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Sanzione disciplinare: illegittima senza l’organo giusto

La Corte di Cassazione ha confermato l’illegittimità di una sanzione disciplinare (rimprovero scritto) inflitta a un dipendente pubblico. La decisione è stata annullata perché il procedimento non è stato gestito dall’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (UPD) come organo collegiale, ma da un singolo dirigente. Questo vizio di procedura ha reso la sanzione nulla, e il ricorso dell’Amministrazione è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Sanzione Disciplinare: la Collegialità dell’UPD è Essenziale

Nel pubblico impiego, l’irrogazione di una sanzione disciplinare è un processo delicato che deve seguire regole precise per essere valido. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: per le sanzioni più gravi del rimprovero verbale, la competenza non è del singolo dirigente, ma dell’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (UPD) nella sua interezza. Vediamo i dettagli di questo caso illuminante.

I Fatti del Caso: un Rimprovero Scritto Contestato

Una direttrice dei servizi generali amministrativi di un istituto scolastico impugnava una sanzione disciplinare consistente in un rimprovero scritto. Le contestazioni erano varie: dall’impedimento allo svolgimento di esercitazioni di laboratorio al ritardo in alcune consegne, fino all’inottemperanza a un ordine di servizio.

Il Tribunale di primo grado respingeva il ricorso della dipendente, ma la Corte d’Appello ribaltava la decisione. I giudici di secondo grado dichiaravano l’illegittimità della sanzione, rilevando un vizio procedurale decisivo: la contestazione disciplinare era stata sottoscritta personalmente dal dirigente e non nella sua qualità di Presidente dell’UPD. Inoltre, l’intera fase istruttoria, che doveva essere svolta dall’Ufficio, non aveva avuto luogo. L’amministrazione, insoddisfatta, proponeva ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione sulla Sanzione Disciplinare

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del Ministero inammissibile, confermando di fatto la decisione della Corte d’Appello e l’illegittimità della sanzione. La Cassazione ha sottolineato come il ricorso del Ministero non avesse colto il punto centrale della motivazione dei giudici d’appello, rendendo così le proprie doglianze non pertinenti.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su principi consolidati in materia di procedimento disciplinare nel pubblico impiego, come delineati dall’art. 55-bis del D.Lgs. 165/2001. La norma stabilisce che ogni Amministrazione deve individuare un Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (UPD), al quale è affidata la gestione completa del procedimento: dalla contestazione degli addebiti, all’istruttoria, fino all’adozione dell’atto conclusivo, cioè la sanzione stessa.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato due mancanze gravi:

1. Azione Monocratica: Sia la comunicazione di avvio del procedimento che il provvedimento sanzionatorio erano stati adottati dal Dirigente in funzione monocratica, cioè agendo da solo, “senza alcuna menzione del coinvolgimento del competente ufficio collegiale”.
2. Assenza di Istruttoria: Non era stata svolta alcuna istruttoria dinanzi all’UPD.

La Cassazione ha chiarito che il semplice fatto che il dirigente che ha firmato l’atto fosse anche il titolare dell’UPD non era sufficiente a sanare il vizio. Mancava la prova che la volontà espressa nel provvedimento fosse il frutto di una manifestazione di volontà dell’UPD come organo collegiale. L’interpretazione degli atti spetta al giudice di merito, e il Ministero non ha contestato questa interpretazione secondo le regole processuali corrette, rendendo il suo ricorso inammissibile.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito per tutte le Pubbliche Amministrazioni. La validità di una sanzione disciplinare dipende dal rigoroso rispetto delle procedure. Non è sufficiente che la decisione sia sostanzialmente giusta; deve anche essere formalmente corretta. L’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari non è una mera formalità, ma un presidio di garanzia per il dipendente, che assicura una valutazione collegiale e un’adeguata fase istruttoria. Qualsiasi atto compiuto da un singolo dirigente in sostituzione dell’organo collegiale competente rischia di essere annullato, con conseguente vanificazione dell’azione disciplinare e potenziale condanna alle spese per l’Amministrazione.

Una sanzione disciplinare nel pubblico impiego può essere emessa da un singolo dirigente?
No, per le sanzioni superiori al rimprovero verbale, la legge (art. 55-bis, d.lgs. 165/2001) richiede che l’intero procedimento sia gestito dall’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (UPD), che agisce come organo a sé stante, spesso collegiale. Un’azione monocratica del dirigente rende la sanzione illegittima.

Cosa succede se l’atto di contestazione disciplinare non menziona il coinvolgimento dell’UPD?
Se l’atto è sottoscritto da un dirigente in funzione monocratica, senza alcun riferimento al coinvolgimento del competente ufficio collegiale e senza che sia stata svolta un’istruttoria presso tale ufficio, la sanzione che ne deriva è illegittima e può essere annullata dal giudice, come stabilito in questo caso.

Perché il ricorso dell’Amministrazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non ha contestato in modo specifico e corretto il nucleo della decisione della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva annullato la sanzione per un vizio procedurale (l’azione monocratica del dirigente), e il ricorso in Cassazione non ha affrontato efficacemente questo punto secondo le regole del giudizio di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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