Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21534 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21534 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23986-2024 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 173/2024 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 22/05/2024 R.G.N. 145/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME .
Oggetto
Sanzione conservativa
R.G.N. 23986/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 05/06/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Ancona rigettava l’appello proposto da COGNOME NOME contro la sentenza del Tribunale di Fermo, con la quale era stata respinta la sua domanda intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro per dieci giorni, a lei comminata con lettera del 24 gennaio 2020 dall’ente datore di lavoro.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale giudicava infondato il primo motivo d’appello, con il quale la lavoratrice deduceva l’erroneità della decisione di primo grado nella parte in cui aveva disciplinato la spese di giustizia, ritenute eccessivamente elevate dall’appellante rispetto al valore della causa.
La Corte, inoltre, riteneva infondato anche il secondo motivo con il quale l’appellante deduceva l’erronea ricostruzione dei presupposti di fatto sottesi alla decisione impugnata.
Avverso tale decisione COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi e successiva memoria.
Ha resistito l’intimata con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce ex ‘art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione della legge 31 dicembre 2012, n. 247 e del Decreto del 10/03/2014 n. 55
Min. Giustizia così come modificato da ultimo dal Decreto del 13/08/2022, n. 147′.
Con il secondo motivo denuncia: ‘art. 360 n. 5 omessi esami circa fatti decisivi per il giudizio e che pure sono stati oggetto di discussione; art. 360 c.p.c. n. 3 violazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c.; art. 360 n. 4 mancata coincidenza tra chiesto e pronunciato’.
Con il terzo motivo denuncia ex ‘art. 360 c.p.c. n. 3 violazione degli artt. 36, 2104 e 2016 c.c. nonché 39 Cost.’.
Il primo motivo è inammissibile.
Esso difetta dei requisiti di specificità/autosufficienza del ricorso per cassazione, perché: a) è quanto meno incompleta in relazione ai parametri normativi indicati in rubrica, non denunciandosi la violazione o falsa applicazione dell’art. 10 c.p.c., cui pure aveva fatto riferimento la Corte territoriale in proposito (cfr. pag. 5 del ricorso); b) nello svolgimento della censura (pagg. 11-12 del ricorso) non considera appunto la completa motivazione resa dalla stessa Corte per ritenere infondato detto m otivo d’appello (cfr. facciate seconda e terza dell’impugnata sentenza , in cui la Corte confuta l’assunto che la causa sia di valore determinato, avendo ad oggetto non solo la restituzione della somma trattenuta a titolo di sanzione dalla datrice di lavoro ma la sussistenza stessa dei presupposti della sanzione); c) non riferisce almeno le precise conclusioni da lei rassegnate nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado; d) per contro, non considera che, secondo la Corte d’appello, ‘Nella presente controversia la lavoratrice chiede dichiararsi la nullità della sanzione irrogata ed il conseguente pagamento della somma di
€ 959,17 a titolo di retribuzione non erogata in ragione della disposta sospensione dal lavoro per dieci giorni’ .
In altri termini, non si confronta con il principio più volte espresso da questa Corte, e correttamente richiamato nella sentenza, secondo cui la controversia concernente la legittimità di una sanzione disciplinare è di valore indeterminabile, giacché l’applicazione della sanzione può esplicare un’incidenza sullo status del lavoratore implicando un giudizio negativo che va oltre il valore strettamente economico della sanzione stessa ed involge la correttezza, la diligenza e la capacità professionale del lavoratore (Cass. 24979/2018; Cass. 5443/1988).
7. Parimenti inammissibile è il secondo motivo.
Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che, attraverso la mescolanza e la sovrapposizione di ragioni tra loro eterogenee, prospetti relativamente alla medesima questione motivi di censura tra di loro incompatibili come avviene per i motivi di ricorso di cui ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., il primo dei quali presuppone la non contestazione della ricostruzione fattuale mentre il secondo contesta proprio tale ricostruzione sulla base della non completa istruzione probatoria (così, ex plurimis , Cass. n. 1859/2021; n. 14634/2020; n. 10212/2020). Difatti, in seno al medesimo motivo di ricorso non possono coesistere censure caratterizzate da irredimibile eterogeneità, così che non risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di
interpretazione e sussunzione delle censure (Cass. n. 12625/2020).
Ebbene, nella rubrica del motivo in esame, la ricorrente si riferisce, nel contempo, all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., in chiave di ‘omessi esami circa fatti decisivi per il giudizio e che pure sono stati oggetto di discussione’, all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c. denunciando la ‘violazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c.’, e infine all’art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c. per ‘mancata coincidenza tra chiesto e pronunciato’.
