regolamento di disciplina in questione, non è diretto ad individuare la migliore interpretazione possibile ma semplicemente a verificare se, sulla base dei criteri legali di ermeneutica, quella accolta dal giudice del merito sia una delle possibili interpretazioni.
Nella fattispecie di causa, al fine di censurare idoneamente la interpretazione offerta dal giudice del merito in relazione al
Regolamento disciplinare RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE, la parte ricorrente avrebbe dovuto trascrivere in ricorso il testo del Regolamento ed evidenziare in riferimento ad esso i vizi di violazione dei canoni di interpretazione commessi dalla Corte territoriale.
Manca invece nel ricorso la trascrizione del testo contrattuale che rileva. La stessa denuncia della violazione delle norme di diritto non è accompagnata dalla allegazione dello specifico canone che sarebbe incompatibile con le statuizioni della sentenza impugnata.
In sostanza le censure, invece di rappresentare errori di diritto o vizi di motivazione, si risolvono in una inammissibile richiesta di interpretazione diretta da parte di questa Corte della clausola contrattuale.
Peraltro, quanto ai testi non ammessi, occorre la prova di un pregiudizio arrecato in concreto all’esercizio del diritto di difesa, che nella specie non risulta prospettato.
Va inoltre considerato che è applicabile alla fattispecie l’art. 360 n. 5, cod. proc. civ., nel testo modificato dalla legge 7 agosto 2012 n.134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimi tà unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 n. 5, cod. proc. civ. ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius
constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge.
Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, ‘in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, non rinvenibili nella specie, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione’, sicché quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perché non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.
Rimangono, pertanto, estranee al vizio previsto dall’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., le censure, che come quelle articolate dalla ricorrente, che nella sostanza sono volte a criticare il ‘convincimento’ che il giudice si è formato sulle risultanze istruttorie e documentali. mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ex art. 360, n.3, cod. proc. civ.
V iolazione dell’art. 2106, cod. civ., richiamato dall’art. 55 del d.lgs. 165 del 2001, in quanto alla lesione del principio di proporzionalità della sanzione disciplinare irrogata e oggetto di causa, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del CCNL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 199 aprile 2004, sempre in quanto alla lesione
del principio di proporzionalità della sanzione disciplinare irrogata e oggetto di causa.
Nullità della sentenza e del procedimento, ex art. 360, n. 4, cod. proc. civ., anche in relazione all’art. 111, sesto comma, Cost., 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ.
Il lavoratore censura la statuizione della Corte d’Appello che ha ritenuto la proporzionalità della sanzione atteso che ‘l’episodio della mancata ripresa del servizio nelle sale operatorie… dalle h. 10,30 circa costituisce mancanza di tale gravità … da rendere certamente proporzionata la sanzione irrogata’.
Assume che l’intervento chirurgico programmato per tale ora era stato annullato e dunque non occorreva riprendere servizio. Richiama stralcio della contestazione disciplinare a suo dire mitigata nella irrogazione della sanzione, poiché non si faceva espressa menzione di detta condotta. Contesta la valutazione delle risultanze istruttorie effettuato dalla Corte d’Appello.
4. Il motivo è inammissibile.
Questa Corte ha più volte affermato che in materia di sanzioni disciplinari, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, in quanto implica un apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia.
Nella specie, tali circostanze non sono rinvenibili atteso che nel dedurre la motivazione apparente il ricorrente nella sostanza indica
una non conformità della valutazione di proporzionalità della sanzione disciplinare espressa con specifica motivazione dalla Corte d’Appello a quella proposta da esso ricorrente , così sollecitando a questa Corte un inammissibile riesame delle risultanze di causa.
Le deduzioni del ricorrente che contesta l’accertamento di fatto svolto dalla Corte d’Appello, si sostanziano nella censura della valutazione del materiale probatorio effettuato dalla Corte d’Appello, in particolare quanto alla documentazione prodotta in atti, che è rimessa al giudice del merito.
Nel richiamare quanto già esposto nella trattazione del precedente motivo di ricorso, si ribadisce che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (si v., Cass. n. 4060 del 2023).
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza e del relativo procedimento ex art. 360, n. 4, cod. proc. civ., anche in relazione all’art. 111, sesto comma. Cost. e all’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ.
Il ricorrente deduce che la sentenza d’appello sarebbe contraddittoria in quanto ha escluso l’incompatibilità della teste COGNOME, in quanto non era parte nel giudizio sul piano formale, senza considerare che la stessa era parte sostanziale del giudizio, in
quanto il giudizio nasceva in ragione delle dichiarazioni della medesima.
Il motivo è inammissibile in quanto generico e privo di specificità rispetto alla statuizione della Corte d’Appello .
Occorre in proposito considerare che la Corte d’Appello, come aveva statuito il Tribunale, ha affermato che la suddetta teste aveva la capacità a testimoniare in quanto non era parte del giudizio, ed ha evidenziato che la stessa aveva introdotto in giudizio una narrazione dei fatti analitica e precisa e che non emergeva alcun interesse o risentimento che animavano la stessa in danno del lavoratore; peraltro non è ravvisabile alcun vizio della sentenza quanto alla motivazione, anche considerando quanto già esposto nella trattazione del secondo motivo di ricorso.
Il ricorso è inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 maggio