Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4115 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 4115 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21262/2023 R.G. proposto da NOME COGNOME domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC dell ‘ avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
– controricorrenti – avverso la sentenza n. 734/2023 della Corte d’Appello di Napoli, depositata il 20.3.2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20.11.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La ricorrente, dirigente scolastico, convenne in giudizio i competenti uffici del MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca) per chiedere l’annullamento d ella sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per sei mesi, che le era stata inflitta per una pluralità di comportamenti contrari ai doveri d’ufficio .
La domanda venne respinta dal Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, la cui sentenza venne confermata dalla Corte d’Appello della medesima città, rigettando il gravame della lavoratrice.
Contro la sentenza della Corte territoriale NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Il Ministero e l’Ufficio Scolastico regionale per la Ca mpania si sono difesi con controricorso.
La ricorrente ha depositato altresì memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è rubricato «Sulla violazione e falsa applicazione, ex art. 360, n. 3, c.p.c. in relazione al combinato disposto dell’art. 55 -bis del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 24 Cost. ».
La ricorrente si duole del fatto che la Corte d’Appello -pur avendo accertato l’illegittimità della contestazione, per indeterminatezza degli addebiti, con riferimento a tre dei nove episodi menzionati nel provvedimento sanzionatorio -non abbia
poi dato conto di tale accertamento nel dispositivo della sentenza.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Oggetto del ricorso avverso la sanzione disciplinare è la sanzione disciplinare stessa, di cui il lavoratore chiede l’annullamento. Il giudice è chiamato a valutare la legittimità della sanzione inflitta e non singolarmente i fatti posti a fondamento della sanzione, se non nella misura in cui l’accertamento di quei fatti è funzionale alla decisione sulla legittimità della sanzione impugnata. Conseguentemente, il dispositivo del Tribunale -confermato dalla Corte d’Appello con il rigetto del gravame -non poteva che essere di accoglimento pieno della domanda, con annullamento della sanzione, oppure di accoglimento parziale, con riduzione di una sanzione ritenuta sproporzionata rispetto agli addebiti, oppure, come avvenuto, di rigetto della domanda.
Non fa invece parte del decisum l’accertamento dei singoli fatti posti a fondamento della sanzione, sicché questo primo motivo di ricorso per cassazione risulta eccentrico rispetto all’oggetto del processo e della sentenza impugnata.
A maggior ragione sono irrilevanti le considerazioni sulla tardività della contestazione e sulla violazione del diritto di difendersi che la ricorrente svolge sempre e solo «in relazione alle tre contestazioni non specificate».
Il secondo motivo denuncia «violazione e falsa applicazione, ex art. 360, n. 3, c.p.c. del combinato disposto degli artt. 63 del d.lgs. n. 165/2001 e 16 del CCNL ratione temporis applicabile».
La ricorrente ravvisa una contraddizione, nella sentenza impugnata, per non avere la Corte territoriale utilizzato il potere di rideterminare, riducendola, la sanzione, pur avendo accertato l ‘ illegittimità della contestazione, per indeterminatezza, con riferimento a tre delle nove condotte addebitate.
2.1. Anche questo motivo è inammissibile.
La Corte d’Appello , sulla base della sottostante situazione di fatto accertata, ha provveduto, come doveva fare, alla verifica della proporzionalità della sanzione inflitta considerando le sole condotte correttamente contestate. Ed è giunta alla conclusione che « È indubitabile , secondo l’adito collegio, che siffatte condotte -da sole, cioè anche a prescindere da quelle genericamente contestate -integrino, stante la pluralità dei comportamenti e la loro reiterazione nel tempo, un vero e proprio modus comportamentale della dirigente COGNOME non incline all’osservanza dei propri doveri d’ufficio e avvezza ad una gestione, quantomeno negligente, dell’istituto scolastico; ciò rende innegabile la particolare gravità delle stesse non solo oggettivamente, ma anche soggettivamente, essendo le condotte sorrette da consapevolezza e volontà della dirigente. A tutto ciò consegue che la sanzione … resta proporzionata ».
La ricorrente contesta tale valutazione di proporzionalità, ma del tutto genericamente, in quanto nemmeno menziona le condotte correttamente contestate, come invece avrebbe dovuto fare per sostenere che esse non fossero sussumibili nelle fattispecie per le quali l’art. 16 del CCNL per la dirigenza scolastica del 15.7.2010 prevede la pena della sospensione fino a sei mesi (sui limiti della censurabilità con il ricorso per cassazione dell ‘apprezzamento del giudice del merito sulla
proporzionalità della sanzione v., ex multis , Cass. nn. 8293/2012; 7948/2011; 24349/2006).
Per il resto, la ricorrente sembra prospettare una sorta di automatismo tra parziale illegittimità degli addebiti e riduzione della sanzione che non trova alcun riscontro nelle norme di diritto che si assumono violate, né nei principi che regolano la materia delle sanzioni disciplinari nell’ambito del rapporto di lavoro in generale e del pubblico impiego in particolare.
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese legali per il presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese relative al giudizio di legittimità, liquidate in € 4.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della