Nello svolgimento della censura la ricorrente, in un primo momento, deduce che:
(così a
pag. 15 del ricorso).
Successivamente, assume che , e cioè: a) il contenuto della lettera di contestazione del 13 gennaio 2020 (allegato 29 al ricorso) che ha portato alla sanzione del 24 gennaio 2020; b) il ricorso introduttivo del giudizio; c) la stessa sentenza di primo grado che era chiamata a valutare (v. pag. 19 del ricorso).
Ancor dopo deduce che (così a pag. 20 del ricorso).
Assume ancora che l’avvenuta estensione del ‘ decisum ‘ del primo grado a condotte non ricomprese nel petitum del ricorso (nonché, conseguentemente, nella valutazione fatta dal primo Giudice) conduce ad una alterazione degli elementi obiettivi dell’azione da cui l’emissione di un provvedimento diverso da quello richiesto, omettendo la sentenza di pronunciare invece sul bene della vita conteso (che nulla aveva a che fare con ‘ il mancato adempimento all’ordine di assumere l’incarico di responsabile dell’ufficio vertenze ).
Quindi denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 4 la nullità della sentenza per omessa pronuncia; ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 3 la violazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. per
aver dichiarato coperta da giudicato una statuizione del primo grado letteralmente inesistente (così a pag. 21).
In definitiva, lo sviluppo dell’intero motivo, oltre ad essere ben poco perspicuo, conferma che intorno alle medesime questioni la ricorrente sovrappone promiscuamente mezzi di ricorso eterogenei.
Inoltre, secondo questa Corte, l’omesso esame di un fatto decisivo deve riguardare un fatto storico, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia, costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo. Costituisce un ‘fatto’, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una ‘questione’ o un ‘punto’, ma un vero e proprio ‘fatto’, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante; non costituiscono, viceversa, ‘fatti’, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le argomentazioni o deduzioni difensive; gli elementi istruttori, una moltitudine di fatti e circostanze, o il ‘vario insieme dei materiali di causa’ (così, tra le altre, Cass., sez. lav., 22.5.2020, n. 9483).
Ebbene, anche ove si volesse superare la preclusione attualmente prevista dall’art. 360, comma quarto, c.p.c. in caso di c.d. doppia conforme, nella censura, dove prevalentemente si riferisce al mezzo di cui al n. 5) del comma primo dello stesso art. 360, non si deduce l’omesso esame circa fatti, principali o secondari, nel senso testé precisato,
bensì, come si è visto, ‘questioni’ che attengono più propriamente all’interpretazione di atti, il che esula dall’ambito del vizio denunciato, come sopra delineato, e conduce alla inammissibilità della censura.
17. E’ infine inammissibile il terzo motivo.
In esso la ricorrente assume che .
Osserva allora il Collegio alla censura è appunto sotteso l’assunto che la Corte non avesse compreso che la sanzione a lei applicata non si fondasse anche sul ‘ mancato adempimento all’ordine di assumere l’incarico di responsabile dell’ufficio vertenze ‘.
Una tale tesi, tuttavia, per trovare ingresso in questa sede di legittimità poteva essere fatta valere solo denunciando che la Corte d’appello, nell’interpretare il contenuto della nota di contestazione disciplinare, aveva violato i canoni ermeneutici legali di cui all’art. 1362 e segg., per il tramite dell’art. 1324
c.c. (trattandosi di atto unilaterale della datrice di lavoro).
La Corte, difatti, sul punto si è chiaramente espressa.
Dopo aver premesso che la lettera di contestazione del 13 gennaio 2020 addebitava ‘8 capi di incolpazione’ (cfr. facciata 3), ha considerato che il ‘primo punto di incolpazione contestato dall’ente datore’ era ‘il mancato adempimento all’ordine di assumere l’incarico di responsabile dell’ufficio vertenze’, poi ribadendo e specificando che tanto era ‘formalmente contestatole nel primo punto della lettera del 13 gennaio 2020 e meglio precisato nell’ incipit della lettera stessa, in cui tale circostanza è assurta a scaturigine degli eventi successivi’ (v. facciata quattro).
19.1. La ricorrente, invece, non censura tale interpretazione di quella nota datoriale, fornita dalla Corte di merito, bensì, come s’è visto nell’esaminare il secondo motivo, tra le altre cose, assume impropriamente che la stessa Corte avrebbe omesso l’esame del ‘contenuto della lettera di contestazione del 13 gennaio 2020’ (cfr. di nuovo pagg. 16 -18 del ricorso).
La ricorrente, in quanto soccombente dev’essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 5.6.2025.